Si sardi chi può
Il piano sequenza finale accompagna la lunga marcia di Zuanne, il protagonista di Sonetaula, verso la macchina da presa. Il primissimo piano raccoglie pietoso le sue lacrime, che scendono lente e calde di deserto, mentre direttamente dal paradiso s'apre il potente canto del coro di Castelsardo, sontuoso accompagnamento all'ultima immagine del protagonista che porteremo a casa, sulla quale torneremo ripensando ai nostri fallimenti. E' l'addio del regista a Sonetaula, ragazzino che sboccia già appassito sui monti della Sardegna, dove la miseria fa morire con gli uomini anche le pecore. Durante le due ore e mezza di film (troppa bontà, l'ipnosi delle immagini spesso si fa traballante) ci annodiamo allo sguardo del ragazzo per un arco temporale che va dal '37 al '50 e facciamo nostro il suo smarrimento di fronte all'incapacità di comprendere le ingiustizie che lo privano del padre, di proteggersi dal male per non diventarne parte, e di affrontare con intatta meraviglia i nuovi orizzonti del progresso.
Che coraggio questo Salvatore Mereu, che si vede concedere succulenti finanziamenti da Rai Fiction, ma fa salva la sua libertà creativa per realizzare un film smaccatamente anti-televisivo, ostico anche per la nicchia, ma che è finalmente cinema. Sonetaula parla logudorese, un dialetto sconosciuto perfino alla maggioranza dei sardi, ma sa rispettare il silenzio di un paesaggio in continuo mutamento, che è deserto e terreno fertile insieme, domanda e offerta di una condizione di isolamento rispetto al continente: si offre il fascino incontaminato della natura, si chiede in cambio un digiuno di ambizioni e lussuose soddisfazioni. Nel racconto di formazione del ragazzo, che prende il nomignolo dalla fragilità delle sue ossa che fanno ancora rumore di legna, si mettono in gioco tutte le pulsioni primordiali che permettono l'esplosione la vita. Mentre tutt'intorno è lacrime e ultimi respiri, Zuanne deve inventarsi un'adolescenza, partire dalla solitudine dei suoi dodici anni per provare a diventare uomo tutto intero, difendersi dalla miseria e dalla sua stessa rabbia che grida vendetta per il torto subito, quello di un padre mandato a morire al confino per un reato mai commesso.
Senza insegnamenti adeguati e gesti che aiutino a tradurre la teoria nella pratica, Sonetaula sbanda e s'arrende al banditismo, la strada più facile per sopravvivere, ma la sua controparte ancora pura gli ricorda che "il vero coraggio è non scegliere il male, anche quando conviene". L'amore potrebbe salvarlo, ma come gli animali, il primitivo Sonetaula vive d'istinto e non sa gestire ciò che prova, arriva a pretendere senza fornire sicurezze, mosso solo dal terrore della propria solitudine. Il ragazzino inoffensivo, che può ancora contare sulla solidarietà di chi senza sovrastrutture può vedere in lui briciole di buono, diventa d'incanto il mostro, automatica scatta la caccia all'uomo mentre in paese scoppia il progresso, e la fine per lui si fa già vicina, ad un solo colpo di fucile. Tratto dal libro omonimo di Giuseppe Fiori, Sonetaula si accende dei volti di un popolo che si appropria lentamente della civiltà, che accoglie l'eco della guerra grazie al passaggio dei soldati che barattano mitra in cambio di formaggio. Mereu sa cogliere le sfumature del contesto, scorta il suo protagonista senza dimenticare chi lo circonda, e procede ad una narrazione che non scende mai a compromessi. La fotografia incanta, la regia è agile e in qualche passaggio lambisce il prodigio, gli attori esordienti ci sanno ancora fare. Sonetaula è forse un film impossibile da avvicinare per lo spettatore medio (che purtroppo manca di educazione ad un tipo di film simile) ma aprirsi ad un territorio (cinematografico e contenutistico) diverso dall'ordinario e così ben lavorato può solo arricchire, di emozioni e di nuovi punti di vista.