Il successo dello Sherlock Holmes di Guy Ritchie, con un detective insolitamente atletico e scapestrato interpretato da Robert Downey Jr., affiancato dal più riflessivo compare Watson a cui dava il volto Jude Law, imponeva naturalmente un sequel. Arrivato due anni dopo il prototipo, questo Sherlock Holmes: Gioco di ombre non tradisce certo le aspettative, mantenendosi sulla scia del fortunato predecessore ma ampliando il raggio d'azione (che spazia ora tra Londra, la Francia, la Germania e infine la Svizzera), offrendo quantitativi di adrenalina ancora più generosi e introducendo la nemesi storica del personaggio, quel Moriarty qui ottimamente interpretato da Jared Harris e in procinto di scatenare, con le sue macchinazioni, un conflitto mondiale. I fans del primo film e in genere del cinema di Guy Ritchie non resteranno certamente delusi da questo sequel, mentre chi è rimasto legato all'immagine ingessata e un po' aristocratica del personaggio tramandata da un secolo di cinema e televisione storcerà probabilmente la bocca quanto, e più, che col predecessore.
Il film è stato comunque presentato, davanti a un cospicuo numero di giornalisti, in una conferenza stampa svoltasi in un hotel del centro di Roma, con il regista, il protagonista e i produttori Joel Silver e Lionel Wigram a soddisfare le numerose curiosità dei presenti.
Downey Jr., nel film il matrimonio di Watson è visto un po' come un Armageddon, mentre l'unico punto debole di Sherlock Holmes sembra essere l'attrazione per una donna. E' un punto di vista che condivide?
Robert Downey Jr.: In realtà noi volevamo un modo divertente per giustapporre il matrimonio di Watson al personaggio di Sherlock, così abbiamo pensato a questa sua avversione. Nei romanzi originali, Sherlock Holmes in realtà ammira molto le donne.
Guy Ritchie: Conan Doyle ha creato un personaggio "alla Bond" già 130 anni fa, con una storia molto sofisticata: una serie di romanzi che erano accessibili e divertenti, con un eroe d'azione che era anche intellettuale.
Joel Silver: E' stato Lionel a parlare per primo di una versione di Guy di Sherlock, tirava fuori sesso l'argomento e ne era entusiasta. Volevamo raccontare una storia vittoriana in modo fresco e contemporaneo: se pensate che ciò che ne è venuto fuori sia eccitante come Bond e Batman, sinceramente ne sono contento. Le storie di Sherlock, poi, sono sempre state seriali, a partire dai romanzi originali: fra qualche anno, mi piacerebbe star qui a parlare di Sherlock 23, come adesso si parla di Bond 23!
Guy Ritchie è un autore di cinema indipendente che si è prestato a un prodotto seriale destinato al grande pubblico. Secondo voi questo fa un po' la differenza rispetto ad altri prodotti, più stereotipati?
Joel Silver: Io credo che molti di questi registi, come Guy o altri, siano venuti da fuori del sistema, da produzioni indipendenti, per poi essere adottati dagli studios e affrontare storie mainstream, ma sempre con uno stile originale. Mi piacerebbe produrre altre pellicole del genere, che vengono da registi indipendenti prestati alle grandi produzioni.
Guy Ritchie: Ultimamente si sta verificando il fenomeno per cui i film indipendenti stanno "appassendo", mentre la qualità dei film prodotti dagli studios sta aumentando. Ritengo che questo matrimonio tra cinema indipendente e grande produzione sia un momento unico nella storia del cinema, e mi fa piacere farne parte.
Come avete lavorato affrontando le storie classiche? Le avete rilette e messe da parte per offrirne la vostra visione, oppure avete affrontato dei punti chiave mettendoli in evidenza?
Nel film sembrano esserci dei riferimenti alla graphic novel The League of Extraordinary Gentlmen di Alan Moore, che a sua volta presentava vari riferimenti "bondiani". E' solo un caso?
Lionel Wigram: Io sono un grande fan di quella graphic novel, e sono cresciuto con i film di James Bond, ma l'influenza, se c'è, è solo casuale. La graphic novel da me scritta, che ha dato origine al primo film, trae le sue immagini direttamente dalle storie di Doyle, e credo che tutti, sul set, abbiano condiviso quella visione.
Downey Jr., dal film traspare una sua grande passione per questo progetto. Cosa ha apportato lei al personaggio, e cosa ha apportato invece Guy Ritchie?
