È il 21 giugno del 1941, in un immaginario villaggio dell'Ucraina sovietica. I soldati russi lavorano per "sovietizzare" la campagna, cioè per indottrinare le persone che vivono nei villaggi al comunismo. Tutto questo mentre la Germania sta per invadere la Polonia. Ancora una volta, alla Festa del Cinema di Roma, dopo January, ci troviamo davanti a un film che fa i conti con dei luoghi che oggi sono al centro della cronaca, e la cosa ci fa un certo effetto. È una suggestione, un'idea che ci sfiora un attimo, un momento in cui ci fermiamo a pensare. Ma dura poco, perché, come vi spieghiamo nella recensione di SHTTL, il film del regista argentino Ady Walter, la storia in realtà parla d'altro, e pone questioni molto sentite per quel che riguarda la religione ebraica, che vediamo spesso in molti film e serie. Al centro del film c'è il contrasto tra modernità e tradizione, tra ortodossia e interpretazione personale della religione, e il tutto viene raccontato con uno stile virtuosistico, tra immagini in bianco e nero e grande uso del piano sequenza. Ma il film finisce per essere troppo verboso e ripetitivo nelle tematiche. Anche se un colpo di scena finale ce lo farà vedere sotto un'altra luce.
Mendele torna al suo paese
Mendele è partito dal suo paese, un immaginario paesino della Ucraina rurale, che si trova al confine con la Polonia, per andare in città, a Kiev, a lavorare nel cinema. Tornato nel villaggio, magnifica le doti della città e del suo lavoro. Ed è qui che vuole tornare, e portare con sé il suo amore, che sta per sposare il figlio del Rabbino. Mentre si ricongiunge al padre anziano, e visita la tomba della madre scomparsa, fa lunghe discussioni con gli ortodossi del paese sul senso della fede e sul modo di intendere la religione. Ma la sua intenzione è quella di portare via con sé la sua amata, portarla a Kiev a lavorare con lui.
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Come in Unorthodox, ma nel 1941
SHTTL racconta un tema molto sentito all'interno della religione ebraica, e che oggi è noto a molti per essere stato trattato in vari film e serie. È quella continua tensione tra tradizioni e modernità, tra le norme di una dottrina molto rigida per chi la intende in maniera ortodossa e le scelte individuali. Siamo nel 1941, ma, in fondo, i temi sono gli stessi di oggi, e chi ha visto una serie ambientata ai giorni nostri come Unorthodox li conosce bene. Il centro del film è questo, ma un colpo di scena proprio nel finale, proprio quando credevamo che il film fosse finito - e che non possiamo raccontarvi - pone il film sotto un'altra luce.
Una provocazione: un cambio fra uomini e donne
Pur ambientato in esterni, e con un cast di personaggi in continuo movimento, Shttl ha in fondo una struttura teatrale, è un film molto parlato, fitto di discorsi e disquisizioni. Una delle contestazioni che viene fatta al gruppo più integralista che comanda il villaggio è che i maschi giovani vengono preservati per studiare la dottrina, e in questo modo non possono aiutare nei campi, così che a lavorare sono sempre e solo le donne. Una ragazza, a un certo punto, propone di fare a cambio: far studiare le donne e far andare a lavorare nei campi i giovani uomini. È chiaramente una provocazione, ma che porta il discorso su temi molto attuali.
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Bianco e nero e piani sequenza
Il regista argentino Ady Walter sceglie di raccontare la storia in modo molto ricercato, estetico, virtuosistico. A partire dalla scelta di girare in un bianco e nero poco contrastato, luminoso, che ci ha ricordato quello de Il nastro bianco di Haneke, lasciando il colore ai flashback che ci raccontano qualcosa di più della vita dei protagonisti. È una scelta che colloca il racconto indietro nel tempo, negli anni in cui si svolge, e, allo stesso tempo, lo astrae e lo rende qualcosa di universale. L'altra scelta virtuosistica è quella di organizzare le sequenze in una serie di piani sequenza, dall'azione spesso vorticosa. Ma è la verbosità del film, il continuo parlarsi addosso dei personaggi, che rende il film monotono e ostico, finendo per allontanare lo spettatore invece che invitarlo alla visione. Anche se, come abbiamo detto, un fatto finale permette di inquadrare il film in un certo senso. Un'ultima curiosità. Il villaggio al centro del film è stato ricostruito a 60 chilometri da Kiev, e l'intento è sempre stato quello di farlo diventare, dopo le riprese, un museo a cielo aperto. Chissà se, con la guerra in Ucraina, oggi esiste ancora.
Conclusioni
Nella recensione di SHTTL vi abbiamo parlato di un film sul contrasto tra modernità e tradizione, tra ortodossia e interpretazione personale della religione, raccontato con uno stile virtuosistico, tra immagini in bianco e nero e grande uso del piano sequenza. Ma il film finisce per essere troppo verboso e ripetitivo nelle tematiche. Anche se un colpo di scena finale ce lo farà vedere sotto un'altra luce.
Perché ci piace
- Il film è girato in un raffinato bianco e nero, con sprazzi di colore per i flashback.
- Le sequenze sono organizzate in una serie di piani sequenza realizzati con maestria.
- Assistiamo ancora una volta al contrasto tra ortodossia e interpretazione personale della religione.
Cosa non va
- Il film, che ha una struttura teatrale, è troppo verboso e si parla addosso.
- I dialoghi sono ripetitivi e finiscono per rendere il film monotono.
- La Storia con la S maiuscola resta troppo ai margini, e quando arriva è troppo tardi.