L'attesissimo film di Paolo Sorrentino, La grande bellezza, uscito oggi nelle sale ha già suscitato un'enorme risposta dalla critica che per lo più è rimasta entusiasta dall'opera, acclamandone l'estetica squisita, l'impeccabile performance del cast e la perfetta visione del regista, triste e malinconica, ironica e disincantata. La storia è incentrata sulla figura di Jep Gambardella - un Toni Servillo in forma eccellente - un giornalista sessantacinquenne che ha raggiunto la notorietà grazie a un romanzo pubblicato in età giovanile, L'apparato umano, il cui successo gli ha permesso di raggiungere la vetta e di rimanerci, nonostante non abbia pubblicato altri capolavori. Jep è arrivato nella gloriosa Capitale dalla provincia e una volta entrato a far parte di quell'élite di gente "in vista" ha usato tutto il suo carisma per diventare il re incontrastato delle notti romane, l'anima e il regista dei baccanali, deciso non soltanto a partecipare alle feste, ma ad avere il potere di farle fallire. Attraverso lo sguardo di Jep, Sorrentino illustra una Roma fatta di turisti in coda, monumenti millenari e una classe di personaggi dissoluti, decadenti, volgari e chiassosi che sono la fixture permanente delle interminabili notti goliardiche trascorse sulle terrazze della città. Nel cast troviamo anche Sabrina Ferilli, Carlo Verdone, Galatea Ranzi, Carlo Buccirosso, Iaia Forte, Giorgio Pasotti, Roberto Herlitzka, Isabella Ferrari, Serena Grandi.
Sorrentino, lei è di Napoli, come ha scoperto Roma, come le è venuta la voglia di fare questo film?
Paolo Sorrentino: sono stato a Roma da ragazzo e alla fine mi ci sono trasferito. Durante il corso degli anni ho raccolto idee, aneddoti su una moltitudine di aspetti della città e alla fine l'idea di farne un film è venuta con il personaggio di Toni (Servillo) che ho cominciato a scrivere insieme a Umberto Contarello, facendo del personaggio un testimone di quel mondo ma al tempo stesso usandolo per avere una sorta di biografia che fosse in sintonia con la storia.
Paolo Sorrentino: c'è una battuta nel film che dice "non puoi parlare della povertà, la puoi solo vivere" e in un certo senso racchiude il senso del film, che non cerca di raccontare una storia ma illustra un genere di povertà che non è materiale. Con questo non stiamo cercando di darne un giudizio negativo, abbiamo semplicemente cercato di darne una descrizione.
Ci sono chiari riferimenti a La dolce vita di Federico Fellini, qual'è la differenza tra la Roma di Fellini e quella cosmopolita del suo film?
Paolo Sorrentino: Fellini disse di essersi inventato tutto ne La Dolce Vita e quindi non c'era una reale corrispondenza tra la città del suo film e quella reale dell'epoca. Il mio film invece è un esame attento di quella che è Roma oggi, c'è ovviamente un'assonanza dei temi ma non credo ci sia un effettivo legame tra i due, La dolce vita è un capolavoro, il mio film invece... - (interviene il moderatore dicendo che lo sarà in futuro e scatenando applausi in sala).
Toni Servillo: mi hanno già fatto questa domanda oggi, io ho come l'impressione che Fellini in quel grande film abbia visto Roma come se fosse stato appoggiato dolcemente a una balaustra che invece oggi Paolo non ha trovato, e quindi c'è cascato dentro, come se fosse caduto nella tromba delle scale di questa città. Forse non tutti ricordano che quel film doveva chiamarsi La bella confusione e poi qualcuno suggerì La dolce vita, all'epoca la situazione in Italia era molto diversa, si viveva ancora sulla base di un grande slancio, frutto del dopoguerra e la bella confusione non necessariamente negativa. L'Italia illustrata ne La dolce vita è un'Italia piena di speranza, di entusiasmi che venivano dal dopoguerra. Questo film è incentrato su un personaggio molto leggero, quasi indifferente che spreca il suo talento, lascia che si perda e diventa il ritratto di una città che sul piano metaforico della condizione umana riguarda le occasioni perdute e per questa ragione credo che il film abbia un tono più malinconico.
Signor Servillo ci può parlare della sua relazione speciale con Paolo Sorrentino, lei sembra essere in qualche modo la sua musa, la sua fonte di ispirazione.
