Dopo il trionfo del thriller La ragazza del lago il coraggioso regista Andrea Molaioli torna nelle sale con il secondo lungometraggio e stavolta a ispirarlo sono fatti di cronaca che gli italiani conoscono bene. Con Il gioiellino il promettente ex aiuto alla regia di Nanni Moretti dimostra di avere le gambe lunghe per correre da solo e lanciarsi in una nuova sfida del cinema italiano: raccontare una storia ingombrante su cui ancora non è stata fatta chiarezza. Al centro del suo secondo grande passo, fatto insieme alla coppia di sceneggiatori Ludovica Rampoldi (La doppia ora) e Gabriele Romagnoli, c'è il crac finanziario della Parmalat, sotto i riflettori della stampa qualche anno fa. Ma il regista ci tiene a far sapere che il suo non è un film sulla Parmalat, come dimostra anche l'uso di un marchio e di nomi fittizi, perché per l'aderenza alla realtà c'è già l'inchiesta giornalistica.
Per la seconda volta sotto la sua regia ritroviamo Toni Servillo, nei panni di un ragioniere duro come la pietra che contribuisce con le sue magagne a mandare sull'orlo del fallimento la Leda, l'azienda in cui lavora da anni con devozione. A chiamarlo Ernestino, un nomignolo che poco gli si addice, è il testardo imprenditore Rastelli, interpretato da un calibrato Remo Girone. Tra i due spicca la presenza della bella Sarah Felberbaum, nei panni di Laura, che scuote ulteriormente la loro piccola realtà quotidiana. Abbiamo incontrato stamattina il regista e i protagonisti di un film che guarda in faccia la realtà senza esitazioni, alternando la fiction a provocatori rimandi politici e culturali, e consegna al pubblico un quadro nero come la pece sul cui fondo non è depositata nemmeno una briciola di speranza.
Il gioiellino è una delle ultime produzioni italiane che hanno potuto beneficiare del "compianto Fus", come l'ha definito il produttore Nicola Giuliano, e un'opera cinematografica che s'ispira al cinema impegnato degli anni '70 e cita Il caso Mattei di Francesco Rosi. Il film sarà distribuito nelle sale questo fine settimana in 170 copie dalla Bim.
Andrea, il tuo film è ispirato alla cronaca, ma rappresenta anche un feroce apologo morale che ci fa riflettere sugli ultimi anni del capitalismo italiano. Come si è sviluppato questo progetto? E che rapporto c'è tra l'adattamento della storia per lo schermo e l'inchiesta?Andrea Molaioli: Quando cominciavano ad affiorare i primi segnali di quella che è deflagrata nella grande crisi globale in cui siamo ancora invischiati, mi stavo informando già sul mondo della finanza perché m'interessava e m'inquietava nello stesso tempo il fatto di non trovare una reciprocità tra le vicende e il contesto, la realtà a cui partecipiamo tutti ogni giorno in maniera attiva. Avevo l'impressione che la crisi arrivasse in maniera inaspettata e che non ci fossero soluzioni per essere arginata nel futuro. Con Ludovica Rampoldi e Gabriele Romagnoli ci siamo documentati e informati sulla materia e, approfondendola, ci siamo imbattuti in casi che ci sembravano emblematici della gestione un po' scriteriata della finanza. Tra questi la Parmalat, che aveva elementi "folkloricamente" italiani e una gestione prettamente occidentale.
Però nel film non vengono usati i nomi dei personaggi reali anche se si fanno dei riferimenti molto precisi...
Andrea Molaioli: Se il film può essere letto come un'avvisaglia su ciò che siamo stati, siamo e potremmo tornare a essere, è una lettura che non appartiene alle nostre intenzioni, ma a un'interpretazione dello spettatore.
Noi ci siamo concentrati sui personaggi per conoscere maggiormente la storia, piuttosto che sviluppare un racconto in chiave d'inchiesta, e il terreno in cui certe concezioni perverse potessero alimentarsi.
Il legame tra cronaca e cinema ha caratterizzato una parte del cinema italiano degli anni '70. Vi siete ispirati a questo filone?
Andrea Molaioli: Non c'è stato un riferimento particolare anche se un "film santino" è stato per noi Il caso Mattei di cui potrete scovare una piccola citazione.
Ludovica Rampoldi: Ci siamo ispirati a un cinema che si è perso l'abitudine di seguire ultimamente. Studiando tutti i casi di crac da italiani abbiamo notato una blanda schizofrenia che pervade tutti quelli che sono sull'orlo di un abisso e che si ostinano a dire che va tutto bene! Da questo punto di vista è importante la frase di Rastelli: "Il denaro è una cosa che serve a rovinarne molte altre". Questa scissione ci sembrava molto nazionale!<
Remo Girone: Mi sono basato sulle indicazioni del regista e sulla sceneggiatura, per noi attori è sempre una fortuna lavorare con chi ha scritto e dare corpo a quello che era stato immaginato.
