La recensione di Speravo de morì prima non può che iniziare con un'ovvietà. Chi ha vissuto nell'era della Roma di Francesco Totti lo sa: c'è solo un capitano. La simbiosi di questo sportivo con la squadra e la sua città è totale e unica. Ce lo ha detto lui stesso nel bel documentario di Alex Infascelli Mi chiamo Francesco Totti: Totti non è più Francesco, è diventato un monumento. Come si racconta quindi la storia di un uomo che ormai è più icona che persona? La geniale serie TV scritta da Stefano Bises e diretta da Luca Ribuoli ha trovato la chiave perfetta: scomporre la figura del protagonista, restituendoci uno, nessuno e centomila Francesco Totti che, a seconda di chi lo guarda, cambia di fronte ai nostri occhi.
In sei puntate dal 19 marzo su Sky Atlantic (canale 110 di Sky), Speravo de morì prima racconta gli ultimi due anni di Francesco Totti alla Roma, trasformando fatti realmente accaduti in un vero e proprio racconto epico, con flashback che contribuiscono al mito del campione (la scena con il Papa è emblematica) e una costruzione drammatica che unisce tragedia greca a citazioni pop di grandi classici del cinema, come gli spaghetti western di Sergio Leone o Rocky di Sylvester Stallone. Come spunto iniziale la serie Sky è un po' la risposta italiana a The Last Dance, il documentario sull'ultima stagione di Michael Jordan con i Chicago Bulls, ma qui Bises e i suoi, grazie al racconto di finzione, hanno potuto giocare con stili e generi, introducendo elementi sorprendenti alla semplice biografia dei protagonisti.
In questo senso la scelta di Pietro Castellitto nel ruolo di Francesco Totti è perfetta: guardandolo è evidente che i due non si somiglino, ma, invece di essere un punto a sfavore, è un vantaggio enorme. Castellitto può così concentrarsi sulla voce (chiudendo gli occhi sembra di sentir parlare il vero Totti) e sui tic del personaggio, facendolo suo, restituendoci la figura che ognuno di noi si immagina. Non una vuota imitazione, ma l'essenza stessa di Totti. Un Totti quasi più vero di quello vero.
Francesco Totti contro il tempo
Seguendo lo schema delle storie classiche, se Totti è il nostro eroe ha bisogno di un antagonista. In Speravo de morì prima l'allenatore Luciano Spalletti (interpretato da un Gianmarco Tognazzi semplicemente perfetto) a prima vista sembra svolgere questa funzione. Il loro rapporto idilliaco di dieci anni prima è spezzato da incomprensioni e risentimenti quando il mister fa ritorno alla Roma nel 2016. Il contrasto tra i due ha tenuto banco per tutta quella stagione: frecciatine in conferenza stampa, dichiarazioni di guerra durante le interviste. Vedere Castellitto e Tognazzi scontrarsi verbalmente è un piacere. Non è però l'allenatore il vero villain di questa serie. Anzi: Spalletti, con il suo tormento quasi da amante illuso e ferito, è una figura complessa, umanissima e brillante (lo straordinario episodio della DeLorean di Ritorno al futuro è accaduto davvero). Il vero nemico di Totti è il tempo.
Alex Infascelli su Mi chiamo Francesco Totti: "Parlare con Totti è come parlare con Roma"
Qui la serie vola altissimo: oltre all'umorismo tipicamente romano di cui è piena (battute come "la pasta 50 grammi manco se coce!", Lippi definito "er Paul Newman de Viareggio" rispecchiano un'intera città), Speravo de morì prima diventa davvero un racconto universale quando il protagonista, e tutti quelli che gli stanno attorno, devono fare i conti con gli anni che passano. "Ero sempre il re, ma sul mio trono ora c'era la scadenza": si può essere il più grande atleta del mondo, un artista, un fenomeno, ma sempre fatti di carne e sangue siamo. E di ossa e legamenti che si logorano e si spezzano. Se per ognuno di noi accettare la decadenza, e quindi la morte, è difficilissimo, lo è ancora di più per chi sente di aver avuto un dono, un'abilità, uno scopo che ha dato senso e spinta a tutta la sua vita.
Speravo de morì prima: Francesco Totti tra reazioni e (possibili) polemiche
Antonio Cassano come lo spirito del Natale Passato
Come in Canto di Natale di Charles Dickens, Speravo de morì prima mette continuamente il suo protagonista di fronte alle sue mancanze, alle sue debolezze, a ciò che è stato e non sarà mai. C'è perfino l'equivalente dello Spirito del Natale Passato, ovvero il magnifico Antonio Cassano di Gabriel Montesi. L'ex compagno di squadra e amico fraterno di Totti (a inizio anni 2000 il capitano lo portò davvero a vivere a casa sua, diventando uno di famiglia) nella serie si manifesta come un fantasma, una figura misteriosa con cui il protagonista dialoga e a cui confessa, in mezzo a un mare di imprecazioni, tutte le sue angosce. Nonostante nel vocabolario della lingua italiana sia presente dal 2008 il neologismo "cassanata", qui Cassano è una figura piena di goliardia quanto di saggezza. È lui a dire a Totti: "La palla è come il mondo, solo che il mondo è più grande." Parole sacrosante. Ma non per qualcuno che, come solo i grandissimi, ha fatto della propria passione un'ossessione.
