Dopo Soldado (2018), Stefano Sollima è al secondo progetto in lingua inglese, girato in America: dal 30 aprile è disponibile su Amazon Prime Video Senza Rimorso, thriller scritto insieme a Taylor Sheridan ispirandosi all'omonimo romanzo di Tom Clancy.
Il libro è stato pubblicato negli anni '90 ed è ambientato nei '70: il regista ha pensato quindi di renderlo più simile al mondo di oggi. Questo intento si capisce già dalla scelta del protagonista: Michael B. Jordan, anche produttore, incarna meglio un eroe moderno. In Senza rimorso ha il ruolo di John Kelly, Navy SEAL che vuole vendicare l'uccisione della moglie in un agguato in realtà destinato a lui.
La ricerca della verità lo porta a scoprire una fitta rete di cospirazione, che collega esercito, politica e Russia. Nel cast anche Jodie Turner-Smith, Jamie Bell e Guy Pearce. Le scene d'azione sono come sempre magnifiche: "alla Sollima". Ne abbiamo parlato, via Zoom, proprio con il regista, appena tornato dai sopralluoghi del suo prossimo progetto: Colt, western scritto da Dennis Lehane.
Stefano Sollima e il nuovo corso dell'industria italiana
In Senza rimorso è tutto molto sfumato: la divisione in buoni e cattivi è un limite?
Trovo sia molto bello e rispettoso verso il pubblico prendere una posizione amorale, non pretendere di voler raccontare il senso morale di una storia, ma limitarsi a raccontare i personaggi e il mondo senza mai giudicarli: approfondirli psicologicamente, ma senza giudizio, come appunto fa un bravo reporter che racconta ma non inquina, perché poi lo spettatore ha gli strumenti per un proprio giudizio, se ne sentisse la necessità.
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Molto nell'industria cinematografica italiana è cambiato grazie alle tue serie Gomorra e Romanzo Criminale. Senti di aver dato il via a un nuovo sistema produttivo per l'Italia?
Da spettatore evoluto mi guardavo intorno e mi chiedevo: perché noi no? La risposta non è soltanto quello che ho fatto io, ma anche quello che hanno fatto moltissimi altri colleghi e la nostra industria che è stata abbastanza veloce a muoversi. Io ho realizzato due lavori che hanno portato la nostra industria ad aprirsi all'estero, ma poi ne sono stati prodotti molti altri. Penso al papa di Sorrentino, alla serie di Guadagnino e a L'amica geniale. Non credo che le rivoluzioni si possano fare da soli. È l'intera industria che si è mossa in quel senso e questo è molto bello. Quindi non sento la responsabilità. Semplicemente oggi mi guardo intorno e dico: così è meglio.
Senza rimorso e il lavoro sulla colonna sonora
Come sempre nelle tue opere, c'è un grande lavoro sulle musiche. Questa volta come hai curato la colonna sonora?
Trovo che la musica in un racconto cinematografico sia fondamentale. Esiste l'approccio in cui l'emozione è raccontata dalla musica e ti obbliga, o suggerisce, di provare un'emozione. Questo approccio non mi piace. Mentre invece mi piace quando crea un presupposto senza guidare, per cui mi piace lavorare con musicisti che non siano compositori di colonne sonore. I musicisti che non hanno rapporto con le colonne sono un po' più complessi tecnicamente, ma regalano una visione più fresca. In America c'è una grande tradizione di colonne sonore, anche ridondante. Io invece ho preso musicisti che non c'entravano niente con la composizione classica. L'autore della mia musica era dapprima titubante, perché non era certo di fare un film hollywoodiano, ma poi gli ho spiegato che sarebbe stata un'esperienza creativa un po' differente.
Stefano Sollima: il fattore umano e il fattore divertimento
Anche in Senza rimorso hai portato le tue splendide scene d'azione. In questo film però il fattore umano diventa centrale: era importante per te?
