A pochi passi dal Cupolone e introdotti dalle parole di Fabrizio Del Noce, attuale e prolifico direttore di Rai Fiction, gli attori, il regista e i produttori dell'ultima fiction Lux Vide, Sotto il cielo di Roma, ci hanno parlato dell'esperienza interessante e "rischiosa" che hanno vissuto sul set con grande responsabilità e senza ambizioni ideologiche. La miniserie in due puntate, trasmesse in prima serata su Rai 1 domenica 31 ottobre e lunedì 1 novembre, è dedicata infatti alla misteriosa vicenda del mancato sequestro del Papa Pio XII durante l'occupazione nazista tra il 1943 e il 1944, episodio storico enigmatico di cui ancora oggi non si possiedono documenti ufficiali. Legati al ritratto di una figura tanto discussa e da sempre oggetto di polemiche, specie presso le comunità ebraiche, i dolorosi momenti dei rastrellamenti e delle deportazioni degli Ebrei del Ghetto romano sotto gli occhi forse poco reattivi di San Pietro.
Diretta dal regista canadese Christian Duguay, alla terza collaborazione con la Rai e con la Lux, Sotto il cielo di Roma tocca un nervo scoperto tanto nell'ambito nazionalistico e cattolico quanto in quello emozionale, ripercorrendo uno dei momenti più drammatici della storia di Roma e tentandone un'interpretazione equilibrata e super partes. La narrazione, basata su un lavoro di documentazione letteraria più che storiografica, traccia con impegno agiografico la descrizione di Pio XII (interpretato da James Cromwell), una personalità che ha segnato la storia del Vaticano e che ha probabilmente inciso su quella del popolo ebraico con la sua posizione di neutralità. Il soggetto è di Fabrizio Bettelli, autore de Il papa buono, che ha lavorato alla sceneggiatura con Francesco Arlach (Giovanni Paolo II) con l'obiettivo di rivolgersi al grande pubblico e indirizzarsi verso quello giovane con gli intrecci secondari e più romantici delle storie di tre giovanissimi. Sullo sfondo della guerra la fiction sviluppa l'amicizia tra la bella Miriam, la brava Alessandra Mastronardi, il partigiano delicato e occhialuto Marco alias Ettore Bassi e il ladruncolo Davide, Marco Foschi. Insieme al regista, gli attori italiani ci hanno raccontato cos'ha significato lavorare a un progetto che lascia aperto il giudizio storico, ma che si confronta con un capitolo del passato così significativo come quello che comprende la "leggenda nera" di Pio XII e la tragica deportazione di migliaia di ebrei romani.Cosa vi ha spinto a lanciarvi in un progetto come questo che tratta una tematica così delicata?
Fabrizio Del Noce: E' un tema che prima o poi il servizio pubblico doveva affrontare e che mi ripromettevo di sostenere già quando ero direttore di Rai Uno per il dovere di raccontare episodi importanti della storia recente, vicende su cui riflettere oltre il modo poco esaustivo degli altri mezzi. Si tratta del periodo di storia più doloroso per Roma: l'occupazione nazista tra il '43 e il '44, quando, al tempo delle persecuzioni, c'è stata una strana sfasatura nella storia di un papato.
Fabrizio Bettelli: Siamo stati molto attirati nella fase di ideazione del soggetto da un tema così cinematografico come quello del rapimento di cui ci fu un'intenzione, non documentata ufficialmente, da parte di Hitler, della quale abbiamo solo delle testimonianze, come rivelerà la seconda puntata.
Ettore Bernabei (presidente Lux Vide): Sono grato a Del Noce per aver voluto affrontare un tema così spinoso, adottando misura e rispetto per tutti e rendendo giustizia a tanti personaggi. La Rai insieme alla Lux realizzerà un film anche su Paolo VI che, insieme a Giovanni XVI, Giovanni Paolo II e Pio XII, è una delle più grandi personalità del XX secolo. La storia recente non si è ancora occupata del secolo definito "breve"!
