Berlino 2021 non sarà un festival come gli altri. Ne sa qualcosa Denis Côté, regista canadese globetrotter amatissimo dai festival di tutto il mondo che ora, come tutti gli altri, è bloccato nella sua casa di Montreal in attesa che la vita riparta. Nel frattempo, Côté non è rimasto con le mani in mano e in estate ha girato un piccolo film sperimentale, una commedia, come la definisce lui, con solo sei attori nella campagna quebecchese. Social Hygiene, titolo decisamente ironico vista la situazione che stiamo vivendo, ha conquistato il premio per la miglior regia nella nuova sezione della Berlinale denominata Encounters. Il titolo, confessa il cineasta, è stato deciso cinque anni fa quando l'emergenza sanitaria era qualcosa che esisteva solo nei film di fantascienza.
"Tutti mi continuano a chiedere se è un film pandemico" racconta divertito Denis Côté. "So che sembra premonitore, ma in realtà l'idea è nata nel novembre 2015. Dopo aver partecipato a un festival a Sarajevo sono rimasto un mese in città. In quel periodo ho letto molti libri dello svizzero Robert Walzer, autore che ha un modo ironico di guardare alle assurdità della vita. Così ogni mattina scrivevo quegli strani dialoghi che fanno parte del film. Tornato a Montreal, li ho lasciati in un cassetto per anni fino a quando qualche mese fa una delle attrici, annoiata dalla pandemia e dal non poter lavorare, mi ha chiesto di fare qualcosa insieme. Non avevo nessun progetto pronto, ma mi sono ricordato di quelle pagine e dopo averle lette gli attori mi hanno chiesto di non cambiare neppure una virgola".
Una commedia di tableau vivant sul potere della parola
Social Hygiene non racconta una storia vera e propria, ma è un film teatrale composta da una serie di tableau vivant in cui cinque donne prendono di mira lo scapestrato Antonin, ladruncolo d'auto dandy e immaturo. Uno dei lavori più sperimentali di Denis Côté, "girato in estate, senza regole e senza soldi in 4 soli giorni. Per me è difficile connettere questo progetto agli altri che ho girato e pensare che lo sto presentando a Berlino". Con gli attori immersi nella natura e costantemente distanziati le assonanze con la situazione attuale sono molte, eppure il regista assicura che il titolo Social Hygiene e la recitazione straniata degli attori erano scelte fatte cinque anni fa: "L'unica cosa che ho fatto è stato cambiare il finale e aggiungere la scena a tre. Stavolta non sentivo il bisogno di raccontare una storia. Non è un film politico, non è a sfondo sociale, non è un commento alla pandemia, ma in qualche modo lo è".
Per via della lunghezza e della natura dei dialoghi, Denis Côté ha scelto di affidarsi ad attori di teatro: "Ci siamo incontrati due volte nel terrazzo di una delle attrici e poi siamo andati a girare in mezzo alla campagna, a 40 km da Montreal. Gli attori sembrano figurine, spesso li vediamo minuscoli in campi lunghissimi perché al centro di tutto c'è la parola. Social Hygiene è un film su piacere di giocare con la parola. Maxim Gaudette, il protagonista, ha dovuto imparare 45 pagine in due mesi. Era terrorizzato e anche io lo ero perché avevamo solo quattro giorni per girare". Come in tutti i film di Côté, anche stavolta la natura è una presenza costante: "Non volevo girare in interni. Gli interni parlano, così abbiamo girato nel nulla. Non volevo distrazioni dal piacere della parola, ma ovunque andassimo venivamo interrotti dal padrone del campo che ci chiedeva cosa stessimo facendo".
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Destabilizzare lo spettatore per farlo riflettere
Social Hygiene si diverte a spiazzare lo spettatore sia con la staticità dei personaggi che con i controsensi temporali che affiorano nel corso dell'opera. Figure come la moglie e la possibile amante di Antonin indossano costumi ottocenteschi mentre citano liberamente Facebook. L'intento del regista è quello di rimescolare i riferimenti dando vita a un'opera "fuori dal tempo. Personaggi come la moglie, la sorella e la donna desiderata da Antonin sono fuori dal tempo, altri sono figure ironiche. Il film parla di passato e presente al tempo stesso così ho scelto costumi che confondessero lo spettatore perché le relazioni umane sono sempre state complicate".
E visto che la pellicola è costellata da una sequela di contrasti tra uomo e donna, viene spontaneo chiedere a Denis Côté se il film non rifletta la sua visione del rapporto tra i sessi. La sua risposta, tra le risate, non si fa attendere: "Oggi viviamo in un'epoca politically correct. In Canada come in Italia abbiamo lo stesso problema di rappresentanza tra uomini e donne. Il mio film non è un 'fuck you' al politically correct, ma è ironico perché parla di un uomo che non riesce più a essere uomo perché è accerchiato da donne che lo giudicano. Forse è il mio alter ego perché l'ho scritto io, ma non mi sento una vittima delle donne. Però non posso non osservare che oggi le donne sono sempre più spesso deluse dagli uomini, più immaturi, perché sono costrette ad aspettare che crescano. Social Hygiene non è un film machista, è il film di un uomo che vorrebbe restare uomo-bambino e non può perché la società lo costringe a crescere".