Recensione Leggenda assassina (2005)

Il divertissement landisiano coglie nel segno, e grazie alla professionalità del suo autore riesce a intrattenere con stile e mestiere.

Sotto il vestito... gambe da cervo

Tra i registi che hanno dato vita al progetto Masters of Horror, quasi tutti "alfieri" del genere negli anni '70 e '80, ce ne sono alcuni che, per i più svariati motivi, non hanno prodotto praticamente più nulla di apprezzabile da molti anni a questa parte. John Landis, indimenticato regista di cult come Animal House, The Blues Brothers e (nel genere in questione) Un lupo mannaro americano a Londra, è sicuramente tra questi: ridotto praticamente al silenzio da un decennio, dopo il trascurabile Blues Brothers - Il mito continua (datato 1998), Landis ha vivacchiato di rendita negli ultimi anni, dedicandosi principalmente a regie televisive. In quest'ambito rientra questo Deer Woman, mediometraggio con cui il regista americano ha inteso ricreare il mood, a metà tra horror e humuor nero, che fece la fortuna del suo classico licantropico degli anni '80: il risultato, pur tenendo presenti i limiti intrinseci dell'operazione e i confini ben precisi in cui essa è stata pensata, è riuscito e godibile, un gradevole esempio di commedia horror che fa rimpiangere ancor più la lontananza di Landis dalle sale cinematografiche.

La trama è semplice: Dwight Faraday, poliziotto in piena crisi personale e familiare, sta indagando su una serie di efferati omicidi, accomunati dalla ferocia con cui l'assassino ha infierito sui corpi e dall'inspiegabile presenza di impronte di cervo sui cadaveri. Il filo conduttore sembra essere una bellissima donna con cui tutte le vittime sono state viste poco prima della morte: tra lo scetticismo e la derisione dei suoi colleghi, il protagonista scopre l'antica leggenda indiana della donna cervo, creatura antropomorfa con le gambe di cervo che seduce gli uomini e poi li uccide. Dwight avrà così l'occasione di riparare all'antico errore che nel passato lo fece precipitare nel baratro, ma sarà costretto ad agire, praticamente, da solo.

Landis si affida a una solida sceneggiatura, scritta insieme al figlio Max, per confezionare un prodotto in cui lo splatter è immaginato, suggerito piuttosto che mostrato, e la maggior parte della tensione si basa sul dipanarsi dell'indagine e sulla curiosità per la figura del protagonista. Personaggio, quest'ultimo, che sembra uscito da una pellicola noir anni '50, quasi chandleriano nella sua disillusione e nel suo carattere di individuo segnato dai casi della vita; Landis, tuttavia, smonta questi elementi con un'ironia corrosiva, a tratti scatenata, che si esplicita in sequenze esilaranti (vedi le tre diverse ricostruzioni del primo omicidio immaginate dal confuso protagonista), sempre segnate dal suo inconfondibile tocco anarchico e scanzonato. Il regista si abbandona persino a un'autocitazione quando fa ricordare al protagonista che "a Londra nel 1981 una serie di brutali attacchi furono attribuiti a un lupo mannaro, che fu poi abbattuto a Piccadilly Circus". Il fascino della leggenda indiana da cui la storia trae spunto è reso con sufficiente efficacia, e la donna cervo Cinthia Moura è realmente mozzafiato (anche se, guardandola, resta un po' difficile credere che abbia realmente gambe da cervo).

Il divertissement landisiano coglie così nel segno, e grazie alla professionalità del suo autore riesce a intrattenere con stile e mestiere. E chissà, magari i prossimi progetti cinematografici del regista americano (ben quattro per i prossimi due anni), potranno regalarci qualche gradita sorpresa: in fondo Landis ci appartiene (non foss'altro per il suo passato), saperlo lontano dalla macchina da presa non era certo cosa gradita.

Movieplayer.it

3.0/5