Toni Servillo: Il mio è un personaggio meno esposto alle cronache, diversamente da quello che mi è già capitato (Il divo). Sapevo molto poco del mio personaggio e credo che anche il pubblico coraggioso, che mi auguro vedrà il film, ne sa poco. Non avevo l'impaccio di tante zavorre e potevo affidarmi alla fantasia. L'intenzione di Andrea era farci conoscere i personaggi di una storia che esula dall'inchiesta giornalistica e farceli vedere nell'intimo, in cui le loro coscienze montano rispetto ai fatti. Grazie al lavoro degli sceneggiatori e alla grazia di Andrea nella creazione e sul set abbiamo avuto molto materiale su cui lavorare e con cui interloquire senza appiattirci sulla cronaca.
Signor Servillo, nel film la vediamo pronunciare la famosa frase "Maledetti comunisti!". Come si è confrontato con questa parte del suo personaggio?
Toni Servillo: Noi attori, come i poeti, dobbiamo rendere palpitanti i nostri personaggi, interpretarli in maniera amorale. Se un attore fosse ideologico, dovrebbe cambiare mestiere. Direi che non ho avuto difficoltà... nella circostanza! D'altronde sbaglio o per raccontare l'Italia nell'ingerenza della criminalità, del potere qualcuno sia partito da Renzo e Lucia? Anche il cinema non ha il compito di aderire alla realtà, quello è un compito del giornalismo.
Pensando alla sua filmografia e ai personaggi interpretati c'è un leit motiv frequente: il rapporto col denaro e la manipolazione del potere. Cosa puoi dirci di questa coincidenza?
Toni Servillo: Ho avuto la fortuna di essere stato scelto da registi come Sorrentino, Incerti e Molaioli, per testimoniare il diverso rapporto tra epoca e potere e credo che questa sia una chiave interpretativa della realtà molto forte a cinema come a teatro. E' un modo affascinante per raccontare la realtà e il mondo che ci circonda.
Sarah Felberbaum: Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la relazione tra il mio personaggio e il ragioniere Botta non è una mossa per far carriera. Laura è una donna che prova dei sentimenti, ma sa scindere l'amore dal lavoro.
I protagonisti sono immersi in un'aura sacrale e la religione diventa una metafora della finanza. Come motivate la scelta di sottolineare questo aspetto?
Andrea Molaioli: L'elemento mistico era molto funzionale alla facciata di chi si professa portatore di valori compiendo poi atti che contraddicono quegli stessi valori. E' qualcosa che accomuna gran parte dell'imprenditoria... e della politica: un portare valori che preserva da eventuali critiche successive e può fungere da maschera dietro cui nascondersi. Il credo religioso diventa una carta spesso giocata nella comunicazione.
Anche il ruolo delle banche gioca una parte significativa nell'andamento del film...
Andrea Molaioli: Quello che è accaduto è sotto gli occhi di tutti: le banche sono il fulcro nevralgico dell'economia del mondo, il più potente perché il meno accessibile e quindi poco criticabile. Altri poteri sono invece un po' più monitorati e siamo quindi più in grado di giudicarli. <
Nel film è molto significativa la scelta di lasciare sullo sfondo la moglie dell'imprenditore. C'è un motivo preciso?
Andrea Molaioli: Il ruolo della moglie rispecchia una certa concezione della moglie di un imprenditore ma in generale di una figura maschile, un'immagine che non appartiene a una sola epoca. E' una moglie che sta dietro le quinte e non ha competenze per esprimersi su quello che avviene.
Remo Girone: Il mio personaggio è sempre stato fedele alla moglie e questo è l'unico aspetto che lo avvicina a me.
Ludovica Rampoldi: Alcune fonti ci hanno raccontato di un incontro tra Calisto Tanzi, che andava a battere cassa, e Berlusconi che invece intavolò una trattativa per l'acquisto di Gilardino (nel film Zizinho).
L'aspetto calcistico è marginale nel racconto. Si tratta di una vostra interpretazione o i fatti sono andati così?
Andrea Molaioli: Il film non è un film sulla Parmalat e l'elemento del calcio ha a che fare con la nostra realtà quotidiana: viene spesso utilizzato da tanti imprenditori come biglietto da visita, come ritorno d'immagine. Non abbiamo investigato fino in fondo su quest'aspetto perché volevamo concentrarci su altri elementi per costruire un habitat per i personaggi. Ci siamo informati sulla gestione Tanzi e sulla squadra, ma non ci sembrava interessante mentre ci ha affascinato la figura del figlio, che rappresenta una nuova generazione di imprenditori.
Le riprese non state realizzate a Parma. Come mai? Avete avuto difficoltà a girare lì? Il motivo è lo stesso motivo per cui non si fanno mai dei riferimenti espliciti all'azienda?
Francesca Cima, produttrice: Non abbiamo nemmeno provato a girare a Parma perché avevamo fatto dei sopralluoghi e trovato delle location giuste ad Acqui Terme con l'aiuto della Film Commission del Piemonte.
Se nel film non si parla di Parmalat e non si citano nomi reali è per la necessità di prudenza rispetto ai processi in corso. L'obiettivo era di prendere spunto da quella vicenda non accanirci sui suoi protagonisti: volevamo raccontare un fenomeno paradigmatico. Il caso Parmalat offriva un'aderenza ad alcune dinamiche della finanza che sono uguali in tutto il mondo e c'interessava un familismo significativo anche ai nostri giorni e di cui sono vittime i risparmiatori.