Se il talento potesse davvero entrare in un pallone da basket, per Michael Jordan servirebbero stadi interi, stracolmi, gremiti di palle arancioni. Perché ci sono sport che spesso trovano dei meravigliosi interpreti, e altri che di rado scoprono la loro più intima essenza. Come Federer per il tennis, come Maradona per il calcio, come Schumacher per la Formula 1, sua Altezza Aerea ha incarnato la grazia di un tiro da tre e l'impeto inarrestabile di una schiacciata a canestro. Gigante gentile con il vezzo della lingua da fuori per sintonizzarsi con la concentrazione, Michael Jordan è inequivocabilmente il basket, non un suo giocatore. Il Signore del parquet, cresciuto con un padre amato che lo incitava a percorrere la via del baseball, non si è certo fermato al lucido rettangolo in legno o alla celebre canottiera numero 23 dei Chicago Bulls. No, il buon Michael è andato oltre, sempre più in alto, come gli è sempre riuscito così bene. Icona, mito, leggenda, persino brand, His Airness approda anche in un altro rettangolo magico, dentro un grande schermo psichedelico, pronto a far impazzire i suoi fan e a conquistare schiere intere di bambini.
Il 15 novembre 1996, seppur dal basso del suo scarso metro d'altezza, Bugs Bunny gli dà il cinque e lo ingaggia per la sua folle squadra dei Looney Toones. Daffy Duck che riceve palla da Taddeo, la smista a Gatto Silvestro che la passa a Michael Jordan per un formidabile smash. Quello che sembra solo il sogno proibito di una mente folle, con Space Jam diventa finalmente realtà. Quella fortunata miscela (o meglio, marmellata) di cartone animato e film in live action si è imposta nel tempo come un piccolo cult, una commedia spensierata dove sport, sana competizione e ironia erano gli ingredienti perfetti per un ottimo esempio di intrattenimento familiare. Dopo aver consumato VHS e smesso di contare gli immancabili passaggi televisivi, a 20 anni dall'uscita del film di Joe Pytka, ne (ri)scopriamo 10 segreti, partendo dal più lampante: il vero alieno in questo film non è un mostro verde, e nemmeno qualche bizzarra creatura arancione o bluastra, ma un signore di quasi due metri, nato a New York nell'inverno del 1963, oggi aitante 53 enne, ancora ben camuffato da essere umano.
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1. Galeotto fu lo spot
Gambe divaricate, il braccio destro proteso in volo verso un glorioso canestro, la mano sinistra aperta, quasi a trovare l'equilibrio perfetto. Michael Jordan è riassunto in un logo, quello della Air Jordan, linea di abbigliamento dedicata e ispirata al nostro cestista. Il brand della Nike nasce nel 1985, soltanto un anno dopo l'esordio di Jordan nella NBA, esclusivamente legato al mondo delle scarpe da basket. E fu proprio una serie di spot della celebre azienda americana a porre le basi per Space Jam. Infatti, tra il 1992 e 1993 Michael, Bugs Bunny e Porky Pig si erano già avventurati tra canestri e pianeti per il bene della "dea" Nike.
2. Mi è semblato di vedele un marchio
I Looney Toones visti come ambite attrazioni per turisti, Jordan incensato quasi come eroe nazionale, la Warner Bros. e lo sport americano uniti contro temibili nemici. L'anima commerciale (e patriottica) di Space Jam è più che evidente, e nemmeno nascosta con ruffianeria, anzi, trattata con molta autoironia. Il film, tra l'altro, è diretto da un veterano degli spot come Pytka (il suo curriculum ci sono pubblicità per Pepsi, Apple, Budweiser). Oltre ad un product placement molto fitto, segnaliamo due momenti ben precisi che sottolineano la storica vocazione americana per il marketing. Il primo avviene quando Stan, l'ombra appiccicosa di Jordan, sprona il campione dicendogli: "Allacciati le tue Nike, prendi i tuoi cereali e un Gatorade. I Big Mac li compriamo lungo il tragitto". Il secondo riferimento lo troviamo in una discussione tra Bugs Bunny e Daffy Duck, che si lamentano per non aver mai visto un soldo del merchandising legato ai Looney Toones.
3. 1996: United Sports of America
Quando si parla di spettacolo, negli Stati Uniti poche cose avvengono per caso, e molto viene ponderato, studiato a tavolino in ogni dettaglio. Una regola che vale ancora di più quando si tratta di cinema e sport, due tra i palcoscenici preferiti dagli americani. Due mondi da sempre molto connessi tra loro, ma che nel 1996 si legano in maniera ancora più forte. Perché? Nel 1996 gli States ospitano le Olimpiadi, giocate in quel di Atlanta; una ghiotta occasione per produrre una serie di film sportivi in grado, magari, di spaziare tra più discipline. Così ecco star come Tom Cruise nell'apprezzato Jerry Maguire, spietato retroscena del football americano, Kevin Costner alle prese con il golf in Tin Cup e Robert De Niro con il baseball in The fan - Il mito. E Space Jam, ovviamente.
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4. Doppiatori insoliti
Un morso ad una carota, un sorrisino beffardo e poi l'immancabile battuta: "Che succede, amico?". Una sola frase per tante voci. Bugs Bunny, in America come in Italia, ha visto tantissimi doppiatori avvicendarsi in cabina di doppiaggio (ricordiamo Oreste Lionello e persino una donna: Rosalinda Galli). In Space Jam la voce del grigio coniglio è di Massimo Giuliani (che gli aveva prestato la voce già nella serie animata Animaniacs), mentre per la maggior parte degli altri Looney Toones si tratta della prima apparizione con voci totalmente inedite. E a proposito di "esordi", bisogna ricordare la prima esperienza al leggio di Simona Ventura (Lola Bunny) e l'assolutamente riuscita intuizione di affidare al grande Sandro Ciotti la parte del topolino-speaker e a Giampiero Galeazzi (in originale Danny DeVito) i panni del corpulento villain Mr. Swackhammer.
