C'è qualcosa che ti turba quando sei di fronte a M. Night Shyamalan. È una sensazione particolare che nasce da un contrasto forte, una contraddizione straniante creata dal suo aspetto e dal suo cinema. Lo guardi e noti subito un uomo pacato, gentile, dai modi garbati e dall'eloquio posato. Poi, però, torna in mente la sua filmografia impregnata di inquietudine, incubi, attraversata dalla paura più raggelante, e capisci che sotto quelle sembianze scalpita una sensibilità inquieta. Superato questo momento spiazzante, fa piacere poter dare il bentornato alla miglior versione di Shyamalan, un regista che negli ultimi tempi aveva smarrito l'antico smalto, perdendosi dentro film che di grande hanno avuto solo il potenziale (L'ultimo dominatore dell'aria e After Earth).
Se due anni fa il malsano The Visit aveva stuzzicato l'entisiasmo di molti, Split vale come un un gran bel ritorno, un segnale rassicurante (a suo modo, lo è) per tutti i fan che ritenevano Shyamalan perduto, disperso nei vecchi fasti de Il sesto senso e Unbreakable - Il predestinato. Il suo nuovo thriller, addentrato con dovizia di particolari nei meandri più oscuri della psiche umana, rapisce personaggi e spettatori, tenuti col fiato sospeso da uno straordinario James McAvoy dilaniato da 23 personalità differenti. In attesa di una 24esima che sta per scatenarsi.
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Il male instabile
Chi invece ha preferito non scatenarsi più è proprio Shyamalan, perchè il segreto del suo miglior cinema viaggia sottotraccia, non ha bisogno di grandi budget, di ampi scenari, di storie roboanti, ma preferisce nascondersi nelle case isolate, nei villaggi, negli scantinati, nei fiati dei suoi personaggi. Nel corso della conferenza stampa dedicata a Split tenuta a Milano, il regista ha ammesso di aver ritrovato l'ispirazione lontano dai vincoli dei blockbuster, di sentirsi più stimolato dalla necessità di una scrittura in grado di reggere un film senza grandi supporti economici alle spalle. Con Split Shyamalan ritrova lo sguardo spietato di un tempo e le atmosfere opprimenti che ne hanno segnato la cifra stilistica. Lo fa grazie ad un tema a lui caro (la psiche umana), sostenuto da una storia incredibile, quella di Billy Milligan, criminale americano affetto da un disturbo dissociativo dell'identità. Anche lui, proprio come il Kevin di McAvoy, abitato da tante personalità. Alcune innocue, altre decisamente indesiderabili.