Squid Game a una primissima visione appare come il più classico dei survival game, genere da sempre amato dal pubblico: pensiamo all'intramontabile Rollerball del maestro Norman Jewison o all'omonimo remake di John McTiernan, oppure a Battle Royale dell'enfant terrible Kinji Fukasaku, passando per la saga di Hunger Games o Maze Runner fino a capolavori autoriali misconosciuti come Quintet di Robert Altman. Opere in grado di suscitare stupore con la loro violenza superficialmente ingiustificabile e spesso barocca ma allo stesso tempo permeata da argomenti sociali tali da far riflettere su problematiche comuni e scottanti. Ed è proprio su questi aspetti che la serie Netflix pone la sua attenzione, proponendoci un attento sguardo sulla Corea contemporanea.
Squid Game: Introduzione generale
Ideata e diretta dal noto regista Hwang Dong-hyuk, Squid Game può finalmente festeggiare il suo primo anniversario; la serie dopo neppure un anno dal suo rilascio ha conquistato il cuore di milioni di spettatori arrivando ad affermare definitivamente l'ascesa del fenomeno Hallyu, letteralmente "onda coreana", iniziato alla fine degli anni Novanta in primis con la musica pop e proseguito poi con i K-drama ed il cinema.
Su Squid Game sono stati scritti centinaia e centinaia di articoli, a volte focalizzati sul simbolismo marcato delle maschere, altri intenti ad analizzare i vari riferimenti alla cultura coreana, poi abbiamo approfondimenti legati ai diversi giochi ormai iconici della serie fino all'immancabile analisi del sottotesto sociale, leitmotiv della serie, intento a smascherare e criticare le disuguaglianze tra classi sociali che attanagliano la moderna Corea. Pertanto, leggendo tra le righe, molti potrebbero ritenere superfluo questo articolo; tuttavia proveremo ad evidenziare alcuni aspetti peculiari dell'opera non sempre emersi.
La sinossi a grandi linee è nota a tutti: un gruppo di persone disperate con debiti fino al midollo partecipa ad un gioco mortale di sopravvivenza il cui montepremio aumenta ogni qualvolta un contendente perde la vita. Al contrario, è doveroso soffermarsi su una serie di logiche produttive e creative che hanno permesso alla serie di espandere i confini nazionali conquistando il cuore di milioni di spettatori occidentali.
Squid Game analizzato con un occhio critico riformula molte regole del K-drama, già a partire dalla durata stessa della serie e dei singoli episodi; i K-drama tendenzialmente sono delle serie "fluviali" le cui stagioni navigano intorno ai 16 episodi dalla durata di circa 70/75 minuti. Squid Game al contrario presenta una struttura tipica delle mini-serie occidentali targate Netflix, il cui numero di episodi della singola stagione è più contenuto e dura di meno aggirandosi sui 60 minuti; l'ottavo addirittura si distingue per i soli 33 minuti di durata. Squid Game lavora diversamente anche sul cast: indicativamente i K-drama puntano sia su giovanissime promesse prelevate, ad esempio, dal settore musicale sia sul pescare da uno star-system affermato propriamente televisivo. In piccola parte sono logiche che il deus ex machina nonché ideatore e regista del progetto Hwang Dong-hyuk rispetta, tuttavia piazza in ruoli nevralgici attori "estranei" al contesto ed ecco che il protagonista, il frontman oppure il reclutatore (visto nel primo e nell'ultimo episodio) sono tre leggende del cinema coreano contemporaneo. Lo scriteriato Seong Gi-hun, cinquantenne sommerso dai debiti che dipende ancora dalla madre anziana e malata, è personificato da Lee Jung-jae, uno dei padri putativi del New Korean Cinema esploso alla fine degli anni Novanta; Jung-jae il primo grandissimo successo lo firma, insieme al suo grande amico Jung Woo-sung, in City of the Rising Sun (1999) diretto dall'allora giovane maestro Kim Sung-su.
