Elegante, statuaria, ma di una dolcezza da cui sembra quasi trapelare un'indole un po' goffa e timida, che difficilmente si potrebbe associare ai suoi personaggi-simbolo, così grintosi e determinati. Sigourney Weaver, sessantanove anni appena compiuti e portati splendidamente, fra i protagonisti della tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma 2018, si presenta sia alla stampa, sia all'incontro di mercoledì pomeriggio con il pubblico con un viso sorridente e un atteggiamento umile e disponibile, fermandosi a lungo a firmare autografi.
Da quasi quattro decenni fra le icone del genere sci-fi grazie al ruolo di Ellen Ripley nella fortunatissima saga di Alien, nel corso di una carriera che si estende pure al teatro e alla televisione Sigourney Weaver (nome d'arte di Susan Alexandra Weaver) ha mostrato un'innegabile versatilità, recitando in film di enorme successo come Ghostbusters, Una donna in carriera e Avatar, offrendo intense prove drammatiche in pellicole quali Gorilla nella nebbia e collezionando due Golden Globe e tre nomination all'Oscar. La Weaver ha confermato di aver da poco concluso le riprese dei due nuovi, attesissimi capitoli della saga di Avatar, ha parlato dei suoi personaggi più noti e dei grandi registi con cui ha lavorato, si è commossa fino alle lacrime rievocando uno dei suoi film preferiti, I segreti di Brokeback Mountain, e verso la fine dell'incontro ci ha rivelato perfino il rimpianto per un ruolo mancato che avrebbe tanto voluto interpretare...
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Sigourney, l'eroina di Alien
Quando ha iniziato questa carriera, avrebbe mai immaginato di diventare un'icona della fantascienza?
Sono sempre stata interessata soprattutto alle storie in sé. La fantascienza oggi è un genere molto sofisticato, che affronta le grandi domande su noi stessi, e ormai fa parte del canone letterario americano. Ma non ho programmato la mia carriera nella fantascienza, io volevo semplicemente essere un'attrice di teatro. Il teatro è un'eccellente rodaggio per qualunque tipo di attori, ti rende più sicuro e fiducioso.
E quando ha girato Alien aveva pensato che potesse diventare un fenomeno di tali proporzioni?
Ridley Scott all'epoca era al suo secondo lavoro e io al mio primo ruolo importante, per entrambi è stato una sorta di 'battesimo'. Non amava fare prove, ci faceva improvvisare, in modo che non fossimo mai sicuri di cosa sarebbe successo un secondo dopo l'altro; da attrice di teatro, questo approccio mi spaventava un po'. Sul set l'alieno era interpretato da un attore molto basso, che già di per sé aveva l'aria di un alieno e con il costume addosso era davvero terrificante; durante le riprese, quindi, dovevo sempre confrontarmi con questa 'entità'. Ho amato girare quel film e anche recitare in abiti sporchi, fra un ciak e l'altro potevo fare quello che volevo! Però mi mancava il teatro, quindi dopo Alien tornai a recitare in palcoscenico e ci sono voluti due anni prima che girassi un altro film. Alien è stato un'opera davvero innovativa, ne sono molto fiera. In seguito ho cambiato generi, finché James Cameron non mi ha riportato alla fantascienza. I critici dovrebbero cambiare atteggiamento verso il genere sci-fi e non limitarsi solo a parlare degli effetti speciali: in questi film c'è moltissimo altro!
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Confessioni di un'attrice sempre 'all'altezza'
Le è capitato spesso di dover improvvisare sul set?
Dipende dai registi. Roman Pokanski, per esempio, sul set de La morte e la fanciulla mi diceva esattamente cosa fare; talvolta non mi trovavo a mio agio, ma alla fine mi rendevo conto che aveva sempre ragione lui! Comunque penso che qualunque scena, se ben recitata, dovrebbe sembrare 'improvvisata'. Su Roman Polanski ho un aneddoto: mi volle incontrare qui a Roma per parlare del mio ruolo ne La morte e la fanciulla, e abbiamo pranzato insieme al tavolino all'aperto di un ristorante. Sei mesi dopo Roman mi contattò per dirmi che una rivista aveva pubblicato le foto del nostro pranzo scrivendo che avevamo una relazione segreta, e mi chiese se volevo fare causa alla rivista. Ma io gli dissi di no: "È la storia più interessante che abbiano mai scritto su di me!". Lavorare con Roman è stata una grande esperienza, abbiamo girato il film in ordine cronologico e senza usare storyboard. Era un progetto molto personale per Roman, che modificò molto il testo del dramma teatrale.
Lei ha interpretato spesso personaggi forti o 'duri': come è riuscita a sottrarsi allo stereotipo hollywoodiano della "fidanzatina"?
