Senza l'aiuto degli effetti speciali né del ritocco al trucco Stanley Tucci illumina una stanza un attimo dopo esserci entrato. Nessuna scuola di recitazione riesce ad insegnare il carisma e il calore umano, doti che lo rendono versatile al punto da trasformare ruoli secondari in icone, come la spalla di Meryl Streep ne Il diavolo veste Prada e in Julie & Julia o il conduttore del reality Hunger Games. Con due Golden Globe vinti e una nomination agli Oscar, si è liberato dei ruoli stereotipati imposti da Hollywood agli italo-americani. A confermarlo ci pensa la metamorfosi in perfido lord inglese nel kolossal di Bryan Singer, Il cacciatore di giganti (in sala anche in 3D dal 28 marzo per Warner Bros.), ispirato alla favola Jack e il fagiolo magico. Ce lo ha raccontato a Londra con l'affabilità e lo humour che lo contraddistinguono, mescolati all'orgoglio per le proprie origini...
Un ruolo da cattivo delle favole come Lord Roderick intimidisce o diverte? Stanley Tucci: Quando me l'hanno proposto ne sono stato felicissimo, ma poi ho iniziato a preoccuparmi per l'accento. Per fortuna me l'ha insegnato mia moglie, che è inglese (Felicity Blunt, sorella di Emily, agente letterario che ha sposato in seconde nozze, ndr.). Quello che preferisco al mondo è legato alle mie origini e resta comunque l'italiano! (Il nonno Stanislao Tucci proveniva dalla provincia di Cosenza, ndr.)
Dopo la metamorfosi in Hunger Games (che continuerà a novembre ne Hunger Games: la ragazza di fuoco), ora la ritroviamo in costume e con un altro look incredibile. Quanto incide tutto questo sulla sua performance?Costumi e make up sono fondamentali per un attore. Si vede che ho un pessimo dentista nel film? Ho suggerito io stesso che i denti fossero tanto esagerati: aiutano a definire meglio il personaggio e poi indubbiamente avere tanti capelli mi fa sentire diverso (ride)...
È un caso o una scelta la partecipazione a film fantasy?
Sono affascinato dal potere delle favole, quindi amo molto questo genere di film: è perfetto per i ragazzi e a volte riesce a veicolare messaggi forti e precisi, come nel caso de Il cacciatore di giganti e di Hunger Games. Si parla di innocenza violata e di soprusi, con risvolti sociali importanti.
Qual è l'idea che più la affascina ne Il cacciatore di giganti?
Mi commuove che si dica che il primo amore resta il più forte e sia capace di tutto seguendo la struttura classica delle favole, in cui il re rifiuta il cambiamento per ancorarsi alla tradizione.
Non ce n'è stato bisogno, è un lavoratore instancabile, non chiede mai giorni di riposo e mantiene intatto il candore che lo contraddistingue. Sono certo che ha un futuro brillante davanti a sé nello star system!
Com'è stato, invece, il rapporto con Ewan McGregor?
Lo considero un attore dotato di forte presenza scenica e grande talento e provo enorme ammirazione per la sua carriera. Non immaginavo, però, che fosse tanto divertente: grazie a lui sul set ho riso moltissimo!
Questo ruolo prevede molta azione: come si è preparato?
La scena della lotta con Ewan McGregor è stata sfiancante, almeno per me che non ho fatto Star Wars come lui e sono fuori allenamento. Non mi sono preparato più di tanto, comunque: dovevo solo continuare a cadere nell'acqua. Per una sequenza di 45 secondi abbiamo imparato una coreografia lunghissima e girato la scena moltissime volte da varie angolazioni.
Di momenti epici ce ne sono tanti nella pellicola...
Altre situazioni, in effetti, sono state da vertigini, nel senso letterale del termine, specialmente quando venivamo sollevati da terra con una piattaforma alta almeno dieci metri per scalate e salti, con la macchina del vento, la pioggia in faccia e giganti "finti". Recitare le battute in queste condizioni atmosferiche è stato davvero arduo. Per settimane abbiamo girato scene del genere e vi assicuro che questa parte non è stata divertente. Ad animarci c'era la continua paura di cadere sul serio, ma per fortuna non è successo nulla.
Ho scritto un piccolo film, Small Wonder, e ho coinvolto nel progetto anche Colin Firth, con cui ho lavorato di recente in Gambit. È una black comedy indipendente ma si fa fatica a trovare spazi e finanziamenti, che invece negli Anni Ottanta si ottenevano tranquillamente e senza il bisogno di grandi star...
Ha mai pensato ad un piano B, se la recitazione non si fosse rivelata la strada giusta da seguire?
Avrei voluto averlo, ma non c'è mai stato anche se prima del college volevo diventare architetto. Ho capito in tempo che i miei edifici sarebbero crollati tutti, visto che ero una frana in matematica. Forse mi sarebbe piaciuto diventare artista o chef.