Daniele De Rossi è stato definito per anni "capitan futuro", quello che avrebbe dovuto raccogliere il testimone di Francesco Totti come capitano della Roma. Antonio Cassano per il Capitano è stato invece quasi un fratello, quello con cui Totti si è trovato meglio sia dentro che fuori dal campo. In Speravo de morì prima, serie in sei episodi disponibile su Sky, i due calciatori sono interpretati rispettivamente da Marco Rossetti e Antonio Cassano.
I due hanno dei ruoli fondamentali: Cassano/Montesi si manifesta quasi come un spirito, arrivando nei momenti in cui Francesco Totti (Pietro Castellitto), ormai vicino a quarant'anni e alla fine della sua carriera calcistica, si trova a fare i conti con sé stesso e con il tempo. Rossetti/De Rossi è invece il grande talento che deve scontrarsi contro i prescelti, quelli che non solo il talento ce l'hanno ma sembrano destinati a essere costantemente illuminati, mettendo in ombra chi li circonda.
I due attori hanno fatto un gran lavoro sia sul fisico che sull'essenza di questi personaggi, riuscendo allo stesso tempo a rimanere fedeli agli originali e a seguire la sceneggiatura scritta da Stefano Bises a partire dalla biografia di Totti !Un capitano", scritta insieme a Paolo Condò. Ne abbiamo parlato proprio con Gabriel Montesi e Marco Rossetti, raggiunti in collegamento web.
La video intervista a Gabriel Montesi e Marco Rossetti
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Gabriel Montesi è Antonio Cassano
Gabriel Montesi non solo sei un Cassano perfetto, ma sei un Cassano che sembra lo spirito del Natale passato di Dickens come stato unire letteratura alta e popolare?
Ti ringrazio per questa bugia. È stato difficile, ma è stato sicuramente uno spasso mi sono divertito. Diciamo che non sapevo di somigliargli: in realtà un po' ci somigliamo, non soltanto fisicamente, forse un po' nel viso lo ricordo, ma anche caratterialmente. Soprattutto quando ero più giovane, anche se sono un pischello. Effettivamente anche io sono stato un po' pazzerello, uno che andava fuori dagli schemi, è un punto in comune che ho trovato con Cassano. Ho cercato di trovare anche il privato di Antonio Cassano, non soltanto l'immagine pubblica. Ho visionato tanto materiale video, sia online, sia di archivio passatimi della produzione. La cosa più interessante è stata metterlo in relazione con tutti i personaggi della serie. Mi ha reso veramente felice.
Marco Rossetti è Daniele De Rossi
Daniele de Rossi invece parla poco, ma dice tutto con il corpo. Marco Rossetti nella serie sembri veramente un lupo e visto che parliamo della Roma è perfetto. Come hai trovato questo De Rossi animalesco con questo sguardo quasi stralunato?
De Rossi è più questo: è più contenuto, la sua grande grinta e foga agonistica la mette tutta in campo. Fuori è un po' più contenuto. La preparazione per interpretare un personaggio così conosciuto e vivente È stata proprio nell'avvicinarsi a lui fisicamente, per evitare di scimmiottarlo. È vero per ogni personaggio ma per gli sportivi è ancora più importante avvicinarsi a loro con il corpo. È vero, la sceneggiatura non prevedeva una grande partecipazione dialogare da parte di de Rossi, ma il suo ruolo è comunque molto importante. Ho fatto il lavoro dell'attore: mi sono avvicinato fisicamente a un personaggio potentissimo. È stato bellissimo.
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Speravo de morì prima è anche la storia di un'ossessione
Questa è anche la storia di un'ossessione: lo scopriamo proprio in un dialogo tra Totti e Cassano, in cui Cassano dice che la palla è come il mondo, solo che il mondo è più grande. Cassano dice di essere molto più felice ora che è libero da questa ossessione. Anche voi vivete il vostro lavoro come un'ossessione? Se non poteste più fare il vostro lavoro impazzireste come Totti, o sareste più come Cassano?
Rossetti: Sicuramente il nostro lavoro ti mette a dura prova sotto questo punto di vista. Secondo me il lavoro dell'attore consiste nel riuscire a essere saldi quando non si lavora. Oltre a tutta la parte tecnica e di preparazione sostanzialmente è un gioco. Però c'è questa componente di rischio: è qualcosa che diventa un'ossessione, perché si vogliono raggiungere per forza degli obiettivi. Per quanto mi riguarda ormai ho una certa, quindi tutta quella parte di moto interiore del giovane attore l'ho passata. Ma capisco Cassano e capisco Totti. Lo sport ti mette di fronte a te stesso, alla vita, al dover crescere. Sostanzialmente all'accettare che l'età avanza. Per quanto riguarda noi è un continuo ricercare. Quindi è un sì e un no: è un'ossessione, ma se diventa costruttiva è quello che poi ti fa vincere.
Montesi: Sì, sono molto ossessionato da quello che faccio. Lo cerco in ogni cosa che faccio. Questa cosa che dico è anche molto intima: ogni lavoro che faccio per me è un'opportunità di seguirla e indagarla. Mi serve per prendere coscienza. Ecco: prendere coscienza credo sia una grande ossessione. Un'ossessione buona, un'ossessione che magari avessero in molti. Questo prendere coscienza possiamo traslarlo su Francesco Totti: deve accettare che sta invecchiando e deve smettere di giocare a pallone. Deve accettare che è finita. E in qualche modo ritroviamo un Cassano, che è stato sempre quasi un pazzo, uno che non aveva mai la testa sulle spalle quando era il momento di scegliere, è una persona super impulsiva, che in questa serie invece si fa traghettatore di una presa di coscienza, dettata da un momento della sua vita in cui ha preso in considerazione la vita la morte. In quei momenti lì una presa di coscienza ce l'hai su tutto. In qualche modo invecchi di trent'anni.