Chi è Lee Jung-jae? L'attore di Squid Game che ha fatto la storia vincendo l'Emmy
Discorso analogo per il frontman Lee Byung-hun, primo film di successo Runaway del 1995 sempre diretto da Kim Sung-su, il quale prima ancora di Squid Game aveva già una certa dimestichezza con la fama d'oltreoceano avendo partecipato a svariate produzioni hollywoodiane: G.I. Joe - La nascita dei Cobra, Terminator Genisys, Red 2 o I magnifici sette di Antoine Fuqua. Infine l'ambiguo e misterioso reclutatore, amante del ddakji, è interpretato da Gong Yoo; Yoo è un amico del regista ed in passato aveva collaborato con lui nel dolente e critico Dogani del 2011, film tratto da un best seller a sua volta ispirato ad una storia vera accaduta nel 2005 laddove in una scuola per sordi, di una piccola cittadina di periferia di Seul, alcuni professori avevano perpetuato atti osceni verso i loro studenti. Il film ha scosso e non poco l'opinione pubblica al punto che il Congresso Democratico della Corea del Sud ha promulgato una legge in difesa di questi bimbi, spesso emarginati e declassati dalla stessa società coreana e non solo da singoli criminali. Gong Yoo ad ogni modo è celeberrimo per aver interpretato il protagonista di Train to Busan, lo zombi movie romeriano tale da rilanciare un genere poco esplorato dalle parti di Seoul, diretto dal grandissimo Yeon Sang-ho.
Chiuso il discorso protagonisti, spostiamoci su aspetti tecnici e tematici, in quanto Squid Game ripropone il binomio che ha reso grande il suo cinema contemporaneo, ossia coniugare intrinsecamente e sapientemente elementi propri della cultura e della società coreana con aspetti transnazionali. Transnazionalità da ritrovare non soltanto nel primo gioco della serie, l'intramontabile "Un, due, tre, stella!", ma ovviamente nella riproposizione di alcuni cliché e situazione tipici del genere survival horror: dal cambiamento repentino di alcuni soggetti in situazioni di forte pericolo con il gioco che li spinge a superare il limite fisico e morale, alla presenza di luoghi misteriosi, fino ad un particolare ragionamento sulla spettacolarizzazione della violenza.
Una violenza accattivante le cui vittime spesso sono abbattute con una brutale freschezza da far invidia a Quentin Tarantino o Eli Roth; violenza in grado di cambiare rapidamente pelle diventando altresì fredda e glaciale, quasi di matrice new hollywoodiana e scorsesiana con le guardie del gioco che estraggono con agghiacciante naturalezza le loro rivoltelle giustiziando d'emblée i concorrenti sconfitti. Ad ogni modo però innegabilmente, l'aspetto più importante sviscerato dalla serie è l'analisi della disfatta del sistema capitalista locale che ha generato un insormontabile disequilibrio tra le classi sociali. Tutti i partecipanti del gioco sono outsider, uomini e donne masticati, tritati e sputati dal temibile sistema economico coreano. Hwang Dong-hyuk ha curato nei minimi dettagli la sceneggiatura e ogni singolo personaggio presenta peculiarità del sistema socio-politico locale; peculiarità messe in scena con una certa sensibilità e furbizia, comprese e condivise dallo spettatore nostrano in quanto queste unicità socio-economiche sono disgraziatamente riscontrabili anche nelle società occidentali, ed il tutto quindi ha creato una certa simbiosi con il pubblico globale che talvolta si ritrovava un po' nelle disavventure vissute dai personaggi. Ora proviamo a ricostruire bene il contesto.
Squid Game, la recensione: il nuovo dramma di sopravvivenza coreano su Netflix
Seong Gi-hun, classe proletaria alla riscossa
Partiamo ovviamente dal protagonista Seong Gi-hun e prendiamo come casi di studio due episodi specifici, il primo ed il quinto. In queste due puntate tramite veloci scambi di battute o incubi-flashback veniamo a conoscenza del passato lavorativo del protagonista. Nell'episodio iniziale l'enigmatico reclutatore ricorda tutte le disgrazie lavorative di Gi-hun e nell'elencarle rievoca il passato di assemblatore di quest'ultimo; Gi-hun fino al 2009 lavorava presso una società automobilistica, tale Dragon Motor. La società in realtà richiama abbastanza esplicitamente la SsangYong Motors e Seong Gi-hun è una sorta di simbolo ed emblema di quei dipendenti, licenziati ingiustamente proprio nel 2009 come confermato dallo stesso regista in un'intervista al quotidiano The Hankyoreh:
È giusto usare la Ssangyong come riferimento, volevo fare di Gi-hun una figura che rappresentasse i lavoratori in una situazione di crisi. E che era qualcosa che poteva fare come artista
Sviscerando nei reali episodi di cronaca, la Ssangyong tra il 2008 e il2009 attuò un piano di ristrutturazione con la società madre Shanghai Motors (Saic) ed una delle prime mosse del nuovo progetto fu la chiusura dello stabilimento di Pyeongtaek, in Corea del Sud, licenziando di netto oltre 2600 dipendenti con la scusa della crisi economica. Il sindacato, indignato, combatté aspramente contro tale assurda decisione sostenendo a gran voce che la Saic non avesse speso alcuna risorsa per rendere competitiva la Ssangyong, anzi a detta loro si sarebbe approfittata della situazione. I lavoratori licenziati, quindi, si chiusero a chiave nello stabilimento per quasi due mesi finché la polizia non intervenne usando controverse misure di "antiterrorismo" brutali al punto da far scappare il morto. Il regista rievoca i tragici episodi della sommossa nel quinto episodio mediante un incubo ad occhi aperti del protagonista: sequenza brutale, resa ancora più inquietante dalle luci soffuse e da un utilizzo freddo e flemmatico dello slow-motion. La polizia che manganella i manifestanti è un'immagine fortemente impressa nella mente dei coreani in quanto rievoca lo straziante clima di terrore da loro vissuto durante gli anni delle dittature di Park Chung-hee e del macellaio di Gwangju Chun Doo-hwan.