5. La superstizione del campione
In Space Jam Micheal Jordan si conferma un campione dal talento cristallino, un leader orgoglioso, un grande motivatore. Eppure anche le leggende come lui hanno qualche vezzo, qualche piccolo punto debole. Nel caso di Jordan parliamo di una sua reale superstizione, riportata fedelmente anche in Space Jam. Nel film, infatti, Jordan si rifiuta di scendere in campo senza i suoi immancabili calzoncini, costringendo Bugs Bunny e Duffy Duck ad un'affannosa ricerca. Nel corso della sua carriera, invece, il totem immancabile era un paio di pantaloncini, dal quale Jordan non si è mai separato dal 1982 in poi. Indossati nel corso di una fondamentale vittoria ai tempi delle giovanili nel North Carolina, i pantaloncini erano ritenuti fondamentali portafortuna. Questa credenza influì persino sulle divise dell'intera NBA, portando alla produzione di pantaloncini sempre più larghi, in modo che Jordan potesse coprire i suoi fedelissimi compagni di gioco.
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6. Realtà spaziale
Space Jam è un film a tecnica mista, non solo perché concilia animazione e live action, ma perché fa convivere l'immaginazione più spinta (il mondo iperbolico dei Looney Toones) con la realtà autentica. Oltre a Michael Jordan, infatti, ci sono tanti altri personaggi che interpretano se stessi. I cinque giocatori a cui viene "rubato il talento" sono veri professionisti dell' NBA: Charles Barkley, al tempo tra le fila dei Phoenix Suns, Patrick Ewing dei Knicks, il gigante Shawn Bradley (2 metri e 29 centimetri) dei Philadelphia 76ers, Larry Johnson e Muggsy Bogues (il più basso della storia della lega), compagni di squadra degli Charlotte Hornets. Senza dimenticare i cameo del coach Del Harris, dell'ex giocatore-allenatore Larry Bird e soprattutto Bill Murray, marginale ma "decisivo" per le sorti del match, come i solo i fuoriclasse come lui sanno fare.
7. Lo strano destino di Wayne Knight
Negli Stati Uniti è noto soprattutto per la serie tv Seinfeld, ma nel resto del mondo quell'occhialuto pacioccone di Wayne Knight è e rimarrà sempre il goffo Dennis Nerdy di Jurassic Park. È curioso come, a distanza di soli tre anni, l'attore americano ritorni in un film dove si parla di nuovo di parchi divertimenti, ancora una volta nei panni di spalla comica petulante, ancora una volta segnato da un triste destino. In Space Jam viene schiacciato dall'intera squadra dei Monstars, mentre in Jurassic Park... lo ricordiamo tutti, andiamo.
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8. Un atleta instancabile
Le riprese del film avvennero in California, nell'estate del 1995, periodo in cui Michael Jordan sta preparando il suo grande ritorno al basket dopo il primo dei suoi due addii "pentiti" allo sport. Per far sì che la forma fisica fosse sempre al meglio e che ogni singolo muscolo fosse tirato a lucido, la Warner costruì un campo da basket appositamente per Jordan. Voci di corridoio raccontano di un uomo davvero iperattivo, incapace di stare fermo, tanto da impegnarsi spesso anche in lunghe session di ping pong.
9. Polvere di stelle
Cosa rimane di Space Jam a distanza di 20 anni? Sicuramente una rivalutazione generale, perché alla sua uscita il film fu accolto tiepidamente dalla critica, ma promosso dal grande Roger Ebert che lo premiò con tre stelle e mezza su quattro. Però la conferma definitiva, come sempre, arriva dal box office: il film ha incassato oltre 230 milioni di dollari, tanto da aver incoraggiato la produzione di un sequel, in cantiere dal 2014. Il film, ancora senza una data di uscita, dovrebbe arrivare nel 2017, sarà diretto da Justin Lin e avrà come protagonista LeBron James. Infine, ci teniamo a segnalarvi un dettaglio: il sito di Space Jam è ancora on line, e ha le stesse, tenere, fattezze del 1996. Uno sfondo stellato ai limiti del kitsch e una mappa galattica ci guidano tra i retroscena del film, in un trionfo nostalgico del web 1.0 (lo trovate qui).
10. Aggrapparsi al canestro (del cinema)
La meraviglia del cinema per beffare i dolori della vita, sorrisi animati per lenire vecchie ferite. Space Jam, oltre ad un carnevale esplosivo di colori e semplice comicità, è servito anche ad esorcizzare un periodo buio per Michael Jordan. Nel 1993 suo padre, di ritorno da un funerale, fu aggredito, derubato e ucciso sul ciglio di una strada, dove si era fermato per riposarsi dalla guida. Il forte legame tra Jordan e suo padre azzera motivazioni ed entusiasmo nell'atleta, spingendo l'idolo dei Chicago Bulls al ritiro. Un legame che si manifesta poi con la scelta di dedicarsi per qualche tempo al baseball, vecchia passione paterna. Tutto questo viene raccontato nel film, aperto con una scena dedicata all'infanzia di Michael. Sulle note di I Believe I Can Fly di R. Kelly, padre e figlio parlano di passione, obiettivi, speranze. Il titolo della canzone profetizza il volo finale di Jordan, decisivo per l'ultima schiacciata a canestro. Ma nonostante i mostri alle calcagna, l'incombere della sirena e il braccio lungo metri, Jordan in carriera ha fatto persino di meglio.