Nell'ultimo decennio la fantascienza coreana, passo dopo passo, è riuscita a raggiungere un proprio target esplorando con inventiva ed intelligenza diversi sotto-generi: cyberpunk, techno-thriller, horror-fantasy, tech-noir e addirittura il super-hero movie; tutti terreni ormai prediletti dai registi locali. Ad ogni modo, un palcoscenico poco trattato dagli addetti lavori riguarda l'esplorazione spaziale; un genere particolare, in passato intravisto ed amato da una certa fascia di pubblico ma poi abbandonato da tutti, almeno fino ad oggi con l'affermazione del K-Space.
Kim Cheong-Gi, il progenitore del K-Space
Fantascienza spaziale e Corea del Sud si incontrano prepotentemente intorno agli anni Settanta. È il periodo della "Go Nagai mania", il celeberrimo mangaka, inventore del genere super robot (ma non solo), ha ormai conquistato l'intero globo ed i giovani coreani non sono da meno. Certo il governo autoctono, dopo la nefasta occupazione nipponica, aveva limitato l'importazione delle opere giapponesi ma i cult di Gô Nagai arrivarono ugualmente senza problemi.
I fanciulli coreani rimangono ammaliati dai robot luccicanti e grandi, oppure stimano non poco i coraggiosi piloti che si oppongono agli invasori alieni.
Tutto questo clamore viene diligentemente registrato dall'animatore Kim Cheong-Gi, il quale nel 1976 realizza un film animato destinato a fare la storia del paese: nasce Robot Taekwon V.
Primo aspetto significativo dell'opera riguarda il produttore: Yu Hyun-mok, uno dei massimi autori del cinema coreano dell'epoca.
Yu Hyun-mok è un regista intellettuale, attento ai cambiamenti sociali del paese, cambiamenti affrontati dal cineasta con piglio a volte realista, altre volte modernista o espressionista. Detto ciò, il maestro si fida del giovane di Kim Cheong-Gi e gli dà carta bianca.
Kim Cheong-Gi furbescamente, ai limiti del plagio, prende Go Nagai come punto di riferimento principale e crea il suo Mazinga coreano regalando ai connazionali un eroe tutto loro. Dal mecha-design ai personaggi, i richiami a Nagai sono lampanti ma Kim Cheong-Gi ha un preciso intento, contestualizzare il richiamo estero; ed ecco che il robottone ed il suo pilota umano diventano degli esperti di taekwondo, sport nazionale del paese.
Il film è scandito da tale sport, protagonista assoluto al punto da essere proposto su più livelli. Il giovane pilota si sconterà fisicamente con diversi personaggi, oppure ci saranno dei flashback che rievocano i suoi duri allenamenti tra pugni circolari e colpi ad ascia, fino al robot stesso che lotta sfoderando calci frontali, spesso preferiti a laser o spadate.
Il film registra un successo clamoroso e lancia Kim Cheong-Gi nell'olimpo degli animatori locali. L'autore, pur continuando a navigare sui lidi dell'animazione, vuole diversificare la sua arte e nel 1986 alza nuovamente l'asticella. Esce nelle sale locali Ureme from Beyond.
Il film riporta in auge la passione gonaghiana, amalgamata con un'altra tipicità giapponese, filtrata sempre con occhi coreani: il Tokusatsu. Il lungometraggio è pertanto un action-spaziale caciarone e tambureggiante che strizza l'occhio a serie giapponesi come Himitsu sentai Goranger, Kyōryū sentai Zyuranger oppure gli americani Power Rangers. Serie improntante esclusivamente su azione e primitivi effetti speciali e visivi, indirizzate prevalentemente ad un pubblico assai giovanile.
Pubblico che ha apprezzato e non poco la pellicola, richiedendo a gran voce il sequel. Kim Cheong-Gi astutamente accontenta la giovane platea e piazza ben 8 film della saga, realizzati tra il 1986 ed il 1993. A questo punto l'industria coreana, considerando i costi elevati dei prodotti e il pubblico di riferimento troppo specifico, decide di abbandonare il sotto-genere, almeno fino al 2021.
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Space Sweepers: l'epopea spaziale
Nel 2021 Netflix, un po' a sorpresa, distribuisce il primo blockbuster coreano spaziale: Space Sweepers. L'opera in realtà doveva uscire molto prima ma a causa del Covid 19 ha subito rinvii su rinvii. Il progetto inoltre nasce da molto lontano; già nel 2011 l'allora trentenne Jo Sung-hee, dopo un proficuo confronto con un caro amico (forse il regista Yoon Sung-hyun?), comprende la pericolisità dei detriti spaziali, in continuo aumento, le cui collisioni potrebbero causare enormi danni. Il tema lo reputa interessante tuttavia ci metterà quasi dieci anni a trovare lo sponsor giusto.
Space Sweepers pertanto racconta a grandi linee la storia di un team piratesco di "spazzini spaziali" attenti a recuperare più detriti possibili, oltre che a sventare una minaccia galattica. Jo Sung-hee riesce a proporre un universo visivo-narrativo assai eterogeneo, spaziando con nonchalance da omaggi all'animazione e al manga giapponese (Planetes, Ghost in the Shell, Cowboy Bebop, Space Dandy) fino all'epica saga di Star Wars, senza dimenticare richiami sentiti a Neill Blomkamp, arrivando persino all'universo videoludico (Metal Gear).
