Scrivere oggi la recensione di Sherlock Holmes significa tornare indietro al 2009, quando il film di Guy Ritchie arrivò nelle sale senza che il detective ideato da Sir Arthur Conan Doyle fosse veramente onnipresente: la trasposizione televisiva della BBC ambientata ai giorni nostri arrivò nell'estate del 2010, quella americana con una premessa simile nel 2012, il detective anziano col volto di Ian McKellen nel 2015 e la parodia targata Will Ferrell nel 2018, e ancora non si parlava della sorella apocrifa Enola Holmes, arrivata su Netflix nel 2020 (senza dimenticare la versione animata Sherlock Gnomes, dove l'investigatore è un nano da giardino).
Basti pensare che, per quanto riguarda le produzioni in lingua inglese, l'ultima apparizione del celebre detective di Baker Street risaliva al 1988, in una parodia dove si scopriva che Holmes in realtà era un attore ingaggiato dal dottor Watson, la vera mente brillante capace di risolvere ogni crimine. Un intervallo di ventun anni, cosa di non poco conto se si considera che la creatura di Conan Doyle detiene il record mondiale del maggior numero di trasposizioni cinematografiche (quando aveva il volto di Basil Rathbone, tra il 1939 e il 1946, appariva in una media di due film l'anno).
Un caso paranormale
Sherlock Holmes ci riporta nella Londra vittoriana, dove il grande investigatore (Robert Downey Jr.) e il fido Watson (Jude Law) stanno indagando sulle malefatte di Lord Blackwood (Mark Strong), un nobile che si interessa all'occultismo. Questi viene giustiziato, ma lo si avvista successivamente in occasione di altri omicidi simili a quelli da lui commessi in precedenza. Come se non bastasse, Holmes deve fare i conti con un appartamento un po' più vuoto, dato che Watson si è fidanzato con Mary Morstan (Kelly Reilly) e intende lasciare Baker Street, e con la vecchia avversaria/amante Irene Adler (Rachel McAdams), la quale agisce sugli ordini di un misterioso e inquietante professore. E il tutto si ricollega alla presunta resurrezione di Blackwood, i cui legami con una società segreta londinese potrebbero avere conseguenze devastanti per l'intero paese. Spetterà a Holmes scongiurare l'esito peggiore, servendosi del suo prodigioso intelletto e, quando necessario, pure dei pugni.
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Venire alle mani
Alcuni puristi holmesiani avevano storto il naso già in sede di trailer, vedendo un detective che oltre al cervello ricorreva anche alla forza bruta in caso di necessità, un presunto tradimento dello spirito originale del personaggio che ha sempre privilegiato l'attività intellettuale (e come tale appare nella maggior parte degli adattamenti precedenti, in particolare nelle sacrosante interpretazioni di Basil Rathbone e Jeremy Brett). E se è vero che si tratta di un aspetto relativamente inedito sullo schermo (o almeno lo era nel 2009, perché anche in Sherlock non manca un po' di action), è comunque un elemento creato da Doyle, il quale fece affermare a Holmes di essere sopravvissuto al corpo a corpo con Moriarty servendosi dell'arte marziale nota come baritsu e più in generale sottolineava come lui amasse andare in giro per la città (mentre il fratello Mycroft, ancora più brillante ma inesorabilmente pigro, è sovrappeso perché odia sforzarsi troppo). In mano a Guy Ritchie, specializzato in racconti gangster ambientati nella capitale inglese, questa caratteristica diventa l'equivalente d'epoca di ciò che potremmo vedere negli altri suoi film, dando al lungometraggio una patina più moderna (complice anche il rallentatore) che però ha radici classiche.
Da quel punto di vista è anche filologica la scelta dei due interpreti principali, in particolare quella di Robert Downey Jr. per un personaggio intelligentissimo ma anche eccentrico, e non immune a qualche vizio poco ortodosso (nella fattispecie la cocaina, qui presente in modo velato tramite un'allusione di Watson). È anche il modo giusto per reinventare il detective per il pubblico odierno, desideroso di vedere qualcosa di diverso dalla fredda eleganza di altre interpretazioni, mostrandoci un animo più irrequieto e avventuroso dietro la scorza puramente razionale (ed è ancora più fondamentale la trasformazione di Watson, più vicino alla caratterizzazione letteraria che alla figura del buffone associata a Nigel Bruce, la spalla comica di Rathbone). C'è anche la mentalità del franchise, inevitabilmente, con la presenza quasi sussurrata di Moriarty a fare da indizio per il capitolo successivo, ma in fin dei conti l'operazione funziona come unità drammaturgica a sé, avendo a cuore principalmente il rapporto umano tra i due protagonisti, quasi come un Arma letale in era vittoriana (non a caso tra i produttori c'è Joel Silver). Con la differenza che Holmes e Watson non diranno mai di essere troppo vecchi per quello che fanno. Tra una sfida intellettuale, un battibecco e una scazzottata, sono semplicemente troppo impegnati, e si divertono parecchio. E noi con loro, per due ore abbondanti.
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione di Sherlock Holmes, il film che ha rinvigorito la figura del celebre detective al cinema dopo due decenni di assenza. Il tocco action di Guy Ritchie aggiunge un po’ di pepe a una storia originale che però non perde di vista i capisaldi del modello letterario di Conan Doyle, regalandoci un mistero intrigante che non si fa affossare dalle scene più fisiche. Strepitosi Robert Downey Jr. e Jude Law insieme.
Perché ci piace
- Robert Downey Jr. e Jude Law sono un ottimo duo.
- Mark Strong è un villain inquietante al punto giusto.
- La componente action non soffoca l’elemento giallo.
Cosa non va
- Lo stile di Ritchie non andrà giù a tutti i fan di Holmes.