"È sempre molto difficile raccontare il quotidiano. Ma la quotidianità ci riguarda, ci tocca, a volte ci travolge". Così Daniele Vicari ha aperto la conferenza stampa di Sole cuore amore all'undicesima Festa del Cinema di Roma. Tra applausi a ogni risposta e domande ora commosse ora curiose. Con lui il suo produttore di sempre, Domenico Procacci, e gli interpreti del film Isabella Ragonese, Eva Grieco, Francesco Montanari e Francesco Acquaroli.
Il racconto di due donne, una famiglia, amici, il posto di lavoro, di una donna forte che si fa carico delle responsabilità familiari e di un marito moderno che supera il timore di sentir minacciata la sua virilità perché è sua moglie a portare a casa il pane. La storia di mille vite tangenti alla nostra, forse proprio la nostra.
"Penso che la quotidianità possa essere ritenuta non interessante solo per chi vive in una situazione eccezionale", ha continuato Vicari. "Per esempio il potere, che ha una sua quotidianità, non si interessa di ciascuno di noi. Trovo particolarmente grave che il cinema non se ne interessi. Si interessa molto del potere, ma non del quotidiano popolare". Il regista è molto critico, come sempre dopo aver formato la sua opinione guardandosi davvero intorno e cercando di comprendere lo show della vita di ogni giorno. Non risparmia nulla ai suoi colleghi, autori tutti simili che la vita della gente non riescono più a portarla sullo schermo da molti anni ormai. "È la vita di tutti noi, fatta di amore, lavoro, solitudine, bellezza, bruttezza. I più importanti film realizzati in Italia nel secolo scorso raccontano questo. In qualche modo poi noi cineasti abbiamo deciso di essere con la testa e con il cuore da un'altra parte. Forse per alcuni è difficile mettersi in gioco. Si può pensare che sia banale un verso come quello del titolo. Ma chi ama la poesia sa benissimo che le rime più banali sono le più difficili e hanno affascinato di più i poeti. La rima facile del cinema è il quotidiano, prendiamo i film di Ozu: non racconta mai il potere, ma storie del quotidiano e in quel modo racconta il mondo".
Un film inevitabilmente politico
Qualcuno fa notare a Vicari che questo è un film dai forti risvolti politici, trattando problemi di scottante attualità, come il lavoro e il ricatto che ne deriva, con l'impossibilità di assentarsi anche per un solo giorno causa malattia. "Per me questo è un film sulla danza", corregge lui. "Attraverso la danza abbiamo tentato di interpretare la vita di queste persone. In questo film la danza, e la musica, forniscono le chiavi di lettura politiche della storia". Però poi è inevitabile ammettere che una presa di posizione c'è ed è molto forte: "Il film non parla degli ultimi, ma della maggioranza. Credo che anche chi non ha particolari problemi economici viva oggi una situazione difficile. Credo che il 90% delle persone faccia la vita dei miei personaggi. Certo, non il 90% delle persone che fanno cinema, politica, che posseggono i mezzi di produzione. Ma sono una percentuale ristretta rispetto a noi. Credo che la responsabilità del cinema, non solo italiano, sia l'errore di raccontare le periferie solo con personaggi dalla pistola in mano e la cocaina nelle mutande: così facendo fanno passare in secondo piano il 90% delle persone". La politica sociale, il discorso sul potere, non solo quello strettamente politico, ma anche quello nel mondo del cinema, finisce nel racconto di Vicari inevitabilmente: "Noi subiamo il potere, che passa attraverso l'organizzazione quotidiana della nostra vita: orari di lavoro, stipendi, ecc. Il lavoro nel film è la vita. È così anche quando non ce lo abbiamo. Quindi per me la chiave di lettura politica è solo figurativa".
Un tris di attori eccezionali
"Quando Daniele mi ha parlato del film, ho avuto molta paura" ammette Isabella Ragonese, protagonista del film e forse in alcuni punti unico anello un po' più debole. Del resto non è affatto facile capire ed entrare nella romanità di una giovane donna, e l'accento è la difficoltà minore. "Eli è una donna con un'estrema vitalità e la esprime relazionandosi con il mondo in maniera equilibrata". Così Daniele Vicari descrive il bellissimo personaggio che ha scritto. "Ama la bellezza e si vede perché si relaziona con gli altri in maniera semplice, schietta e mai accusatoria. Nei confronti del suo datore di lavoro è ferocemente critica, ma mai accusatoria".
"Eli è una donna che si muove in luoghi non luoghi", continua Isabella Ragonese. "Al bar, che è una specie di palcoscenico, fa viaggi quotidiani in metro e in autobus. Mi è parsa una sfida. Come sempre le cose che sembrano così difficili devono essere affrontate con semplicità. Mi sono messa in connessione e ho imparato da Eli. È un personaggio che vive tra le persone, era importante la relazione. Per me è stato fondamentale non rinchiudermi. Non saprei spiegare Eli senza parlare dei suoi rapporti con il marito, con la sua amica, con il datore di lavoro. La relazione era importante per rendere il personaggio reale". L'altra donna del film è Vale, interpretata dalla bella e brava coreografa e danzatrice Eva Grieco. "Quando Eva Grieco ha letto la sceneggiatura ha sentito istintivamente che la danza in questo film non era un orpello, ma poteva dare il ritmo, la cadenza alla storia", racconta ancora Vicari. "Mi ha regalato un finale inaspettato e se lo è inventato lei. Non conoscendo la danza come linguaggio, non avrei potuto scriverla".
Francesco Montanari, come il suo personaggio che ha ribattezzato "Supermario", è affascinato dal personaggio di Eli, una donna forte e carismatica, come tante donne che ogni giorno ci passano accanto. E come Mario si sente un combattente: "Quando uno vive, combatte, altrimenti muore subito. Il combattimento non è necessariamente aggressivo, ma è anche trovarsi in una coppia con quattro figli e mettere da parte le proprie frustrazioni. Mario mette da parte le proprie frustrazioni di uomo, un po' primordiali, e cerca di ascoltare questa moglie meravigliosa che si è incaricata del sostentamento della famiglia. Voglio raccontarvi una frase di Daniele, di quando mi ha incontrato all'inizio, che mi ha aiutato nell'approccio attoriale: il vittimismo no, qui c'è la vita. La vita non è vittima. Si dice che le uniche persone a cui piace soffrire siano gli attori, perché ci piace cadere nel patetico. Ma nella lotta reale c'è un'attitudine alla vita".