Marta Bergman ha fatto del reale il cuore dei suoi documentari dedicati all'esplorazione delle comunità Rom. Dal 5 marzo arriva in sala il suo esordio in un lungometraggio di finzione, Sola al mio matrimonio, la storia di una giovane donna che come tante sue coetanee parte alla ricerca di un mondo migliore, per conquistare quello che le tradizioni soffocanti della sua comunità le hanno tolto: la libertà e l'indipendenza. Questo è un film, come potete leggere nella nostra recensione di Sola al mio matrimonio, strettamente in continuità con i suoi lavori precedenti e arriva proprio da lì, come la regista ci racconta in questa intervista.
Storie di ordinario eroismo
Da dove viene la spinta all'uso del linguaggio di finzione?
Il mio ultimo documentario si concludeva con l'immagine di una donna che nella notte partiva con una macchina per andare via. Sicuramente una storia più drammatica e tragica di quella di Pamela, da lì ho iniziato a scrivere in modo molto spontaneo e naturale il personaggio della protagonista, poi è diventato un film di finzione, ma non sono partita consapevolmente da questa idea. Ho iniziato a scrivere di getto e molto istintivamente a raccontare questo personaggio che mi attirava.
Ha fatto dei sopralluoghi in vari villaggi delle comunità Rom e ha incontrato diversi ragazzi. Cosa è emerso da questi incontri?
Mi hanno dato la sicurezza che stavo scrivendo delle cose aderenti alla realtà e che non mi ero immaginata nulla: i desideri e i sogni che racconto, di ragazzi che vogliono lasciare i villaggi per andare alla scoperta del mondo, sono reali. Quando parli con quei ragazzi, ti accorgi che le loro aspirazioni profonde sono queste.
Cosa fa di Pamela un'eroina?
Sogna come fa la maggior parte delle persone, ma poi ha il coraggio di inseguire i propri sogni fino in fondo. Questo la distingue da tutte le persone che fantasticano delle cose, ma poi non hanno l'audacia di perseguirle. Invece lei ce l'ha e va in fondo con l'incoscienza e con l'istinto di chi prende delle scelte non particolarmente ragionate e decide di non vivere una vita che la rende infelice e non le corrisponde.
Un ingrediente importante è la centralità del corpo: Pamela parla attraverso la propria fisicità, con i gesti, con gli occhi. Era un punto di vista presente sin dall'inizio? Che indicazioni ha dato all'attrice protagonista?
Sin dall'inizio della sceneggiatura avevo scritto dei personaggi in cui la dimensione della fisicità e del linguaggio del corpo fosse importante. Mi piace tutto ciò che è non verbale e che viene espresso attraverso i gesti e le movenze, per cui abbiamo lavorato a lungo con i tre attori principali per far emergere questo aspetto.
Possiamo definirla una storia di emancipazione femminile?
È sicuramente un film sull'emancipazione della protagonista e di tutta la linea di personaggi femminili che lo popolano: la nonna, la madre mancante di cui non sappiamo nulla, ma che molto probabilmente è partita come tante donne del villaggio, e soprattutto la bambina di Pamela a cui si spera venga data una vita migliore.
Il mito dell'Occidente
Insieme a Pamela anche Bruno rappresenta una solitudine. È un personaggio abitato dall'ambiguità e dalle contraddizioni: è quasi come se alla fine la usasse per superare un suo trauma interiore.
Non penso lo faccia coscientemente. Solo dopo averla accolta a casa, si rende conto che quella donna crea qualcosa di inaspettato e non è una presenza facile nella sua vita. Bruno continua a professarsi un uomo gentile e generoso, ma non ha la minima curiosità nei confronti di Pamela. Penso però che da questo incontro entrambi ne escano cambiati, anche lui è costretto a confrontarsi con un'alterità.
Sola al mio matrimonio racconta anche il mito dell'Occidente per alcuni paesi dell'est. È ancora così radicato in quella comunità?
Sono rimasta molto sorpresa anche io, ma parlando con alcuni ragazzi durante i sopralluoghi mi sono accorta che il mito dell'Occidente è ancora fortissimo, e che nonostante abbiano le tv e siano perennemente connessi continuano a sognare questa terra. Ma forse credere che ci siano posti migliori da qualche parte da raggiungere, è un bisogno universale dell'uomo.