Fabrizio Del Noce: Prima della sua morte nessuno si era mai chiesto se Pio XII avesse fatto abbastanza. Poi negli anni '50 dopo la pubblicazione de "Il Vicario" è uscita fuori la questione. Abbiamo affrontato questa storia insieme a storici importanti, basandoci sui dati disponibili, come una doverosa riflessione sulla storia e su un papato. Non pretendiamo certo di aver chiarito degli enigmi, ma almeno abbiamo dato un contributo, una versione dei fatti che non fosse faziosa. Gli elementi di discussione ci sono. Così come l'offerta di uno spettacolo molto intenso, drammatico e doloroso.
Ettore Bernabei (presidente Lux Vide): Sono uno dei pochi testimoni di quel momento, una pagina della storia meritevole di essere ricordata. Sotto il cielo di Roma è una fiction di rievocazione emotiva ma anche storica e veritiera, anche grazie a una regia scrupolosa e attenta alla verità drammaturgica quanto storica. Ne viene fuori un quadro molto interessante che credo susciterà molti apprezzamenti, perché è molto vicino alla realtà ma senza polemiche. Fa vedere i tempi drammatici di un momento storico così difficile anche per un papato che cercò d'impedire che una guerra di quelle dimensioni fosse combattuta e nel cuore di una città come Roma. C'è stata la massima prudenza da parte di Pio XII, anche se esposto a rischi enormi. Cercò anche di comportarsi con grande intelligenza politica per impedire che Roma e la sua popolazione venissero travolti dalla guerra e ci riuscì. Tutto questo è reso in maniera molto attuale attraverso le vicende di molte persone colpite dalle persecuzioni nazifasciste, costrette a indossare le vesti sacerdotali per scampare alla morte. E' una storia non soltanto triste ma, in qualche modo, esaltante perché la virtù di un popolo è nell'essere solidale sia eroicamente sia silenziosamente.
Christian Duguay: Ho diretto questo film dopo aver avuto un'altra esperienza con Hitler: The Rise Of Evil, una miniserie con Robert Carlyle. Quando mi è stato proposto il ruolo da regista ho accettato volentieri perché mi ero già documentato sia sul momento storico sia sulla figura di Hitler e questo film mi dava la possibilità di conciliare l'aspetto emotivo con quello storico.
Si può parlare di una rilettura storica dell'episodio?
Fabrizio Bettelli: Non siamo degli storici e nessuno di noi ha avuto la pretesa di dire una parola definitiva su questa situazione né credo che qualcuno ne dirà mai una. Il primo passo che ho fatto è stato anzi di retromarcia rispetto alla storia. Abbiamo fatto un lavoro di documentazione quanto più possibile accurato, compatibilmente con i tempi della narrazione televisiva. Nella nostra carta d'intenti, caricati dalla responsabilità di quest'operazione, abbiamo tagliato le ali estreme dei due schieramenti, dall'uno e dall'altro lato. Ci siamo concentrati su una letteratura accessibile, ma non sugli archivi storici. Se poi l'impressione che se ne ricava sulla figura di Pio XII da parte della comunità ebraica è negativa, invito a una visione più equilibrata. Pio XII si chiedeva continuamente cosa si sarebbe pensato dei suoi silenzi e noi abbiamo cercato di mettere in scena un materiale drammaturgico che coinvolgesse protagonisti ebrei, le persone che hanno sofferto. La domanda sulle scelte del Papa resta aperta!
Fabrizio Bettelli: Si è creato un fraintendimento iniziale, forse dovuto alla nostra scrittura non limpidissima, sulle polemiche riguardanti il rapporto tra Israele e la Santa sede. Noi ci siamo inseriti un po' casualmente in questa discussione e la documentazione è finita in prima pagina. Da un lato ci motivava quest'interesse su un nervo ancora teso, dall'altra ci richiedeva una cautela necessaria.
Alla messa in scena di un episodio storico così significativo corrispondono sicuramente dei rischi. Come li avete affrontati?
