Shaft, la recensione: Samuel L. Jackson, Netflix e la nostalgia (letteralmente) canaglia

La recensione di Shaft, ennesima reinterpretazione del personaggio di culto degli anni Settanta, disponibile su Netflix.

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Shaft: Richard Roundtree e Samuel L. Jackson durante una scena

Con la recensione di Shaft ci avviciniamo nuovamente a un oggetto curioso, un ibrido a livello di distribuzione: ricorderete infatti che a febbraio abbiamo parlato di Non è romantico?, commedia americana targata Warner Bros. e New Line che è andata direttamente su Netflix a livello internazionale dopo due settimane di esclusiva in sala negli Stati Uniti. La stessa strategia, sempre ad opera delle case di produzione di cui sopra, è stata applicata alla nuova incarnazione cinematografica del personaggio interpretato da Richard Roundtree tra il 1971 e il 1974 e poi da Samuel L. Jackson nel 2000, con tanto di passaggio del testimone (Roundtree era lo zio del nuovo Shaft). Entrambi tornano in questo quinto capitolo, sequel e al contempo reboot, con tre generazioni riunite all'insegna di una frase di lancio americana spudoratamente volgare: "More Shaft than you can handle" (in inglese la parola shaft ha anche una connotazione sessuale).

Padre e figlio

La trama si apre nel 1989, quando John Shaft II (Jackson) e la moglie Maya (Regina Hall) vengono presi di mira dalla mala newyorkese. Per proteggere la propria famiglia, il poliziotto non ha più contatti diretti né con Maya né con il figlio John Jr., soprannominato JJ. Passano gli anni (vediamo anche un flashback dello Shaft di John Singleton, al termine del quale il protagonista lascia la polizia), e JJ (Jessie Usher), dopo essersi fatto le ossa al MIT, lavora per l'FBI come analista ed esperto di sicurezza informatica. Quando un suo amico d'infanzia muore in circostanze misteriose, il ragazzo decide di indagare per conto proprio, senza l'autorizzazione dei suoi superiori, e si ritrova al centro di un mondo ostile con cui ha poca dimestichezza. Per orientarsi gli servirà un esperto: il padre, divenuto investigatore privato. Quest'ultimo è felice di avere finalmente un rapporto umano con JJ, ma potrebbe pentirsene quando rischia nuovamente di mettere a repentaglio le vite dei propri cari...

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Shaft: una scena del film con Samuel L. Jackson, Richard Roundtree, Jessie Usher

Il nuovo film si chiama Shaft, esattamente come quello del 2000 e il capostipite, e il lungometraggio ci scherza su già all'inizio: sotto il titolo appare la classica data scritta in cifre romane, ma non è 2019, bensì 1971, l'anno del primo dei tre episodi con Richard Roundtree. Questo quinto capitolo, in parte sequel e in parte nuovo inizio (con tanto di retcon di un dettaglio importante del film precedente), è sospeso tra due epoche, con JJ costretto a fare i conti con i metodi bruschi e talvolta molto datati del padre (e, in misura minore, del primo Shaft).

L'omaggio alla blaxploitation dell'epoca è anche una critica della stessa, il più delle volte in chiave molto ironica, come quando Shaft II si difende da accuse di sessismo dicendo "Per quanto riguarda i calci in culo sono a favore delle pari opportunità". Un approccio di per sé interessante, grazie alla scrittura di Kenya Barris (lo showrunner di Black-ish), ma fortemente annacquato da Tim Story che, a livello registico, rimane placidamente innocuo, a metà tra il B-movie e una riflessione più seria sul politicamente corretto di oggi.

Autoironia, portami via

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Shaft: Samuel L. Jackson in una sequenza del film

L'indecisione tonale influisce anche sulle interpretazioni, in particolare quella del giovane Usher che, dovendo incarnare la "voce della ragione" dinanzi alle uscite volgari del genitore, non aggiunge nulla di particolarmente interessante, anzi, rallenta considerevolmente il tutto quando è solo in scena. Per fortuna c'è Samuel L. Jackson che, a prescindere dalla confusione tematica e stilistica, tratta ogni singola scena come un buffet di portate istrioniche allo stato puro, tuffandosi con gusto nelle atmosfere d'altri tempi, seppur con un pizzico di modernità (vedi l'inside joke, gratuito ma non completamente privo di fascino, su chi lo confonde con Laurence Fishburne).

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Shaft: una scena del film con Samuel L. Jackson, Richard Roundtree e Jessie Usher

Ma non basta per risollevare le sorti di un'operazione palesemente costruita a tavolino per rilanciare un franchise difficilmente aggiornabile, che sia in sala o su Netflix. A questo punto sarebbe interessante vedere cosa ne farebbe un regista come Quentin Tarantino, il quale in Django Unchained ha ufficiosamente introdotto gli antenati di Shaft...

Conclusioni

Al termine della nostra recensione di Shaft, è facile capire perché il quinto episodio del franchise sia finito direttamente su Netflix fuori dal paese d'origine: malgrado la buona volontà degli attori e alcune trovate simpatiche, il tentativo di aggiornare un personaggio di culto della blaxploitation è annacquato da un approccio incerto che rimanda al politicamente scorretto d'altri tempi ma senza voler offendere nessuno.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
3.4/5

Perché ci piace

  • Samuel L. Jackson si è visibilmente divertito a tornare nei panni di Shaft.
  • Alcune gag sono abbastanza carine.

Cosa non va

  • Lo squilibrio tonale danneggia il tentativo di aggiornare il franchise.
  • Jessie Usher appare piuttosto svogliato a livello recitativo.
  • Richard Roundtree appare troppo poco.