Violenza dittatoriale rievocata altresì, sempre nel primo episodio, dal documento alla rinuncia dei diritti fisici firmato da Gi-hun. Ovviamente una legge del genere non esiste, tuttavia mediante questo escamotage narrativo ed efferato, il cineasta riporta alla luce alcuni metodi governativi del passato laddove negli anni Ottanta la polizia segreta coreana torturava centinaia e centinaia di oppositori politici e di giovani studenti. Seong Gi-hun infine è afflitto dai debiti, come tutti i partecipanti al gioco. L'indebitamento del coreano medio è una piaga sociale tremenda in una nazione, allorché il debito delle famiglie equivale a più del 100% del PIL del Paese; un Paese dalle mille contraddizioni in quanto è davvero semplice ottenere un prestito. L'indebitamento "coreano" è andato di pari passo con un critico incremento del gap di reddito; problema consociato alla crescente disoccupazione giovanile e ai prezzi spropositati degli immobili nelle grandi città - e non solo - che sconfinano nelle reali disponibilità economiche dei lavoratori comuni.
Squid Game risulta pertanto un ritratto tristemente realistico e non casuale della situazione di tantissime famiglie sudcoreane laddove un licenziamento, un investimento sbagliato o una serie di sfortunati eventi possono travolgere intere esistenze, conducendo le persone a rivolgersi a prestatori ad alto rischio con conseguenze nefaste. Correlato a quanto scritto, ci viene in soccorso o in conferma l'ultimo episodio. Emblematico il segmento in cui il protagonista si reca dal parrucchiere dove opterà per un taglio e soprattutto per un colore eccentrico, sinonimo del suo stato d'animo altamente alterato e rabbioso; qui il regista inizialmente inquadra volutamente, e con enfasi, un servizio giornalistico che parla proprio di queste cose: "L'indebitamento delle famiglie cresce rapidamente con il debito pro capite che ha superato la media globale nell'ultimo trimestre, la Banca di Corea e la BRI hanno registrato un rapporto tra pil e debito famigliare del 96,9%".
Seong Gi-hun, il businessman disonesto
Da Seong Gi-hun passiamo al suo amico d'infanzia Cho Sang-woo, interpretato dall'ormai noto Park Hae-soo; Sang-woo è l'orgoglio di Ssangmun-dong, laureato con il massimo dei voti in economia in una delle più importanti università del paese, e lavora, o meglio lavorava, presso una celebre società finanziaria, tuttavia è ricercato dalla polizia per aver truffato i suoi clienti oltre ad essere indebitato fino al collo. L'ex manager è un po' la personificazione di tanti uomini e donne d'affari che si sono arricchiti/e alle spalle della povera gente. Con questo personaggio il regista potrebbe alludere ad una serie di scandali locali difficili da digerire come il caso "mani-pulite", che ha visto coinvolti pezzi da novanta del paese, tra cui l'ex Presidente Park Geun-hye condannata a 24 anni di carcere con l'accusa di concussione, corruzione e rivelazione di segreti di stato; destino simile anche a quello dell'amica e consigliere Choi Soon-sil, condannata a 20 anni di carcere per corruzione e reati connessi, fino a Lee Jae-yong, numero uno del colosso della Samsung, condannato a 5 anni per reati finanziari. Quest'ultimo tuttavia ha ricevuto la grazia presidenziale e quindi i reati di corruzione e appropriazione indebita sono spariti magicamente dal cv; ad ogni modo il leader della celebre Chaebol (conglomerato industriale) è stato reintegrato nella società con l'obiettivo/scusa di "aiutare a superare la crisi economica della Corea del Sud", almeno così ha affermato il ministro della Giustizia Han Dong-hoon.