Mi chiamo Francesco Totti, Alex Infascelli: "Totti è come Kurt Cobain o Gesù Cristo"
Un'ossessione di cui a sua volta è oggetto: a raccontare quanto il calciatore abbia significato per i romanisti e i romani sono proprio persone normali. Imbianchini, fruttivendoli, coppie che fanno la spesa partecipano al racconto ritratti nella loro quotidianità, come un coro che sottolinea il pathos di ciò che è in scena. Per non parlare della voce incessante delle radio, nella Capitale ce ne sono ben 7 interamente dedicate alla squadra, che per anni hanno parlato ogni giorno "der Pupone", "der Capitano", "dell'Ottavo re de Roma".
Ilary Blasi, la voce della ragione
Per anni hanno riempito i giornali sportivi e di gossip. Oggi, attraverso Instagram, ci regalano dei momenti quotidiani degni di Sandra e Raimondo. Francesco Totti e Ilary Blasi sono una delle coppie più amate e durature dello spettacolo italiano. Nonostante rappresentino il più abusato cliché dello showbiz (lo dice la stessa Ilary interpretata da Greta Scarano, anche lei bravissima), ovvero il calciatore e la velina, hanno saputo costruire una famiglia e una mitologia solidissima. Il rapporto con la moglie è fondamentale: è proprio Ilary la voce della ragione della serie e dello stesso Totti. Razionale e concreta, è la roccia a cui si affidano tutti e che fa maturare figli e Pupone, senza rinunciare alla propria identità e carriera (l'episodio della proposta di matrimonio mette bene in chiaro il personaggio). Insieme sono una potenza: i Macbeth dell'EUR.
Mi chiamo Francesco Totti: la storia del Capitano è quella di Roma
La famiglia per Totti sembra essere l'unica cosa importante come il pallone: prima legatissimo ai suoi genitori (qui con le facce e l'esperienza di Monica Guerritore e Giorgio Colangeli), cresciuto con i suoi cugini, nella serie il numero 10 della Roma è anche una bella figura paterna: parla e si confronta continuamente con Cristian, Chanel e Isabel, a volte risultando più immaturo di loro, ma sempre complice e affettuoso. Anche qui, un aspetto che magari non tutti conoscevamo, o che comunque serve a trasformare ancora di più questa storia in un racconto in cui tutti possano riconoscersi, tifosi e non. Perfino i laziali.
Un cast in stato di grazia
Se tutto il cast, tutto, dalle comparse, alle guest star di lusso (vi lasciamo il gusto di scoprirle da soli), ai protagonisti, è in stato di grazia (anche Marco Rossetti nel ruolo di Daniele De Rossi è perfetto: guarda molto con occhio da lupo e parla poco, ma quando lo fa è decisivo), la scrittura è la vera forza di Speravo de morì prima. Laddove si sarebbe potuto facilmente mettere in scena in modo standard una storia nota, si è scelto invece di seguire l'estro, il genio, l'ispirazione del momento. Proprio come Totti a centrocampo. E quindi daje di fermo immagine, scene oniriche alla David Lynch (il momento nel negozio di ferramenta durante l'operazione alla caviglia è poesia), musicisti che irrompono in scena accompagnando i protagonisti, abbattimento della quarta parete. Tutto è raccontato in modo mai banale e sorprendente in questi sei episodi.
Infine una nota di merito proprio allo stesso Castellitto. Non soltanto attore, ma anche regista e sceneggiatore: e si vede. È uno di quei rarissimi talenti talmente consapevoli del disegno generale, che scrive il personaggio con la sua interpretazione, creando momenti e situazioni che esaltano una già buonissima sceneggiatura. Ogni tic (le unghie), ogni peculiarità (la mania delle carte da gioco) diventano spunti per arricchire la scena. Quasi meglio di "un cucchiaio".
Conclusioni
Come scritto nella recensione di Speravo de morì prima, la serie tv prodotta da Sky e Wildside è la risposta tutta italiana al documentario The Last Dance: in sei episodi si raccontano gli ultimi due anni di Francesco Totti come capitano della Roma. Elementi biografici e di finzione si fondono perfettamente, in un racconto dalla struttura classica, in cui Totti è l’eroe e il tempo è l’antagonista. Scritta in modo brillante, unendo elementi da tragedia greca a citazioni pop, la serie può contare su un cast perfetto, a cominciare dal protagonista Pietro Castellitto, che non si limita a restituire una semplice imitazione dell’originale, ma è riuscito a catturarne l’essenza.
Perché ci piace
- La scrittura di Stefano Bises, che unisce tragedia greca e pop, è brillante.
- Il cast, a cominciare dal protagonista Pietro Castellitto, è in stato di grazia.
- La colonna sonora.
- Le citazioni cinefile.
- Le guest star d’eccezione.
Cosa non va
- Soltanto un laziale potrebbe avere da ridire.