Alcuni lo ricordano, altri possono solo immaginarlo: un mondo senza internet. Le comunicazioni internazionali sono già complicate, perché passano per il telefono. Figuriamoci quelle intercontinentali. Ed è in questo clima, quando la prima serie TV made in USA ad aver conquistato le case degli italiani lascia tutti con un cliffhanger esplosivo, che nasce il primo interrogativo-tormentone: chi ha sparato a J.R.?
Il 21 marzo del 1980 Dallas si chiude con un colpo di scena destinato a fare storia: qualcuno ha sparato a J.R. Ewing (Larry Hagman), il cattivo preferito dal pubblico dei primi anni '80. Qualche mese dopo, oltre 350 milioni di persone in tutto il mondo si sintonizzeranno sul primo episodio della stagione successiva per rispondere alla domanda che ha spinto gli sceneggiatori di tutto il mondo a sfruttare sempre di più il meccanismo noto, appunto, come cliffhanger.
I media di tutto il pianeta ripetevano la domanda-tormentone sul colpevole. In Italia la gente chiedeva notizie fresche ai parenti e agli amici di ritorno da un viaggio negli USA. E i produttori videro concretizzarsi il potenziale di ciò che quasi 20 anni prima era successo con The Fugitive (Il fuggiasco, la serie TV che avrebbe poi ispirato il celebre film con Harrison Ford, Il fuggitivo). Nel 1963 il pubblico americano si chiedeva chi fosse l'uomo senza un braccio che aveva incastrato il dottor Richard Kimball (David Janssen) per l'omicidio della moglie. Ma eravamo ancora lontani da quella conquista mondiale che attendeva il mondo delle serie TV made in USA, e che Dallas avrebbe portato alla ribalta. Il 21 marzo del 1980 è infatti diventata una data storica, la data che ha segnato il momento in cui tutti - produttori, sceneggiatori, attori, registi, giornalisti e telegiornalisti - hanno capito che stimolare la curiosità del pubblico affezionato a una serie e al destino dei suoi protagonisti poteva fare la differenza fra dei buoni ascolti e delle buone recensioni e un successo senza precedenti.
Chi ha ucciso Laura Palmer?
Un decennio dopo, fu David Lynch a creare quello che ad oggi resta il più grande interrogativo nella storia delle serie. Con I segreti di Twin Peaks, Lynch riprese la tradizione della TV d'autore inaugurata decenni prima da Alfred Hitchcock, dimostrò che il pubblico era pronto per qualcosa di complesso, spaventoso, mai visto prima in TV e scrisse la storia della TV, della cultura, della narrazione per immagini. Eravamo ancora in un mondo senza internet, e tutti volevamo sapere la stessa cosa: chi ha ucciso Laura Palmer?
L'avremmo scoperto aprendo il vaso di Pandora degli orrori nascosti fra le mura domestiche di villette dallo steccato bianco e dal giardino curato. Avremmo capito che dietro la facciata di un'apparentemente perfetta cittadina immersa nel verde si celavano violenza e terrore, odio e vendetta, sfruttamento e dolore. Insieme all'agente Cooper (Kyle McLachlan) avremmo iniziato a indagare sotto la superficie di Twin Peaks per immergerci in qualcosa di sempre più oscuro e spaventoso. Non riuscivamo a staccare gli occhi dal televisore, sentivamo il bisogno di discutere del nuovo episodio a scuola e al lavoro, sull'autobus e al bar.
Condividevamo teorie e ipotesi sull'identità dell'assassino e sul movente dell'omicidio di Laura (Sheryl Lee). Era nato il primo rituale mondiale di visione di una serie TV. Perché anche in Europa, e in gran parte del resto del mondo, tutti parlavano di Laura Palmer e del suo omicidio. Un evento senza precedenti, destinato a cambiare per sempre il modo in cui gli autori avrebbero concepito gialli, thriller e polizieschi. Tutti erano sospettati. Tutti avevano un movente più o meno valido. E alla fine solo gli investigatori più validi, ma anche tenaci e coraggiosi, sarebbero arrivati alla verità. Tutto grazie a una domanda che aveva tormentato il mondo per mesi e la cui risposta sarebbe arrivata il 10 novembre del 1990 negli USA e il 3 aprile del 1991 in Italia. Senza che nessuno, in questo Paese, avesse avuto un'anticipazione da oltreoceano.
