Lo sappiamo, siamo monotematici, forse ossessivi. Ma è perché la nostra natura cinefila non riesce a distogliere l'attenzione, è incapace di mettere da parte questo tarlo che ci perfora il cervello nel dopo pandemia, a darsi una risposta a una domanda cruciale: che ne sarà del cinema? Non parliamo ovviamente del Cinema in quanto forma artistica (per questo la C maiuscola), perché è ovvio che di film se ne faranno sempre, ma parliamo invece della visione in sala, del tradizionale buio che ci avvolge e accende la magia. Di questo ultimo aspetto siamo preoccupati al punto di non dormirci la notte. Fa male soprattutto che ci siano stati mesi, abbastanza da farci sentire sereni, in cui la situazione sembrava non solo migliorata ma risolta, mentre la fine della primavera ci porta a questa estate con il cuore appesantito dall'ansia per quel sistema che amiamo, con cui siamo nati e cresciuti e che minaccia di implodere e collassare su se stesso.
Tutto evolve, tutto cambia. Tutto muore.
Ma è forse inevitabile destino? È forse la nostra anima legata al passato che non vuole accettare il naturale volgere delle cose? D'altra parte i tempi cambiano, tutto evolve e forse non è più il tempo per la sala, non con la stessa importanza che poteva avere prima, quando era il punto di riferimento ideale, se non l'unico per gran parte della sua esistenza, per poter fruire dei film. Il grande schermo, con il suo fascino, la sua magia, la sua visione collettiva e condivisa, potrebbe non essere più la soluzione migliore per guardare l'ultimo film che ha suscitato la nostra curiosità? Le alternative non mancano, anzi abbondano, tra divano di casa con tv ultra-tecnologica e impianto audio, ma anche computer, tablet, smartphone, con decrescente spazio dedicato all'immagine, e una comodità crescente. Ma poco importa oggi, no? L'importante è divorare contenuti senza sosta e senza esserne mai sazi, magari aumentando anche la velocità per non perdere tempo e aggiungere altre tacche alla lista dei nostri trofei da binge-watchers dell'era moderna.
Una fenice chiamata cinema
Tutto finito, quindi. Ci dobbiamo rassegnare. Come era stato detto e ribadito con l'avvento della televisione prima e dell'homevideo poi, quando il cinema era ormai qualcosa di superato che non poteva essere più appetibile, qualcosa di antiquato, obsoleto. Scomodo anche, quando alla fine a casa avevi abbastanza per passare le serate senza bisogno di correre in una sala buia e spendere soldi per intrattenerti. Discorsi fatti più volte per una morte annunciata a più riprese da cui il cinema e i cinema intesi come struttura erano sempre risorti. Delle splendide fenici pronte a rinascere dalle proprie ceneri. Un'immagine forte, che ci piace riproporre, anche se in definitiva il cinema non è mai arrivato al punto di dover mirare a una resurrezione, perché morto, in fin dei conti, non è mai stato.
Ha sofferto, ferito e claudicante, questo sì, ma morto mai. Perché tale è la sua potenza immaginifica da rendere impossibile una disaffezione tale da decretarne la fine. Anche ora, soprattutto dopo gli ultimi dati di maggio 2024 e la preoccupazione che abbiamo espresso, siamo lontani dal dover dichiarare la morte del cinema, ma siamo in ansia per i cinema o almeno una parte di essi, che rischiano di seguire la stessa sorte toccata ad alcune strutture durante e dopo la pandemia: se è ovvio che tutti continueremo a guardare film e che almeno una parte di noi non smetterà mai di volerlo fare in sala, è altrettanto ovvio che qualcosa bisogna fare. Ma cosa?
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Trovare soluzioni e salvarsi. Da soli
Non affidiamoci ad aiuti dall'alto, per quanto sarebbe bene che ci fossero, soprattutto se mirati a quegli upgrade tecnologici di cui tante strutture necessitano. Non affidiamoci nemmeno alla benevolenza del pubblico, implorando di andare in sala per sentirsi salvatori di un sistema. È il sistema stesso che deve trovare la forza di salvarsi da solo, di trovare non solo gli stessi stimoli a non arrendersi che ha intercettato quando erano la tv o l'homevideo a minacciare la sua sopravvivenza, ma fermarsi un attimo e ragionare su cosa sia necessario fare. Fermarsi anche a capire i segnali che arrivano, selezionare i titoli da proporre e capire come proporli per farli conoscere e creare attesa. Non è più tempo in cui basta far uscire un film e lasciarlo al suo destino, non basta più solo un trailer diffuso sui canali con una promozione tradizionale, è necessaria una comunicazione mirata, cucita sul singolo titolo, articolata, capillare.
Quel che possiamo fare noi, e che faremo sempre di più, è parlare dei film. Con la passione che ci porta a farlo tutti i giorni e l'attenzione che ogni opera merita. Quel che deve fare la distribuzione è scegliere e curare, seguire ogni singolo titolo individuato per l'uscita in sala come se fosse un figlio da crescere. Agli esercenti e le strutture finali, banalmente le sale, tocca il lavoro sul campo, sul territorio, cercando di coinvolgere i propri spettatori abituali, creando affiliazione, comunità. Facendo gruppo.
Se tutto questo sarà fatto e solo allora, toccherà a te che leggi, a ogni singolo spettatore di questo incredibile mondo che ci affascina da oltre un secolo, chiamato al compito più folle e ingrato: devi tornare ad avere fame, devi essere curioso, interessato. Concentrato. Un'assurdità oggi, quando da più parti ti dicono che la soglia dell'attenzione che ti è richiesta è raramente superiore ai 30 secondi, ma non ascoltarli e prova a osservare e ascoltare con attenzione: troverai una foresta di storie in cui sarà bellissimo perdersi. Nella sicurezza accogliente di una sala buia.