Toni Servillo: io ho ricevuto quattro sceneggiature da Paolo Sorrentino che considero quattro regali, anche se ho cominciato a fare cinema con Mario Martone (Morte di un matematico napoletano) devo a Paolo il mio primo ruolo da protagonista. Devo dire che non ci siamo mai interrogati sul nostro rapporto lavorativo e di certo non so se sono la sua musa ispiratrice o meno, forse quello che ci accomuna di più, dal mio punto di vista, sono le nostre origini campane e infatti non è un caso che Jep Gambardella sia di Napoli. In tutti i film che ho fatto con Paolo c'era sempre qualcuno che perdeva qualcosa che avrebbe dovuto recuperare. Qui invece si racconta di un uomo che ottiene qualche cosa ma allo stesso tempo, con la stessa passione, desidera perderla ed è fatto con un'ironia e una leggerezza che Paolo voleva che fosse napoletana, tanto che le volte che mi scappava di recitare in italiano, Paolo mi suggeriva di parlare in napoletano. Mentre con Andreotti (Il divo) avevamo costruito una specie di macchina, due persone completamente diverse, con Jep non c'è questa forte distinzione tra il personaggio e la persona. Tuttavia io non partecipo mai alla creazione del personaggio, al momento compositivo. Paolo mi chiama e mi dice "ho scritto una cosa, leggila" e in questo senso per me sono dei regali. Certo dal momento in cui la leggi e da quando cominci le riprese le discussioni alimentano la ricchezza del personaggio, le sorprese che ne possono derivare. Che dire, sono molto felice di aver interpretato questo personaggio, credo di aver rappresentato una parte profonda di quello che Paolo intendeva dire e Paolo ha voluto che Jep avesse la mia faccia.
Paolo Sorrentino: le ragioni per cui abbiamo lavorato insieme tanto spesso sono una combinazione di elementi, c'è un forte senso di familiarità e allo stesso tempo, per ogni personaggio, Toni riesce a essere duttile e inedito e questo rende la lavorazione interessante, divertente. Questo film è stato sicuramente molto faticoso, ma anche molto divertente da realizzare, abbiamo trascorso lunghe ore di lavoro, intere notti insieme e avere questo legame non guasta e Toni è il mio critico migliore e riesce a tradurre in concetti le mie intuizioni, forse è l'unico che mi capisce davvero!
Verdone, com'è stata per lei l'esperienza di lavorare con Sorrentino per la prima volta?Carlo Verdone: sul mio sito c'è una sezione dedicata ai miei registi preferiti e il mio regista italiano preferito è Paolo Sorrentino, quindi per me è stato un privilegio lavorare con questo grande artista, ha uno stile tutto suo, peculiare. La prima cosa che mi ha chiesto è stata "tu che sei romano, come pensi che sia stata filmata la città?". Io gli ho risposto "hai filmato il sogno di tutti i romani, hai filmato la Roma notturna, la Roma metafisica, hai fatto un ottimo lavoro, ha ridato splendore a questa grande città così mortificata durante il giorno, dal traffico e da tante altre problematiche". Mi sono trovato molto bene sul set, amo il suo cinema, ho capito perfettamente cosa voleva da me e ho cercato di darglielo con molta professionalità, io vengo dalla commedia quindi possiamo dire che questo è il mio primo film drammatico e lo ringrazio perchè mi ha dato la possibilità di fare una prima incursione in un genere diverso e spero che in futuro ci sia una seconda volta, una terza volta, certo non ci sono tantissimi autori con la "a" maiuscola, ma qualcuno ce n'è e io continuerò a ricercare film così, più intimi, più particolari e quindi lo ringrazio molto per la fiducia che mi ha dato e poi Roma è la mia città, quindi lo ringrazio doppiamente. Un altro privilegio è stato recitare insieme a questo grandissimo attore al mio fianco (Servillo) è stato come giocare a tennis con uno che ti serve la palla in modo perfetto.
Sabrina Ferilli: trovo che questo film sia straordinario, chi ama il cinema nel significato più profondo del termine non può non amare questo film perchè lo rappresenta nella sua grandezza, non ho mai pensato che questo film parlasse solo di Roma, per me La grande bellezza è la bellezza della vita che quando è così bella rischia di diventare anche vuota ed è un'immagine anche del mondo che apparentemente è più bello rispetto a prima ma che probabilmente, come nel film, è abitato da pensieri muti e da scarse virtù. E' uno dei film italiani con una messa in scena più straordinaria che io abbia mai visto e quindi sono veramente fiera di averne fatto parte.
Uno spunto di riflessione: sembra che la società descritta da lei appartenga un po' al passato, il mondo non si diverte più così tanto.
Paolo Sorrentino: penso che questa sia un'interpretazione un po' troppo affrettata del film, la pellicola descrive alcuni aspetti della società, penso che il film sia senza età.
Umberto Contarello: Colgo l'occasione per dire una cosa che mi sta a cuore, la storia è collegata a un tema di rinascita: Jep ha scritto solo un romanzo, ma anche se si scrive solo un romanzo si continua a rimanere scrittore e in questo mondo c'è la storia di un uomo che piano piano ritrova anche le parole nel mezzo della confusione che lo circonda. Nella scena in cui si sta preparando per il funerale, inconsapevolmente, sta rinascendo in lui questa cosa meravigliosa, la passione per la scelta delle parole e questo film è la rappresentazione della passione che condivido con Paolo sulla bellezza delle parole e le parole scelte, sono un tassello, seppur piccolo, della bellezza e della guarigione. E' un finale glorioso, sia dal punto di vista visivo che verbale.