Quando una serie ti cambia la vita: le serie TV che ispirano
Chi ha sparato al Signor Burns?
La popolarità di Twin Peaks e della domanda-tormentone su Laura Palmer crebbe al punto di diventare un mito. E chi meglio de I Simpson, luogo di parodia e celebrazione al tempo stesso della cultura americana, avrebbero potuto celebrarla meglio? La prima parte del doppio episodio dedicata all'attentato al perfido Signor Burns andò in onda il 21 maggio del 1995, e solo diversi mesi dopo - il 17 settembre - Matt Groening svelò il mistero al vasto pubblico della sua serie animata. In una ricostruzione perfetta di come gialli e detective drama indagano su più fronti, con tanti colpevoli ricchi di moventi, tutti i principali personaggi de I Simpson finivano sotto la lente d'ingrandimento, fino alla scoperta della vera, piccola, inconsapevole colpevole. Un colpo di scena che voleva essere l'ennesima presa in giro delle teorie investigative più fantasiose viste in TV dopo l'omicidio di Laura Palmer (e trascurabili, infatti nessuna di loro avrebbe creato un nuovo mistero-tormentone, al contrario di ciò che riuscirono a fare I Simpson).
Non solo omicidi: chi è Gossip Girl?
Sull'onda dei molti teen drama che sfruttavano con successo gli interrogativi alla Twin Peaks (una su tutti: Veronica Mars, con Kristen Bell impegnata a scoprire chi aveva ucciso la sua migliore amica, Lilly, interpretata da Amanda Seyfried), uno scelse di tentare la via del tormentone per celare l'identità di un personaggio. Gossip Girl, la voce pettegola dell'Upper East Side di New York, conosce i segreti di tutti e li svela firmandosi anonimamente, appunto, "gossip girl". La serie con Blake Lively, Leighton Meester, Chace Crawford e Penn Badgley debutta nel 2007 e solo sei stagioni dopo, nel 2012, Gossip Girl svela la propria identità. Lo stesso meccanismo sarebbe stato alla base (con un cast di bellissimi come in Gossip Girl e con una serie di rivisitazioni storiche infine molto apprezzate dal pubblico) di Bridgerton su Netflix, ambientata in un'Inghilterra del passato mai esistita nella realtà.
A dimostrazione di come l'eterno interrogativo "chi è l'assassino" che ha fatto la fortuna di Agatha Christie, di tutti i romanzi gialli della storia e di tutti i film e le serie di genere a essi ispirati possa facilmente essere trasformato in qualcosa che interessa altrettanto il pubblico: l'identità dei pettegoli di turno, coloro che conoscono e sfruttano i segreti altrui e non esistano a svelarli pur di rovinare reputazioni e carriere. La solita, vecchia storia... rivisitata in salse moderne e diverse fra loro.
Non solo colpevoli: anche vittime
Alla fine della stagione 6 di The Walking Dead tutto il mondo si chiedeva chi sarebbe stata la vittima di Negan (Jeffrey Dean Morgan). La serie avrebbe seguito il fumetto? L'avremmo scoperto solo al primo episodio della stagione 7, visto che Robert Kirkman volle far girare versioni alternative in cui tutti i protagonisti venivano massacrati da Lucille, la fedele arma di Negan. "Chi uccide Negan?" è stato uno dei più grandi tormentoni televisivi degli ultimi anni. E puntualmente, la risposta è arrivata per spiazzare tutti i pronostici. Un altro grande stratagemma per i cliffhanger delle serie TV è infatti lasciarci col dubbio sulle vittime, anziché sui colpevoli: qualcuno colpito a morte, magari un personaggio importante o molto amato, morirà davvero o si salverà? L'esempio più celebre, uno per tutti, è quello di Jon Snow (Kit Harington) in Il trono di spade, fra le serie più amate e seguite nel nuovo Millennio. Alla fine della quinta stagione Jon Snow viene tradito dai compagni dei Guardiani della Notte e ferito - a morte, secondo quanto possiamo giudicare da profani.