Le serie TV più significative del 2021, da Squid Game a Strappare lungo i bordi
Immigrati, clandestini e criminali
Dal businessman disonesto viriamo l'attenzione su Kang Sae-byeok, profuga nord-coreana, il cui intento è vincere il premio in denaro e portare al Sud l'amata madre. Il regista mediante questo personaggio riporta di petto il dramma a cui ogni anno sono sottoposti migliaia di migranti nordcoreani che scappano dal regime di Kim Jong-un, per poi finire stritolati o dal sistema capitalistico sudcoreano oppure da una vita di clandestinità in Cina, laddove non solo non si vedono riconosciuti lo status di rifugiato politico ma addirittura vengono trattati come immigrati economici illegali. La nota sociologa Lim Hyun-Joo a Quartz afferma come:
La disperazione, la mancanza di uno status legale e il terrore della polizia cinese espongono questi migranti al più bieco sfruttamento, specialmente per quanto riguarda le donne
Riguardo Kang Sae-byeok risulta poi interessante il suo legame d'amicizia con la giovane sudcoreana Ji-Yeong, da poco uscita di galera per aver assassinato il padre violento. Qui il regista critica ad esempio il sistema patriarcale coreano; le due ragazze sono tanto diverse quanto simili e simboleggiano il forte legame tra le due nazioni che in realtà sognano l'unificazione, legame caro al cinema e alla televisione locale. Ad ogni modo la ribelle Ji-Yeong afferma di voler andare insieme all'amica a bere un mojito sull'isola di Jeju ma sa benissimo che non potrà farlo poiché le regole del gioco impongono la morte di una delle due, regole da leggere metaforicamente in chiave attuale: sono tante le famiglie divise a causa di una stupida e dannosa ideologia politica.
Ammirevole ed amorevole è anche il personaggio di Alì Abdul, immigrato pakistano tanto ingenuo quanto buono, sfruttato e non pagato dal suo datore di lavoro disonesto e poi tradito dall'amico Cho Sang-woo. Con Alì Abdul, Hwang Dong-hyuk parla senza remore dello sfruttamento dei migranti asiatici in Sud Corea, piaga infernale che lacera giorno dopo giorno un numero esorbitante di vite, problematica che mostra i segni tangibili di un'integrazione fallace: solo il 10% di 200.000 lavoratori stranieri/asiatici hanno permessi per l'occupazione di contro gli immigrati, privi di documenti, hanno difficoltà nel lasciare i loro datori di lavoro proprio perché privi di diritti e garanzie e quindi subiscono maltrattamenti, ricevono paghe da fame, senza contare i massacranti turni di lavoro che possono raggiungere tranquillamente le 15 ore giornaliere.
Ingenuo no ma idealista si è invece Hwang Jun-ho, un giovane poliziotto sotto copertura. Importante il rapido scambio di battute tra lui ed il frontman nell'ottavo episodio con il conduttore del gioco che esclama: "da quando le autorità coreane sono così zelanti ?". Il frontman sa benissimo che le autorità autoctone non rappresentano un pericolo, il cinema e la televisione coreana dalla fine degli anni Novanta in poi non ha mai mostrato fiducia nelle forze dell'ordine e spessissimo vengono rappresentante in modo goffo o quanto meno inefficienti. Ci sono ancora tanti personaggi meritevoli d'attenzione, dal gangster lascivo Jang Deok-su alla strana Han Mi-nyeo, che afferma di essere una povera madre nubile, al medico corrotto dedito al traffico di organi fino all'uomo di mezza età dalla forte fede cristiana; in Corea persiste un problema serio con le sette cristiane, un paese laico in cui fantomatici santoni riescono facilmente, e con l'inganno, a proporre dottrine alternative altamente nocive dagli esiti nefasti. Continuando con la carrellata, troviamo poi l'uomo che si suicida, poco dopo la morte della moglie, ed ecco spiattellato un ulteriore problema molto grave: i suicidi.