Caleidoscopio clamoroso, inserito però in un'ottica tipicamente coreana laddove lo sguardo sociale è presente fin dalle prime inquadrature. Enormi disuguaglianze sociali, razzismo verso gli immigrati, presenza ostile targata U.S.A. e classe dirigenziale oziosa, inefficiente e capitalista sono argomenti ben radicati nell'opera. Argomenti seri ma non pedanti, grazie ad un ritmo tonitruante tra inseguimenti spaziali vorticosi ed ultra-tech, scambi di battute pungenti e spassosi o brutali e realistici assalti della polizia. È ufficialmente nato il K-Space o meglio il K-uju.
The Silent Sea e la luna oscura
Space Sweepers ha registrato numeri interessanti; al debutto è risultato essere il film più visto in almeno 16 paesi, per giorni è entrato poi in altrettante top ten Netflix, inoltre ha raccolto più di 26 milioni di telespettatori online durante i primi 28 giorni dalla sua uscita.
Numeri importanti che hanno spinto la nota piattaforma a continuare ad esplorare il genere, ed ecco che verso la fine del 2021 esce The Silent Sea, diretta dalla giovane promessa Choi Hang-yong e prodotta dal divo Jung Woo-sung.
The Silet Sea è una serie altamente ridleyscottiana, laddove la saga di Alien è ispezionata con il microscopio. I richiami sono tantissimi e inconfutabili ma, come visto in Space Sweepers, vengono contestualizzati e filtrati da un approccio tipicamente locale.
La serie pertanto presenta una fortissima critica socio-politica, ragionando inoltre su problematiche attuali come la crisi idrica. Non a caso l'opera si apre con una Seul a secco di acqua: la città è sull'orlo del collasso ed il governo organizza così una spedizione lunare, al fine di recuperare un misterioso campione che potrebbe salvare il genere umano. Un governo ovviamente compromesso che ha causato più danni che pregi
Nella serie non mancano poi arditi complotti, nefaste operazioni governative/militari e oscure presenze. The Silet Sea è composta da 8 magnifici episodi, incredibilmente tesi e distinti da una regia stratificata, elegante e geniale. Vi citiamo solamente il piano sequenza iniziale, altamente claustrofobico, con una camera snodata ed incontrollabile attenta ad immortale un allunaggio funesto. Visionari poi i segmenti onirici e metafisici che mostrano la morte di alcuni personaggi per annegamento. Nel corso degli episodi altresì si susseguiranno magnificamente: soggettive, false soggettive, jump-scares azzeccati ed imprevedibili, slow-motion enfatici, flashback narrativi e "politici" fino a movimenti di camera estensivi/tensivi dal forte impatto visivo: tutte soluzioni utili ad evidenziare e a farci comprendere lo spaesamento e la paura dei soggetti, intrappolati in un inferno lunare. Mastodontico infine il cast: Gong Yoo e Bae Doo-na sono due leggende ormai note a livello internazionale.
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Alienoid: alieni, androidi e wuxiapian
Quest'estate, le sale cinematografiche coreane erano in forte fermento; tutti aspettavano l'uscita di Alienoid, ultima fatica del maestro indiscusso del box office Choi Dong-hoon. Il regista è tra le massime personalità artistiche del paese, autore di grandi blockbuster tanto autoriali quanto commerciali (The Thieves o Assassination).
Le premesse dell'ennesimo successo sembravano quindi scontate tuttavia nessuno ha fatto i conti con l'ego ed il genio di Choi Dong-hoon, per la prima volta incompreso dal pubblico. Alienoid è un film folle, denso e pieno di idee, al punto da essere diviso in due parti (girate però back to back). Il regista ha impiegato quasi tre anni solo per completare la sceneggiatura e ben due per la pre-produzione e riprese. La cosa che più colpisce, e allo stesso tempo confonde del film, è la sua duplice struttura temporale. Il lungometraggio, senza soluzione di continuità, si alterna tra il presente e l'anno 1381; annate proposte di volta in volta con stili e approcci molto diversi, non sempre armoniosamente mescolati: certo il tutto segue un sottilissimo filo logico-narrativo, ma a volte la struttura temporale e stilistica risulta confusionaria e straniante.
Il film essenzialmente racconta di alieni preistorici, imprigionati dentro corpi umani; alieni che improvvisamente possono prendere il possesso dell'ospite seminando il caos. Il segmento ambientato nel presente, dopo un incipit "spaziale" intrigante, predilige un approccio cyberpunk post-moderno costellato da momenti di puro crime-thriller o tokusatsu: con adroidi che lottano in spazi angusti a colpi di laser e pugni oppure alieni che uccidono brutalmente umani inermi. Completamente differente la parte ambientata nel passato, laddove il regista realizza un atto d'amore al wuxiapian fantasy made in Hong Kong, andando a rimescolare a proprio piacimento i richiami più disparati: da Legend of the Mountain di King Hu a The Dead and the Deadly di Wu Ma, passando per A Chinese Odyssey di Jeffrey Lau fino ai lavori di Tsui Hark e Jackie Chan.
Questa particolare parte è distinta da oggetti magici in grado di trasformare uomini in gatti, da peripezie acrobatiche clamorose, influenze taoiste, gag slapstick, arrivando persino a segmenti orrorifici-demenziali tipici di un certo cinema di Sammo Hung e Ricky Lau. Opera strana, non del tutto compresa dal pubblico (flop al botteghino) ma che dimostra una volta di più la voglia e la determinazione dell'industria coreana nel continuare una ricerca stilistica improntata sull'omaggio, sulla mescolanza e sull'identità nazionale.