Ci hanno insegnato che le fiabe iniziano con "c'era una volta". Questa inizia con "non c'era più". Non c'era più Diana Spencer. Si era persa, smarrita, evaporata nella sua gabbia dorata senza ossigeno. Insofferente all'etica di corte e alle etichette dei suoi vestiti programmati per ogni occasione. Apriamo la nostra recensione di Spencer rievocando il senso di oppressione perenne che invade tutto il nuovo film di Pablo Larraìn. Lo avevamo intuito guardando la splendida locandina, in cui la Principessa del Galles si nasconde, si nega ai nostri occhi, come in un moto di rigetto. Un crampo allo stomaco avvertito anche da Larràin, forse nauseato da tutta la sovraesposizione mediatica che non ha risparmiato Lady Diana nemmeno da morta. Per questo Spencer si permette il lusso di dare tante cose per scontate. Il pubblico sa tutto, sa troppo, e non c'è bisogno di ripercorrere ancora le tappe di una vita stropicciata da anni. Così Larraìn si focalizza su un weekend decisivo. Soltanto tre giorni in cui Lady Diana (anzi Diana Spencer) combatte una battaglia psicologica tutta sua, sospesa tra sconforto e slanci vitali. Ambientato tra la vigilia di Natale e il boxing day (Santo Stefano), Spencer ritrae Diana con amore, passione e rispetto. E sancisce la dolorosa rinascita di una principessa triste con un film da Leone D'Oro.
Strati di Diana
Jackie Spencer. Potremmo leggere due film diversi come un nome e un cognome legati tra loro. Se cinque anni fa Jackie fece breccia raccontando una donna all'ombra di un uomo ingombrante, adesso Spencer vuole cambiare prospettiva in modo diverso. Questa volta è Diana che fa ombra a Spencer. Sono gli onori della principessa che soffocano gli oneri di una donna. La negazione del nome pubblico di Diana è una dichiarazione di intenti potentissima sin dal titolo, e infatti Spencer fa questo tutto il tempo: protegge la persona mentre fa a pezzi l'immagine pubblica, rinnega quello che sappiamo tutti provando a immaginare quello che non ha visto nessuno. Per fare una cosa del genere ci vuole un tatto raro, e Pablo Larrain ha il garbo per riuscirci alla grande. Con uno sguardo sempre più empatico il suo Spencer spoglia Lady Diana poco per volta, la sveste letteralmente dei suoi abiti sontuosi per dare finalmente respiro al suo cuore ferito.
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Un processo graduale, che parte dai malesseri della principessa oppressa e poi la abbandona per fare spazio alla figlia che non è più, alla moglie che non riesce a essere, alla madre che vorrebbe diventare. Il tutto raccontato attraverso scorci di normalità guadagnati a fatica e sequenze visionarie credibilissime. Immerso dentro un incubo patinato (esaltato dalla grana pastosa della pellicola), Spencer è pieno di scene destabilizzanti, in cui la forza immaginifica del cinema scuote e disegna grandi allegorie senza mai cadere nel retorico, nel ricattatorio e in tentazioni voyeur.
Reale, non regale
La morte di Diana ha sconvolto il mondo, ma Larraìn è stato capace di raccontare come una persona possa morire ogni giorno. Continuare a fare quello che si è sempre fatto logora, castra, uccide. Questo vale per Spencer e per l'ultimo dei sudditi. Incredibile come Spencer riesca a fare una cosa difficilissima, ovvero partire da Diana senza fermarsi a Diana, ma allargando gli orizzonti di una storia sempre più universale. Sostenuto dall'ispirata sceneggiatura di Steven Knight, Larraìn eleva Diana a personaggio esemplare per raccontare la forza della vita che si ribella al peso della tradizione, dell'abitudine e dell'accontentarsi. Laddove la vita regale è prevedibile, la vita vera destabilizza, scuote, mette in discussione. Un processo di consapevolezza che Spencer mette in scena facendoci entrare negli spazi mentali di Diana: a volte claustrofobici e opprimenti come le stanze di una magione, altre aperti e luminosi come una brughiera piena di verde. Niente di tutto questo avrebbe effetto senza una Kristen Stewart perfetta nel rievocare senza imitare mai. Un'attrice alla prova di maturità definitiva, che si muove per il film in punta di piedi, restando sempre in equilibrio. Larraìn le sta addosso tutto il tempo, ne carpisce i tremori del mento, la tristezza negli occhi e la timidezza della postura. Con la cura di un attento giardiniere, Larraìn prima getta terra bruciata attorno a questa principessa-vedova e poi le semina attorno tanti motivi per sbocciare di nuovo. Se Spencer ci regala un biopic atipico e prorompente, è grazie al coraggio di un autore che delle buone maniere non sa che farsene. Fregandosene delle regole del genere, Larraìn calpesta aspettative e confronti, dando vita a un film che corre libero e fiero verso il grande cinema.
Conclusioni
Non abbiamo avuto paura di sbilanciarci nella recensione di Spencer. Secondo noi il nuovo film di Pablo Larraìn è un’opera da Leone d’Oro, la consacrazione di un grande regista interessato a raccontare le grandi donne del Novecento con sguardo empatico e tatto raro. Dopo essere stata raccontata tante, troppe volte, Lady Diana trova in Spencer il suo ritratto definitivo attraverso una storia intima e universale, che abbraccia la donna soffocata dagli abiti della principessa.
Perché ci piace
- Raccontare Diana in modo nuovo, commovente e significativo era difficilissimo, e Larraìn ci è riuscito alla perfezione.
- Kirsten Stewart dipinge una rievocazione che non cade mai nell’imitazione.
- La sceneggiatura di Steven Knight è particolarmente a fuoco.
- La messa in scena è elegante, evocativa e potente.
Cosa non va
- Chi si aspetta un biopic classico sarà deluso.