Le serie TV più significative del 2021, da Squid Game a Strappare lungo i bordi
Oh Il-nam, anzianità al potere
Terminiamo il discorso legato ai personaggi con l'intramontabile vecchietto Oh Il-nam. Con questo personaggio il regista piazza in primis un twist narrativo abbastanza clamoroso; tutti i colpi di scena sono gestiti con la giusta parsimonia risultando essere un po' lontani dai classici cliché, e pensiamo semplicemente al secondo episodio laddove abbiamo una ragguardevole riflessione sul libero arbitrio influenzato dal dio denaro con tanti personaggi che decidono di ritornare spontaneamente a giocare. Oh Il-nam ad ogni modo è un anziano afflitto da un male incurabile che decide di regalarsi un'ultima "avventura", a conti fatti tuttavia è solo e spesso rischia di essere emarginato dagli altri a causa della sua età.
Hwang Dong-hyuk con intelligenza e delicatezza parla quindi dell'emergenza anziani, altra gatta da pelare non di poco conto. Un welfare ampiamente carente e sproporzionato e le progressive divergenze di reddito enfatizzano drammaticamente le difficoltà della popolazione in età più avanzata: sono tanti gli ultra-sessantacinquenni coreani senza pensione, senza famiglia e senza un sostegno che non sia quello più o meno occasionale delle organizzazioni caritative e della chiesa, in una situazione di sostanziale emarginazione in una realtà sempre più apatica e competitiva. In Squid Game, se pur con apparizioni occasionali, giocano un ruolo essenziale anche le madri di alcuni giocatori che inconsciamente spingono i loro figli a partecipare al gioco. Nella società coreana, per quanto la figura femminile sia discriminata, il ruolo della madre occupa una posizione rilevante, con il rapporto madre-figlio assai sentito. E a proposito di madri non dimentichiamoci del quadro clinico poco idilliaco di quella del protagonista, una signora anziana condizionata da un grave diabete impossibilitata a curarlo causa mancanza di fondi. In Corea del Sud l'assistenza sanitaria è universale e finanziata attraverso una combinazione di sussidi governativi e contributi esterni, sebbene una parte significativa dell'assistenza sanitaria sia finanziata privatamente, ma non è gratuita; certo, la grande maggioranza dei coreani possiede l'assicurazione in quanto basta un lavoro in regola e quasi automaticamente si ottiene l'assicurazione, tuttavia le disuguaglianze sociali e le differenze di classe sono tangibili anche nelle cure coreane con cliniche private molto efficienti ma destinate a pochi eletti.
Considerazioni finali
Sulla serie evento targata Netflix potremmo ancora spendere un fiume di parole, in special modo in correlazione con i tanti richiami alla cultura locale che mostrano e attestano un'identità nazionale molto forte. Diversi giochi sono specialità della casa e anche nell'iconico e transnazionale "Un, due, tre, stella" abbiamo un richiamo tipico alla cultura coreana: la gigantesca bambola protagonista del gioco ha le sembianze di Cheol-soo, una bambina solitamente ritratta nei libri di testo delle scuole elementari. Inoltre la melodia che intona è una canzone emblematica in patria in quanto parla di uno specifico fiore molto amato dai coreani, ossia il fiore di mugunghwa, fiore nazionale della Corea del Sud. Dai giochi passiamo poi allo street food locale: Tteokbokki, Ram-don oppure Bungeoppang sono solo alcune delle prelibatezze mostrate nella serie.
Terminiamo l'approfondimento rievocando sia i simboli delle iconiche maschere che richiamano i caratteri dell'alfabeto locale sia i luoghi mostrati o semplicemente citati: dal quartiere di lusso Yeouido, al porto di Moojing, ai vicoli angusti, decadenti ma pieni di vita di Ssangmun-dong fino all'isola di Jeju, luogo sognato e desiderato da una delle concorrenti. Squid Game come abbiamo in parte ricordato è una serie davvero complessa laddove l'intrattenimento e la violenza sensazionalistica e grottesca sono solamente un pretesto per riflettere sulla Corea contemporanea e sui mali di un capitalismo irruento pronto ad inghiottire chiunque e trasportarlo nel baratro più profondo.
Non ho una casa in cui tornare. Qui dentro, ho almeno una possibilità. Ma là fuori? Non ho niente là fuori