Una sala gremita di attori del piccolo e grande schermo ha ospitato stamattina alla Casa del Cinema la presentazione del film Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio, opera prima della regista Isotta Toso ispirata all'omonimo romanzo dello scrittore Amara Lakhous, algerino naturalizzato italiano, che ha venduto oltre 100.000 copie in Italia. Dopo le grosse difficoltà che la pellicola ha dovuto affrontare nella distribuzione, esce grazie alla Bolero Film in circa 10 copie, ma senza una programmazione che ne permetta una strategia promozionale. Non dovrà lottare però per conquistare il favore del pubblico, soprattutto quello della capitale, in cui è ambientato: al centro della storia, come suggerisce il titolo stesso, il confronto, spesso culminato nella violenza, tra gli italiani e gli stranieri, ma anche tra gli italiani stessi, un tema molto attuale in un momento storico molto delicato come quello della nostra nazione. In sala con la coraggiosa Toso, già aiuto regista del fortunato Notturno Bus, quasi tutto il cast: Kasia Smutniak, Serra Yilmaz, Ahmed Hafiene, Marco Rossetti, Kesia Elwin, Milena Vukotic, Luigi Diberti, Roberto Citran e Francesco Pannofino. Assenti il protagonista Daniele Liotti, impegnato su un altro set, e l'attrice Isa Danieli mentre era presente invece con un contributo video lo scrittore Lakhous, che ci ha tenuto a esprimere la propria emozionata impressione del film, definendolo "un magnifico tradimento, un'interpretazione che ha suscitato la vittoria del libro" e attribuendo all'opera della Toso il valore aggiunto del riscontro dell'autore a monte, un'eccezione nel panorama degli scrittori che ispirano le opere cinematografiche e che solitamente si dichiarano poco felici dei passaggi dalla pagina allo schermo. La regista ci ha raccontato quali difficoltà ha incontrato, con la sceneggiatrice Maura Vespini e il collaboratore Andrea Cotti, nel trasformare la storia dell'ironico Lakhous e nel tradurla in immagini: il romanzo infatti è strutturato come una serie di deposizioni dei protagonisti, gli inquilini di un vivace condominio di Piazza Vittorio, il cuore pulsante dell'Esquilino, il quartiere più multietnico di Roma, e compattare le loro testimonianze in un film che fosse in grado di dar voce a ognuno di loro non è stata un'impresa facile. Nessun impedimento invece per gli attori della pellicola che hanno dato il proprio contributo personale al personaggio interpretato proveniendo da luoghi, tradizioni e culture, che insieme rappresentano le tessere del mosaico che Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio compone tra realismo e surrealismo e unisce nel segno di un messaggio antirazzista di cui ogni attore si è fatto portatore.
Signora Toso quali sono state le difficoltà che ha dovuto affrontare nel passaggio dal libro al film?
Ci sono molte differenze tra la versione originale e quella cinematografica?
Isotta Toso: Un cambiamento molto forte è stato la trasformazione di alcuni personaggi come quello di Nurit (Serra Yilmaz), che nel libro è un uomo, ma non ne potevamo fare a meno perché abbiamo costruito gran parte del film pensando a lei come interprete principale e per fortuna ha voluto farne parte.
Nel film ci sono immagini a metà tra il reale e il surreale: questo tono era già presente nel libro o è frutto di una vostra scelta stilistica?
Isotta Toso: Sicuramente il racconto cinematografico permette dei voli limitati rispetto a quelli della fantasia che mettiamo quando leggiamo un romanzo. C'era in nuce la possibilità di fare delle forzature surreali: nel libro, per esempio, Amedeo (Ahmed Hafiene) è in coma e racconta quello che è successo... Questa possibilità c'era anche nel libro.
Signora Smutniak lei è di origini polacche, ma è perfettamente integrata in Italia da molto tempo. Cos'ha significato per lei confrontarsi con uno scontro di civiltà?
Cosa pensate dell'attuale situazione della xenofobia in Italia? Qual è la vostra impressione in base all'esperienza quotidiana che vivete in questo Paese?
Isotta Toso: Non credo ci sia una particolare tendenza virulenta in Italia, ma credo ci siano dei nodi che esplicitano quel laissez faire e laissez vivre dietro cui si nascondono gli italiani. Credo ci sia un'ostilità generalizzata interpersonale, che poi si riflette nel rapporto tra italiani e stranieri e tra italiani e immigrati. Ci stiamo semplicemente ponendo il problema ora, ma non penso ci sia una recrudescenza nel razzismo.
Serra Yilmaz: Io non vivo in Italia e non ci ho mai vissuto, ci passo lunghi periodi quando lavoro, ma vivo tra Istanbul e Parigi. Tuttavia credo che in Italia la questione non sia determinante perché è una questione di classe. L'approccio che un italiano ha verso lo straniero per strada dipende anche da chi è lo straniero, dal suo lavoro. Credo che queste diversità, che siano razziali o no, fanno molta paura a livello europeo e trovo che questa sia una reazione al tentativo di tenere unita l'Europa. Sono contenta di aver fatto parte del cast di questo film anche per questa ragione: per far vedere che la diversità è una ricchezza. Una signora una volta mi ha fermata e mi ha riconosciuta come attrice, mi ha chiesto da dove venissi e quando le ho risposto che sono turca, lei mi ha detto: - Anch'io: sono siciliana!