Fabrizio Bettelli: Sotto il cielo di Roma è un progetto che presentava parecchi rischi perché complesso e ribollente dal punto di vista politico e ideologico, al punto che non poteva essere affrontato diversamente. Papa Pio XII è stato un papa preconciliare, una sorta di monarca, quindi un personaggio da affrontare lungo una strada irta di pericoli. La posta in gioco era alta: portare in scena la comunità ebraica di Roma. Per non parlare poi degli anni della guerra, tra i più difficili per l'Italia insieme agli "Anni di piombo". C'era la volontà di dare corpo a un film in cui si muovono la comunità ebraica, il papa e i religiosi a lui vicini, i tedeschi e questi tre ragazzi. La nostra cura è stata quella di evitare gli stereotipi triti: anche la storiografia forse oggi sta facendo delle distinzioni pur senza portare a un revisionismo.
Christian Duguay: La vera sfida è stata quella far conoscere al pubblico un momento ben preciso della storia di quegli anni e soprattutto dei momenti drammatici di Pio XII, quando si è posto il dilemma dì intervenire nei confronti di Hitler. Un altro aspetto importante è stato far conoscere questo periodo con tutta la drammaticità della situazione delle varie famiglie ebree durante i rastrellamenti facendo anche emergere la bontà, il senso di solidarietà e aiuto reciproco tra quelle persone e da parte della chiesa.
E' stata un'esperienza straordinaria realizzare un film con toni di grandi emotività, con l'immagine di Cromwell nei panni del Papa e della gente. E' stato edificante per me.
Alessandra Mastronardi: Io interpreto Miriam, orfana di mamma che si ritrova a vivere la sua vita in maniera molto responsabile e in un momento storico difficile. Studia, ma è costretta a interrompere gli studi universitari. Vive col papà e il fratellino nel Ghetto ebraico, che è una famiglia allargata. Siamo entrati nell'epoca pensando di raccontare una storia molto delicata e di sentimenti molto forti, come quelli che può suscitare un distacco dalla famiglia. Nel lavorare con Christian ho trovato una grande affinità, sul set c'era un silenzio rispettoso per il lavoro di tutti. Quest'esperienza mi ha fatto crescere molto.
Ettore Bassi: Noi tre ragazzi rappresentiamo quello che allora poteva raffigurare una gamma di caratteri che si potevano trovare per strada. Nel film io sono Marco, un ragazzo che tira fuori il carattere dalla sua apparente fragilità, accodandosi a un gruppo di clandestini che provano a combattere l'occupazione. Il mio personaggio poi trova con Davide, un piccolo rivoluzionario sui generis, un'intesa particolare, e combatte nel suo piccolo una tragedia: c'ho messo la volontà di trasmettere più emozione possibile, un obiettivo che ci eravamo ripromesso tutti anche senza dircelo.
Cesare Bocci: Mi sono trovato di fronte a un cast straordinario. Il mio personaggio, Monsignor Montini, braccio destro del papa, mi ha dato la possibilità di conoscere due figure storiche come lo stesso Montini e Pio XII. Non credo che la domanda "chissà dov'è la verità" fosse la pretesa del film. C'è però la voglia di raccontare la visione della Chiesa e quella del popolo e credo che la fiction ci sia riuscita. Inoltre per il cast il regista è stato il motore di un entusiasmo che si avvertiva sul set e noi l'abbiamo seguito in questa sfida.
Calarsi in una dimensione storica come questa vi ha insegnato qualcosa in particolare?
Ettore Bassi: Questo tipo di esperienze sono ricche dal punto di vista professionale, culturale ed emozionale. Sapevo già cos'era successo, conoscevo gli eventi, ma è diverso poi cercare di viverli e di portarli sullo schermo perché richiede all'attore rielaborare tante sfaccettature.
Alessandra Mastronardi: Io avevo partecipato da adolescente al progetto sulla memoria istituito da Veltroni nei licei di Roma, quindi avevo avuto la possibilità di conoscere anche dei sopravvissuti, delle testimonianze dirette. Per me è stato importantissimo partecipare a questo film perché ho conosciuto anche quest'altro aspetto della storia di Pio XII che non era emerso dalle nostre ricerche al liceo. Penso che questo film possa dare quindi anche un contributo diverso, farne conoscere un'altra versione.