Per ogni regista con un pizzico di lucidità, i capolavori sono film che ti arrivano per caso.
Sidney Lumet ha sempre riconosciuto l'importanza della fortuna nella sua professione, ma con una postilla fondamentale: un regista di talento deve saper preparare il terreno alla fortuna. E in questo, Lumet è stato un cineasta impeccabile: meticoloso, appassionato, lucidissimo nel raccontare l'America del suo tempo e nel rappresentarne contraddizioni più profonde. Nato il 25 giugno 1924 a Philadelphia ma cresciuto a New York, sua città d'adozione, Sidney Lumet si sarebbe formato come regista negli anni Cinquanta nel campo delle serie TV, per poi debuttare al cinema nel 1957 con La parola ai giurati. Da allora, in mezzo secolo d'attività Lumet avrebbe diretto oltre una quarantina di pellicole, al ritmo di circa un film all'anno, fino al suo ritiro dalle scene nel 2007, due anni dopo essere stato insignito del premio Oscar alla carriera; la sua scomparsa sarebbe avvenuta il 9 aprile 2011, a ottantasei anni d'età.
E nel corso di questa carriera estremamente prolifica, Sidney Lumet ha costruito un ponte ideale fra il cinema degli anni Cinquanta, sotto il segno della ricerca di realismo e di una maggior attenzione a diverse istanze sociali, e lo spirito di rottura della New Hollywood, movimento di cui Lumet può essere considerato uno degli ispiratori, nonché dei principali esponenti. Intanto, prima dell'avvento della New Hollywood Lumet si specializza nelle trasposizioni dal teatro: da Tennessee Williams Pelle di serpente, con Marlon Brando e Anna Magnani; da Arthur Miller Uno sguardo dal ponte, con Raf Vallone; da Eugene O'Neill Il lungo viaggio verso la notte, con una grandiosa Katharine Hepburn; e poi ancora La collina del disonore di R.S. Allen, con Sean Connery, Il gabbiano di Anton Cechov, con James Mason e Vanessa Redgrave, e più tardi Equus di Peter Shaffer, con un magnifico Richard Burton.
Dalla narrativa provengono invece opere quali A prova di errore, sulla minaccia nucleare in piena Guerra Fredda, Il gruppo, affresco corale sul ruolo della donna nell'America dell'anteguerra, e gialli di ottima fattura quali Chiamata per il morto e Assassinio sull'Orient Express, in cui Albert Finney veste i panni del detective Hercule Poirot. Ma a partire dagli anni Settanta, il cinema di Lumet sarà popolato soprattutto da personaggi alle prese con ardui dilemmi morali e ingabbiati in un sistema ingiusto o corrotto: il coraggioso poliziotto di Al Pacino in Serpico o quello impersonato da Treat Williams ne Il principe della città, i coniugi Julius ed Ethel Rosenberg nel meno noto Daniel o l'avvocato Andy García in Prove apparenti. E a tale categoria appartengono anche i protagonisti dei migliori film di Sidney Lumet, che ricordiamo di seguito a dieci anni dalla scomparsa di questo regista straordinario.
1. La parola ai giurati (1957)
È uno degli esordi cinematografici più acclamati di sempre, e con pieno merito: il passaggio dal piccolo al grande schermo per Sidney Lumet avviene nel 1957, e non a caso con la trasposizione di un soggetto televisivo, 12 Angry Men di Reginald Rose. I "dodici uomini arrabbiati" del titolo originale sono i dodici giurati che, in una claustrofobica ora e mezza di discussione a porte chiuse, si confronteranno su un caso di omicidio, facendo venire a galla meschinità e pregiudizi. Al volto limpido e alla voce pacata del giurato Henry Fonda, Lumet affida al contrario l'afflato umanistico del primo eroe della sua vastissima filmografia, aperta in maniera a dir poco eccelsa: ricompensato con l'Orso d'Oro al Festival di Berlino, La parola ai giurati già mette in luce il talento di Lumet tanto nella messa in scena, quanto nella direzione degli attori.
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2. L'uomo del banco dei pegni (1964)
A sintetizzare l'impatto culturale di un film come L'uomo del banco dei pegni basterebbe sottolineare come, nel 1964, questa trasposizione di un libro di Edward Lewis Wallant infranga diverse restrizioni del Codice Hays, inclusa quella relativa alle scene di nudo, affrontando fra l'altro un tema quale l'Olocausto dalla prospettiva di un sopravvissuto (la prima volta in una produzione americana). Ed è con una rara potenza espressiva che Sidney Lumet, avvalendosi di un eccezionale Rod Steiger nella parte di un ebreo scampato ai lager e immigrato negli Stati Uniti, nella comunità di Harlem, riesce a trasmettere il peso di una tragedia che si riflette sulle scelte del protagonista e sulla sua freddezza, adoperata come un'armatura contro il dolore.