Tra i giornalisti italiani c'era il timore che le nostre controparti straniere non comprendessero il film, invece testate importanti all'estero hanno riportato delle critiche sfavillanti, vorrebbero dare l'Oscar a Servillo, mentre molti critici italiani non hanno apprezzato il film, si aspettava una reazione del genere?Paolo Sorrentino: è successo lo stesso per Il Divo molti italiani erano preoccupati, giustamente, che non sarebbe stato capito nel resto del mondo, invece poi è successo esattamente il contrario anche se non saprei individuarne le ragioni. Tuttavia non posso negare che mi faccia piacere, quando si viene a Cannes si ha a che fare con una platea internazionale e quando ottieni il riconoscimento di altre nazioni hai raggiunto il tuo obiettivo.
Com'è lavorare con Luca Bigazzi?
Paolo Sorrentino: lavorare con Luca è sempre più semplice, ci basiamo su intuizioni reciproche e non dobbiamo nemmeno spiegarci. In questo film volevamo raccontare la storia attraverso la luce e il movimento, siamo molto affiatati e Luca continua a sorprendermi con il suo lavoro, prende molte iniziative e io non tendo a essere rigido sul tipo di luce che voglio, c'è molta flessibilità.
Qual'è lo stato corrente del cinema italiano?
Paolo Sorrentino: non saprei come rispondere a questa domanda, contrariamente a quello che la gente dice è un cinema vivo, con grandi autori, che troppo spesso, ingiustamente e per partito preso viene stroncato a priori. Io sono convinto che il nostro cinema sia pieno di grandi autori, attori eccellenti, ho un'opinione positiva sul nostro cinema.
Toni Servillo: che reciti su un palcoscenico o su un set si tratta sempre di recitazione, non intendo passare dietro la macchina da presa, non sono regista di cinema come Carlo e quindi mi limito a fare il mio mestiere anche se in teatro mi capita a volte di dirigere gli altri colleghi. Non sono solito dare suggerimenti, non discuto sulle battute, né le scene, non intervengo, preferisco rimanere nel mio ruolo di attore.
Carlo Verdone: come regista riesco a rendermi conto dello stile di un collega e so cosa si aspetta da un attore, che indirizzo sta prendendo il personaggio. Non è stato faticoso in questo caso, soltanto il primo giorno quando avevo un monologo. Mi ero preparato molto bene, sapevo tutte le battute a memoria e mi stavo preparando quando Paolo è venuto e mi ha chiesto "posso sentire?" e si siede, a un certo punto mi fa "ma non è così..." e io sono sbiancato "come non è così?" e lui mi spiega che il monologo è ironico ma siccome tutte le battute erano molto, molto drammatiche io gli chiedo "ma come si fa a farlo ironico?" e lui mi dice "ci vuole un tocco speciale di ironia" e se ne va, lasciandomi là da solo. Sono andato nella mia roulotte e mi sono messo a provare davanti allo specchio facendo facce diverse, sembravo Arlecchino, Totò, e la per la prima volta nella mia carriera mi sono sentito totalmente perso. Alla fine, dopo qualche ripresa è andato tutto bene però devo dire che ho avuto un po' di ansia. Ma abbiamo lavorato benissimo insieme, quando sai chi è il regista e quando sai cosa sei in grado di fare la lavorazione procede bene, ci sono delle regole ben precise da seguire e non c'è che da rispettarle e seguire il regista.
Parliamo delle scelte artistiche per il film. Roma è piena di monumenti, di reperti antichi e strutture moderne, come ha fatto a decidere quali inserire in questo viaggio?
Paolo Sorrentino: Innanzitutto la burocrazia a Roma non ti permette di scegliere, ma è lei a decidere, in un certo senso. In maniera molto semplice, mi sono lasciato guidare dalla meraviglia e dallo stupore che provo quando la guardo, nonostante ora la conosca non smette mai di meravigliarmi e quindi mi sono lasciato guidare da quello che mi piaceva di più.
Per quanto riguarda i produttori, ci sono state difficoltà per quanto riguarda la lavorazione?
Nicola Giuliano: da un punto di vista di budget non è stato semplicissimo perchè è stato abbastanza costoso e al momento ci sono delle limitazioni sul mercato per quanto riguarda le produzioni cinematografiche. Abbiamo collaborato con Medusa e abbiamo richiesto finanziamenti all'estero e la Banca Popolare di Vicenza è intervenuta in maniera importante. Questo dal punto di vista finanziario, dal punto di vista della realizzazione è stato abbastanza complesso, come ha già accennato Paolo, la burocrazia non facilita le cose e non soltanto per il cinema. E' stato un lavoro molto intenso, anche per via delle numerose e splendide location e vorrei approfittare per ringraziare tutti quelli che hanno collaborato alla realizzazione del film, hanno dimostrato una devozione davvero ammirevole.
Fabio Conversi: Paolo continua a stupirmi, ha soltanto 42 anni ma ha già una profonda esperienza e grazie alla qualità del suo lavoro e a quella di tutti quelli che hanno collaborato l'esperienza di questo film è stata una gioia. Più lavoriamo insieme più diventa facile interagire e portare a termine il lavoro in maniera costruttiva e rilassata. Anche se ci conosciamo da anni ormai ogni volta lavorare insieme è un'emozione.