Robert Downey Jr.: Sul set, io, Guy e il resto della troupe discutevamo spesso, litigavamo persino, ma alla fine siamo riusciti a ottenere una sintesi: quello che il pubblico ha visto, è che avevamo un immenso rispetto l'uno dell'altro.
Guy Ritchie: Da parte di tutto il team creativo c'è stato entusiasmo per un personaggio ancora enigmatico. L'entusiasmo è stato fondamentale, è stata la spinta alla base di tutto: abbiamo litigato e discusso un sacco, ma siamo felici, visto che siamo stati tutti sono stati complici dal punto di vista creativo.
Joel Silver: Anche la moglie di Robert, Susan Downey è stata fondamentale nel processo creativo: con la sceneggiatura, faceva come un cane col freesbee, non voleva mai mollarla. Tutti noi abbiamo cercato di rendere questo film speciale, e credo che abbiamo trovato la strada per farlo: trovo che sia il miglior sequel da noi realizzato, divertente, fresco, un grande film per le famiglie e per le feste natalizie.
Lionel Wigram: E' anche da dire che, una volta girata una scena, Guy stava sempre lì a chiederci come si poteva migliorare: tutti noi ci facevamo questa domanda, sul set, puntavamo sempre alla possibilità di migliorare quello che era stato già fatto, e credo sia per questo che il film è venuto così bene.
In effetti, rispetto al film precedente, l'aspetto "selvaggio" di Sherlock Holmes è ancora più sottolineato, anche nei travestimenti... Robert Downey Jr.: Ma la visione classica con mantellina, lente, ecc. è solo una stereotipizzazione introdotta successivamente da cinema e tv, mentre i travestimenti erano già presenti nelle storie originali: nel nostro film, poi, non erano mai abbastanza, e ce n'è persino uno "disgustoso" nella scena del treno...
Come mai la scelta di un attore come Stephen Fry per interpretare Mycroft Holmes, fratello del protagonista? Nel film, tra l'altro, c'è una divertente scena in cui il personaggio si spoglia... Guy Ritchie: L'idea è stata di Chris Martin (cantante dei Coldplay, ndr), nostro amico comune e anche lui fan di Holmes. Noi abbiamo subito provato a immaginarlo nel ruolo, e una volta visto Robert e io abbiamo pensato fosse fantastico. E' una persona intellettualmente notevole... almeno finché non si spoglia!
Downey Jr., lei ha fatto qualche corso di arti marziali per i combattimenti del film? Robert Downey Jr.: No, io già conoscevo il kung fu cinese, mentre Guy è bravo nel Jujitsu. Volevamo comunque che gli scontri avessero un forte contrappunto emotivo, il film ha una parte fisica molto importante. Nel prossimo film probabilmente introdurremo il Baritsu, una sorta di Jujitsu all'inglese.
Con questa sterzata del personaggio verso storie alla James Bond, non credete si corra il rischio di ridurre la parte strettamente investigativa? Robert Downey Jr.: Potrebbe succedere, certo, sappiamo che è un pericolo. Comunque stiamo già parlando, per il prossimo film della serie, di impostare una storia con una parte investigativa più presente, non abbiamo ancora affrontato la questione ma è senz'altro una possibilità.Già dal primo film c'era una singolare alchimia tra i protagonisti, che qui si perfeziona ed è uno degli elementi più divertenti del film; un'alchimia che sembra esserci anche tra i due attori. Come siete riusciti a crearla, e cosa c'è del regista in questo?
Guy Ritchie: Un regista una volta disse che il 90% della regia è costituito dal casting: in questo caso, ci è voluto un po' per scegliere il partner del protagonista, ma fin dall'inizio eravamo sicuri di Robert, e quando abbiamo visto Jude dopo 30 secondi abbiamo pensato che fosse perfetto. Questa alchimia tra i due ci piace molto perché è l'essenza del film: è come se tu, regista, guidassi la carica e loro andassero da soli verso la tigre.
Robert Downey Jr.: Se il pubblico non avesse reagito positivamente al casting del primo film, non saremmo stati qui nel sequel; quando si torna ad un personaggio, alcune cose possono perdersi, quindi bisogna ampliare alcuni aspetti e approfondirli. Nel nostro caso, volevamo che il personaggio di Watson raccontasse una storia dolorosa, interessante e misteriosa del suo rapporto con Sherlock.
Nel film stupisce la massiccia presenza di armi, l'uso stesso di questo concetto in un contesto storico di guerra imminente. Avete fatto un lavoro "filologico" su questo aspetto?