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3. Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975)
Il malessere di un "uomo qualunque", l'istinto di ribellione contro l'autorità costituita, ma pure l'inesorabile spettacolarizzazione della cronaca: poche pellicole hanno saputo raccontare l'America degli anni Settanta con l'efficacia di Quel pomeriggio di un giorno da cani, cruda narrazione di una rapina in banca in cui il piano di una coppia di criminali improvvisati fallisce in una manciata di minuti, dando inizio a un logorante braccio di ferro con la polizia. E Al Pacino, affiancato da un manipolo di superbi comprimari quali John Cazale, Charles Durning e Chris Sarandon, dà vita alla sua più intensa performance di sempre nel ruolo di Sonny Wortzik, umanissimo antieroe al centro di una situazione esplosiva, in questa pietra miliare datata 1975 che continua a offrirci un impressionante saggio delle doti di Lumet.
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4. Quinto potere (1976)
Ad appena un anno di distanza da Quel pomeriggio di un giorno da cani, nel 1976 Sidney Lumet firma un altro capolavoro destinato a segnare un'epoca e ad anticipare trasformazioni e derive dei decenni a venire: Quinto potere, spietato ritratto dell'ambiente della televisione e delle perverse logiche dell'infotainment, basato su una folgorante sceneggiatura di Paddy Chayefsky. Dal conduttore nevrotico di Peter Finch, che si reinventa come rabbioso idolo delle folle al grido di "Sono incazzato nero e tutto questo non lo sopporterò più!", al suo collega William Holden, che assiste con malinconica rassegnazione alla metamorfosi dell'amico, passando per la produttrice senza scrupoli incarnata da una strepitosa Faye Dunaway, il film ci presenta una galleria di personaggi indimenticabili nella cornice di una società post-ideologica e di un'America all'affannata ricerca di nuovi modelli di riferimento, per quanto illusori. Quinto potere vincerà quattro premi Oscar (fra cui i trofei per Finch e la Dunaway), farà guadagnare a Lumet il Golden Globe come miglior regista e si imporrà fra le opere-simbolo del cinema degli anni Settanta.
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5. Il verdetto (1982)
Se nel 1957 La parola ai giurati mostrava cosa accade nel confronto a porte chiuse fra i dodici membri di una giuria, nel 1982 con Il verdetto Sidney Lumet ci porta nell'aula di tribunale in cui si consuma il processo contro i medici di un ospedale cattolico, accusati di aver ridotto una paziente in stato vegetativo. Scritto da David Mamet a partire dal romanzo omonimo di Barry Reed, Il verdetto ci viene raccontato adottando la prospettiva di Frank Galvin, avvocato con problemi di alcol e alla disperata ricerca di un'occasione di riscatto: un ruolo in cui un maestoso Paul Newman regala forse la più bella prova d'attore della sua leggendaria carriera (basti rivedere la sua emozionante arringa finale, girata tutta in piano sequenza). Non solo uno dei maggiori successi di Lumet, ma una delle assolute pietre miliari nel campo dei drammi giudiziari.
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6. Vivere in fuga (1988)
Se il cinema di Sidney Lumet è paragonabile a un composito affresco della società americana della seconda metà del Novecento e delle sue diverse ideologie, Vivere in fuga ne costituisce un capitolo particolarmente emblematico: i protagonisti del film del 1988 sono infatti una coppia di attivisti (Judd Hirsch e Christine Lahti) che, dopo un attentato a un laboratorio militare come forma di boicottaggio contro la Guerra del Vietnam, sono stati costretti a trascorrere sotto falsa identità i quindici anni successivi, spostandosi continuamente da un luogo all'altro degli Stati Uniti. In Vivere in fuga, la visione del pacifismo e della disobbedienza civile da parte di chi ha vissuto quegli anni di contestazioni si alterna al punto di vista del figlio adolescente della coppia, splendidamente interpretato da uno dei nuovi, grandi talenti dell'epoca, il diciassettenne River Phoenix.
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7. Onora il padre e la madre (2007)
Nel 2007, a ottantatré anni d'età, Sidney Lumet si congeda dal proprio pubblico con l'ultimo, eccezionale tassello di una filmografia davvero con pochi eguali: Onora il padre e la madre, un ferocissimo thriller che trascina lo spettatore negli abissi morali in cui sprofonderanno i due fratelli al centro della trama, alle prese con un progetto criminale dall'esito catastrofico. Sono Ethan Hawke e Philip Seymour Hoffman a prestare il volto a questi due antieroi a corto di denaro che decidono di effettuare una rapina nella gioielleria dei propri genitori, senza però riuscire a controllare le conseguenze delle loro azioni. Dramma nichilista messo in scena rompendo la linearità cronologica, per aderire invece a una pluralità di prospettive differenti, Onora il padre e la madre è la raggelante opera-testamento di un cineasta grandioso, coerente fino all'ultimo con un percorso cinematografico incredibilmente ricco ed entusiasmante, di cui continuiamo ad essergli grati.
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