Kasia Smutniak: Io sono polacca, ma vivo qui da dieci anni. Non ho mai avuto problemi e se ne ho avuto erano legati alla burocrazia. Non penso che l'Italia sia un Paese razzista o xenofobo, ma che ci siano storie che vengono manipolate dai giornalisti e dai politici. Io sono stata fortunata e ho vissuto l'Italia da privilegiata; secondo me l'Italia sta passando un momento storico che altri Paesi hanno già vissuto. Ma l'unica via d'uscita è lasciare che siano gli italiani e gli stranieri a imparare a convivere, non lasciare tutto nelle mani dei politici.
Ahmed Hafiene: La quotidianità qui in Italia secondo me ha bisogno di più dialogo perché parlare d'integrazione come di un concetto fisico fa parte della percezione meccanica della materia: è inutile integrare con sforzo e sarebbe meglio usare una terminologia più mistica come quella usata in Tunisia, "sciogliersi". Sono cresciuto come francofono e quando mi sono trasferito due anni fa in Italia ho scoperto una dimensione centrista: io credo che questa potrebbe essere superata attraverso il dialogo. Il cinema sta avviando un dialogo sull'immigrazione, questo film parla di scontri ma soprattutto prova a portare il dialogo più avanti, la domanda che pone è: - Qual è il punto del'incontro? E' stato bello incontrarci come attori provenienti da esperienze diverse e con approcci diversi al mestiere: per raccontare questo scontro siamo passati attraverso un bellissimo incontro.
Kesia Elwin: Io sono nata a Porto Rico, ma sono stata adottata dall'Italia 12 anni fa. Vivendo qua ho conosciuto tante persone che venivano da altri Paesi, che vivevano realtà diverse, facevano fatica a integrarsi soprattutto in base alla loro estrazione sociale e cercavano di italianizzarsi fino a decontestualizzarsi. Questo momento è difficile per l'Italia, ma sono ottimista perché come in tutti i momenti difficili sono sicura che si costruirà qualcosa.
Com'è stata la vostra esperienza nel calarvi in questa folla multietnica con personaggi ambigui e spigolosi?
Milena Vukotic: Io mi sono concentrata sul senso della signora Fagiani, un personaggio che nel suo razzismo, nella sua negatività dei confronti degli stranieri, e in generale dell'umanità, è dominata soprattutto dal senso della solitudine, qualcosa che si può riscontrare in questo momento storico in cui c'è una difficoltà di vivere tra le persone e tra i popoli e di trovare un'armonia.
Signor Pannofino si è misurato con un tema tutt'altro che leggero. Secondo lei qual è il merito del film nel dibattito sullo scontro di civiltà?
Francesco Pannofino: Di questo film mi è piaciuto molto il modo di aver mischiato le etnie e di aver comunque inserito una parte romana. E' un film complicato, non è un film facile! Mi viene in mente un episodio che mi è capitato due anni fa: ero ad una festa e c'erano due italiani, appena tornati dalla Tunisia, che ironizzavano con disprezzo il modo di fare la pizza del luogo. Mi sono accorto di quante cattiverie vengano dette, anche con scarso senso dell'umorismo, sulle diversità. Pensiamo a cosa è successo a Rosarno: non è vero che non c'è il razzismo e la pianta del razzismo va estirpata subito!
Da romano si è sentito straniero a girare a piazza Vittorio, dove gli abitanti di origini romanesche sono quasi del tutto assenti?
Francesco Pannofino: A piazza Vittorio, è vero, sembra di non essere a Roma, ma la romanità c'è anche lì: non mi sono sentito fuori casa. Eppoi io giro tutto il mondo e delle persone a me interessa il pensiero non l'etnia.
Signor Rossetti da giovane attore che rapporto ha avuto con il ruolo più scomodo del film?
Marco Rossetti: Il mio personaggio, "il gladiatore", è quello che nel film, secondo me, dà qualcosa in più degli altri perché va scavato e visto nel profondo, oltre le apparenze da razzista e anticonformista, perché ha il coraggio di dire quello che pensa, sebbene sia poi sbagliato. Questo lo emargina al punto che anche il fratello lo allontana e se ne rende conto solo quando muore. Lorenzo Manfredini è molto tenero anche se si esprime in maniera violenta. Io sono un convinto antirazzista e trovo che non ci si debba fermare a quello che si sente dire in televisione o dai politici solo perché è semplice seguire una corrente.
Isotta Toso: Quello che è preoccupante è il comportamento dell'italiano medio nei confronti dell'alterità. C'è una chiusura che non riguarda soltanto il rapporto con gli stranieri. Il discorso è così complesso che non andava affrontato in maniera buonista.
Signor Diberti qual è secondo lei il messaggio del film?
Luigi Diberti: Questo è un film utile perché indica la strada dell'integrazione. Lo scontro non è solo tra le civiltà rappresentate ma anche all'interno dei nuclei familiari. Malgrado la sua brevità, il ruolo del mio personaggio è determinante nella vita di Marco.
Isotta Toso: Mi dispiace dirlo, ma in Italia è difficile convincere un attore che anche un piccolo ruolo può essere importante. Luigi Diberti invece, come Manuela Morabito, si è prestato con generosità.