Bisogna ammettere quanto Skincare, debutto alla regia di Austin Peters, sia un thriller abbastanza sgamato nelle sue svolte e nel suo finale, ampiamente annunciato e prevedibile fin dalle prime scene (e non solo per coloro che hanno dimestichezza, essendoci dei suggerimenti visivi fin troppo chiari). Tuttavia, c'è una sostanza narrativa che funziona, generando un buon meccanismo capace di intrattenere a dovere.
Snello e ben compresso in novanta minuti (fondamentale il dono della sintesi!), quello di Peters è, dunque, un'interessante digressione sul tema: la smania dell'apparenza, l'egocentrismo, la società del consumo che genera mostri. Ben costruito, ben girato e, soprattutto, ben interpretato. Effettivamente Skincare, arrivato in streaming nei cataloghi pay-per-view, è il one-woman-show di Elizabeth Banks, assolutamente perfetta per il ruolo. In un crescendo inesorabile che vale la visione.
Skincare: Elizabeth Banks estetista a Los Angeles
Infatti, è doppio il fulcro di Skincare: da una parte la location, Los Angeles, e dall'altra invece la protagonista, Hope Goldman, interpretata appunto dalla Banks. Siamo nel 2013 (sembra passato un Secolo), e Hope è una quotatissima estetista. Copertine, interviste televisive, clienti fidelizzati. Tra l'altro, sta lanciando la sua linea di prodotti per la pelle, realizzati con ingredienti di pregevole fattura (importati dall'Italia!). Dall'altra parte della strada, però, scopre che sta per aprire un altro studio di bellezza, quello di Angel Vergara (Luis Gerardo Méndez).
Hope si sente minacciata, anche perché gli affari, ultimamente, non vanno benissimo, faticando per pagare l'affitto dello studio (e gli affitti a LA hanno tariffe astronomiche). Come se non bastasse, l'indomani, Hope è vittima di un hackeraggio della mail. Chi sarà stato? Le cose precipitano quando l'estetista inizia a subire piccoli atti persecutori: telefonate da numeri sconosciuti, le gomme dell'auto bucate, clienti maniaci. Addirittura il suo speciale televisivo viene sostituito da un'intervista allo stesso Angel. Forse, immagina lei, dietro lo stalkeraggio c'è proprio il dirimpettaio rivale. Intenta a scoprire la verità, chiederà aiuto a Jordan (Lewis Pullman), un life coach amico di una sua cliente abituale.
Il narcisismo smascherato
Se il colpo di scena, che ribalterebbe la struttura, è di quelli annunciati, Skincare, nel look e negli spunti, non tradisce però le buone vibrazioni suggerite, già, dall'efficace poster. In questo senso, il panorama spietato rivisto da Austin Peters, che ha firmato la sceneggiatura insieme a Deering Regan e Sam Freilich, convince e, a tratti, addirittura stupisce. Al centro, l'abbiamo detto, Elizabeth Banks, ma anche il panorama umano tipico di Los Angeles. C'è una puntualità, in tal senso, che risulta adiacente alla volontà narrativa di smascherare, tramite l'efficacia del genere thriller, una società votata alla meschinità, al narcisismo e alla superficialità, tra l'altro mossa da una sommessa rabbia che, come vedrete nel film, scatenerà una sorta di effetto domino impossibile da controllare (nonostante Hope sia anche una donna molto vulnerabile e sfaccettata).
Curioso, del resto, l'approccio narrativo che, scena dopo scena, si mantiene in equilibrio: sull'orlo dell'implosione, il regista dimostra di saper dosare al meglio la tensione, sciogliendo il ritmo nella parte finale che, velocemente, ci accompagna verso il suddetto epilogo. Per certi versi, Skincare, per tono e colori, sembra provenire da certi thriller degli anni Novanta, rivisti però seguire una adiacenza rispetto ai bisogni contemporanei del pubblico: una storia dritta, che scorre senza intoppi, risultando contemporaneamente sia arguta che accessibile. Una prova riuscita, e tra l'altro supportata dalla sempre efficace suggestione reale: sì perché Skincare è ispirato alla vicenda vera della famosa estetista Dawn DaLuise. Non entriamo nel dettaglio per non rovinarvi il finale, ma vi basti sapere che la vita, a volte, è molto più assurda del cinema stesso.
Conclusioni
Austin Peters sceglie un'assurda storia vera per il suo film d'esordio. Skincare, che esalta la bravura di Elizabeth Banks, è un thriller che si concentra sulle vibrazioni dettate dalla location, e dal mondo che si prefigge di raccontare. Una buona tensione e un buon ritmo, nonostante il finale sia fin troppo leggibile.
Perché ci piace
- Elizabeth Banks, notevole.
- La costruzione scenica e narrativa.
- Una storia suggestiva.
Cosa non va
- Un finale troppo prevedibile.