Paul, ti presento Melissa
Correva l'anno 2011, ed usciva al cinema una commedia intitolata Le amiche della sposa. Pur essendo, sulla carta, la piattaforma di lancio per la carriera da protagonista di Kristen Wiig (che scrisse anche la sceneggiatura), tra le interpretazioni più memorabili si distinse quella di Melissa McCarthy - all'epoca nota soprattutto per Una mamma per amica - nei panni della deliziosamente sboccata Megan, un tour de force comico che le valse una nomination all'Oscar.
Non c'è quindi da sorprendersi riguardo al fatto che tra lei e il regista Paul Feig, anch'egli promosso a nome di un certo peso dopo una carriera soprattutto televisiva (a lui dobbiamo quel gioiello che è Freaks and Geeks), si sia formato un sodalizio inossidabile: nel 2013 sono tornati in azione con Corpi da reato, questa volta con la McCarthy elevata a rango di co-protagonista al fianco di Sandra Bullock, mentre adesso li ritroviamo grazie a Spy, in attesa del discusso Ghostbusters, previsto per l'estate 2016 (e che vanterà anche il ritorno a casa Feig di Kristen Wiig).
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Uomini e donne
Realizzando Spy, Feig offre un'ottica femminista sulla CIA, sostenendo che le donne siano capaci quanto gli uomini, se non di più. Questo da entrambi i lati della barricata: non solo ci troviamo di fronte ad un'agente qualificatissima nella persona di Susan Cooper (McCarthy), relegata finora al ruolo di assistente per via di una burla del collega Bradley Fine (Jude Law), e ad una capa di tutto rispetto (interpretata da Allison Janney), ma abbiamo a che fare anche con una cattiva di non poco conto, alla quale l'australiana Rose Byrne, già apparsa ne Le amiche della sposa, dà una carica vitale spassosissima (difatti se la cava meno bene Bobby Cannavale nei panni dell'altro villain, tratteggiato in maniera piuttosto superficiale). E se di primo acchito può sembrare che i personaggi maschili siano tutti più o meno imbecilli, Feig aggiusta il tiro precisando che tutti, a prescindere dal sesso, sono tutt'altro che perfetti. E rispetto ai due film precedenti dà del materiale più sostanzioso al cast maschile: Jude Law ci ricorda che sarebbe stato un degno sostituto di Pierce Brosnan nei panni di James Bond, mentre l'inglese Peter Serafinowicz affonda i denti negli stereotipi sugli italiani interpretando Aldo, un agente talentuoso ma anche un po' troppo ossessionato dalle donne, in particolare da Susan.
Spazio all'azione
Spy è una commedia, su questo non ci piove, ma Feig non dimentica di avere a che fare anche con un film d'azione/spionaggio, e costruisce un intreccio che, con qualche gag in meno, non sarebbe fuori luogo in una pellicola di genere più tradizionale. Lo stesso vale per le sequenze d'azione, girate con un autentico amore per la materia prima a disposizione ed elevate al di là della possibile parodia grazie all'arma segreta del film: Jason Statham. La star di The transporter e Crank, abituato ad atmosfere più autoderisorie sin dagli esordi alla corte di Guy Ritchie, si concede qui ad una vera apoteosi di autoironia nei panni del superagente Rick Ford, riconoscendo il proprio status di icona di genere per poi decostruirlo attraverso una serie di dialoghi eccezionali che, con qualche modifica, potrebbero fungere da riassunto della sua filmografia, fatta di personaggi più o meno invincibili. Un esempio: "Ho inghiottito ed espulso talmente tanti microchip da poterci costruire un computer." O ancora: "Sono immune a 179 tipi di veleno. Lo so perché una volta li ho dovuti ingerire tutti insieme." Una performance magnificamente sopra le righe che garantisce la riuscita della pellicola grazie alla chemistry fra Statham e McCarthy. Dati gli incassi del film, non è escluso rivederli un giorno in un sequel, o magari uno spin-off dedicato alle gesta impossibili di Rick Ford, come quella volta che, in macchina, saltò dall'autostrada su un treno mentre andava a fuoco. "Non la macchina. Io andavo a fuoco!".
Movieplayer.it
4.0/5