Per tutto il tempo trascorso - praticamente identico fra USA e Italia, grazie alla messa in onda in contemporanea su SKY - sia chi aveva letto i romanzi di George R.R. Martin (la serie poteva prendere direzioni diverse) sia chi aveva incontrato i personaggi per la prima volta in TV si chiedeva: Jon Snow è morto?
Legittima e pressante fu la stessa domanda per i fan di E.R. - Medici in prima linea sparsi in tutto il mondo quando, alla fine della stagione 6, il dottor John Carter (Noah Wyle) e la specializzanda Lucy Knight (Kellie Martin) vengono accoltellati da un paziente fuori controllo e nessuno se ne accorge: sono tutti impegnati in una festicciola organizzata per San Valentino. John e Lucy moriranno? Si salveranno? I loro colleghi li troveranno in tempo? L'attesa per il destino dei due personaggi, uno dei quali risultò il più amato dal pubblico - insieme al dottor Mark Greene di Anthony Edwards - fu spasmodica. E gli effetti di quell'aggressione, a prescindere dal destino del personaggio, sarebbero rimasti per sempre. Sia sui medici del Pronto Soccorso del Policlinico Universitario di Chicago, sia sui loro affezionati spettatori.
Il trono di spade, E.R. e Lost - quante volte ci siamo chiesti cosa sarebbe successo a uno dei protagonisti? Quanto siamo rimasti con il fiato sospeso per quel "Not Penny's Boat" scritto da Charlie (Dominic Monaghan) sulla propria mano? Per tutti i 6 anni della serie abbiamo elaborato teorie, creato aspettative, ipotizzato destini per i personaggi. Spesso disattesi, ed era proprio per questo che Lost piaceva così tanto al pubblico, e per questo fu un'esperienza collettiva (ancora una volta in contemporanea con gli USA, per noi fan italiani) condivisa da tutto il mondo così intensamente da renderne indelebile il ricordo.
Ma cosa succede se a morire - o forse no, la domanda nasce proprio per questo - è il protagonista di una serie? Buffy Summers, in tempi non sospetti, si sacrifica (di nuovo) alla fine della quinta stagione per salvare il mondo. Sherlock Holmes (quello di Benedict Cumberbatch) si tuffa da un grattacielo alla fine della seconda stagione della serie inglese. Ci vorranno due anni per la terza stagione e il suo ritorno dai regni dei morti. Gli esempi sono moltissimi, alcuni più funzionali e altri meno. Fatto sta che non solo i colpevoli, ma anche le vittime sono state in grado di attrarre l'attenzione del pubblico (e dei media) in attesa di scoprire il loro destino. Per non parlare dell'attentato al presidente Jed Bartlet (Martin Sheen) alla fine della prima, meravigliosa stagione di West Wing.
Buffy, dall'inizio della storia al fenomeno di culto: l'eredità della Cacciatrice
Ben diverso il caso di Frank Underwood in House of Cards: dopo essere stato gravemente ferito ed essere rimasto in bilico fra la vita e la morte, il destino di Frank viene segnato da quello del suo interprete, Kevin Spacey, travolto dalle polemiche per il Me Too. Sapevamo già che la serie avrebbe rinunciato al suo straordinario protagonista (anni dopo assolto dalle accuse) in nome di quel politicamente corretto che spesso determina le carriere delle star di Hollywood.
A prescindere dal tipo di cliffhanger e dal genere di serie, o dal motivo dell'uscita di scena di un personaggio (per esempio quando a volersene andare, stravolgendo la trama, è il suo interprete come nel caso di Andrew Lincoln per Rick Grimes in The Walking Dead), una cosa è certa: dal 21 marzo del 1980 la TV ha preso coscienza di sé. Del proprio potenziale, dell'amore del pubblico, dell'attenzione che i fan dedicano alle serie TV.
Se grazie allo streaming e al proliferare di piattaforme dedicate si è perso il rituale collettivo settimanale della visione dell'episodio, certamente non sono passati di moda i cliffhanger nei finali di stagione, che anno dopo anno si affacciano sulle nostre vite di osservatori seriali e in quelle dei personaggi che amiamo e ameremo per sempre.