Be', innanzitutto ogni volta che dovevo incontrare dei produttori mi chiedevano di sedermi perché ero troppo alta! Con la mia altezza (Sigourney è alta 1.82, ndr) non potevo fare la protagonista nei film romantici, non mi consideravano mai adatta; l'unica eccezione è stata Un anno vissuto pericolosamente. Per fortuna ci sono stati registi come Peter Weir, Ridley Scott e James Cameron, che mi hanno ingaggiata a prescindere dalla mia altezza.
Suo padre lavorava per la televisione e sua madre era un'attrice: quale lezione ha tratto da loro?
Ammiravo molto mio padre, tornava sempre dal lavoro con un'aria soddisfatta e questo mi ha bendisposto verso quell'ambiente. Mia madre invece smise di recitare dopo essersi sposata: non parlava mai del suo lavoro e mi consigliava di scappare da Hollywood il prima possibile, dicendomi che in quell'ambiente tutti quanti provano solo ad approfittarsi di te.
A questo proposito, qual è il suo giudizio sul caso Weinstein e sul movimento MeToo?
Era ora, è stato un passo vitale nella lotta per l'uguaglianza: queste donne hanno iniziato una rivoluzione. Anche molti registi hanno sempre avuto un atteggiamento inclusivo e volevano cambiare l'industria, e forse ora questo è possibile. Ma c'è ancora tantissimo da fare, e molti stanno agendo in tal senso, uomini e donne.
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Dal dramma alla commedia: Gorilla nella nebbia e Una donna in carriera
Qual è il suo ricordo di uno dei film più apprezzati che abbia interpretato, Gorilla nella nebbia?
Avevo letto il libro di Dian Fossey e due diversi studios mi proposero di interpretarla in un film, per poi unire le forze. Avevo alcune perplessità, non volevo rischiare di mancare di rispetto a una figura tanto importante, ma poi ho accettato. È stata un'esperienza grandiosa: sia il fatto di lavorare in Africa, sia aver fatto parte del team di Dian Fossey. E sono stata felicissima di passare del tempo con i gorilla: è una sensazione splendida, sono animali incredibilmente umani.
Com'è stato invece lavorare con un maestro come Mike Nichols per Una donna in carriera?
Mike Nichols è il regista più brillante e simpatico con cui abbia lavorato! Aveva un'estrema precisione, gli bastavano pochissimi ciak per ottenere il risultato sperato. È stato un piacere lavorare con lui e con quel cast grandioso in Una donna in carriera. Il mio personaggio, Katharine, è basato su una donna un po' come lei... una persona in fondo piacevole, ma arrogante.
Come mai le commedie sono considerate spesso un genere minore?
È un mistero, io adoro le commedie! Forse dipende dal desiderio dell'industria cinematografica di essere presa sul serio come forma d'arte. Ma è più difficile fare una buona commedia o trovare script brillanti validi, e spesso non si capisce quanto lavoro sia necessario per riuscirci. Inoltre è fondamentale avere un istinto per i tempi comici.
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Avatar ieri e oggi, i progetti con Guadagnino e un 'rimpianto' targato Meryl
Si aspettava il gigantesco successo ottenuto da Avatar?
Avatar rappresenta un'esplorazione di temi importanti riguardo chi siamo, il nostro pianeta, il conflitto fra l'avidità e la comprensione. Nessuno però era preparato a questo successo... nemmeno la Fox! James Cameron è molto aperto nei confronti degli attori e dei loro suggerimenti, e mi sono divertita a girare insieme a lui il secondo e il terzo capitolo della saga. Ogni giorno, sul set, James ripeteva: "Nessuno ha mai fatto qualcosa del genere, vediamo come andrà!".
Cosa ne pensa della proposta di introdurre un Oscar al miglior film popolare?
Ne sono rimasta sorpresa, credo sia un modo per provare ad attrarre giovani spettatori usando i film popolari. Ma parlare di Oscar popolare è assurdo, perché implica che tanti grandi film premiati non siano popolari.
Quali sono stati i registi con i quali ha avuto la migliore intesa, e con quali invece le piacerebbe lavorare?
Ho lavorato con diversi registi meravigliosi, come James Cameron, ma quello che mi ha sorpreso davvero è stato Ang Lee: quando mi ha diretto in Tempesta di ghiaccio quasi non avevamo bisogno di parlare, ci bastava scambiarci uno sguardo per capirci alla perfezione. E Brokeback Mountain è una delle più grandi storie d'amore di sempre! Fra gli italiani, invece, Luca Guadagnino mi ha proposto di recitare in un paio di progetti, ma non ci siamo riusciti... però vorrei tanto lavorare con lui, e anche con Martin Scorsese.
Invece, c'è qualche ruolo che avrebbe voluto interpretare e che rimpiange?
Sì, la parte di Julia Child in Julie & Julia, e fra l'altro sono anche alta come lei! Meryl Streep ha fatto un lavoro fantastico in quel film, ma quanto avrei voluto esserci io al suo posto...