Ho scelto di puntare sul fattore umano, tanto è vero che ho chiesto a tutti gli attori di interpretare le loro scene d'azione. Nelle mie scene d'azione c'è una coreografia molto precisa, ma quella precisione è l'unica risposta che potevo dare al fatto che gli attori in quel momento si stavano affidando a me. E attorno ai miei attori sul set succedeva veramente di tutto. Quindi il fattore umano andava gestito con molta attenzione. Un film è un'esperienza umana ed è il motivo per cui evolve e cambia. Non so se migliorando o peggiorando. Ma comunque cambia ed evolve proprio perché ci sono gli esseri umani. Mettendo al centro gli esseri umani l'azione, per quanto spinta ai suoi limiti, non sarebbe mai risultata supereroistica o sovrannaturale. Proprio per il fattore umano: perché gli attori avrebbero dovuto interpretarla e quindi c'era un limite oggettivo che non avremmo potuto superare. Niente figure create con la computer graphic: sarebbe rimasto tutto realistico e creato attorno all'essere umano.
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Ok, il fattore umano, ma da come giri le scene d'azione traspare un grande divertimento: è così?
È il motivo per cui faccio questo lavoro. Stando sui set dei film di papà vedevo adulti coi cavalli, vestiti da cowboy, ma vestiti per davvero, non come me che facevo finta col gilettino e la pistola fatta col dito. Quelli avevano pistole che sparavano e i cavalli. E io pensavo che questo mondo degli adulti che continuavano a giocare era una figata. C'avevano dei giocattoli seri. Quindi l'elemento ludico è fondamentale. Mentre facevamo le riunioni di Senza rimorso ho spiegato come volevo fare la sequenza dell'aereo e il produttore ha detto che ci sarebbe convenuto comprare direttamente un aereo e tagliarlo a pezzi. L'abbiamo fatto davvero. Ecco un mega giocattolo. Ovviamente ti devi divertire, altrimenti diventa un lavoro folle. Lo puoi fare soltanto se ti piace e se ti diverti. Per me il cinema deve essere sempre intrattenimento. Ovviamente non può essere solo intrattenimento, perché altrimenti, almeno per me, diventa noioso da fare. A me piace divertirmi però con intelligenza. Quindi è la stessa cosa che provo a proporre allo spettatore. Un film che intrattenga ma, una volta usciti dalla sala, faccia pensare al mondo reale. Un equilibrio fra le due cose. Bisogna prendersi sul serio ma non troppo.
Senza rimorso e il suo eroe disilluso
Il tuo protagonista non sembra un eroe classico che cerca vendetta. È molto più sfiduciato e disilluso. Come mai?
È partito tutto dal libro di Tom Clancy. Abbiamo riadattato un libro molto bello, molto forte, che però non rifletteva assolutamente la società in cui viviamo. Abbiamo quindi dovuto fare un approfondimento psicologico dei personaggi che spesso, non sempre, a Hollywood è ritenuto superfluo. Non necessario. Invece per me era importante che la storia fosse riconoscibile per lo spettatore di oggi. Abbiamo creato un racconto che ruotasse attorno all'uomo, non alla spettacolarità del genere. Anche qui in controtendenza con il cinema americano: loro tendono a raccontare l'eroe. Invece secondo me è molto più interessante raccontare un essere umano che può diventare un eroe. Io sono interessato alle sue azioni ma devo vedere che questo gli costa una fatica. Questo lo umanizza. Per portare un film hollywoodiano a quel tipo di complessità narrativa è il vero lavoro del regista, non tanto quello di dirigere le scene. È invece cercare di mantenere il punto, facendo in modo che l'azione non diventi azione fine a se stessa. Deve essere un contesto in cui osservi come il tuo personaggio principale cambia di fronte all'azione che gli sta intorno. Al centro devi sempre mettere l'essere umano.
Without Remorse e la cura di ogni dettaglio
In Senza rimorso c'è grande cura per tutto ciò che riguarda l'ambiente militare: come vi siete preparati? Avete usato consulenti?
Ogni volta che faccio un film sento la necessità di conoscere tutto il mondo che vado a raccontare. Quindi mi sono affidato a consulenti militari fin da quando abbiamo scritto la sceneggiatura e anche politici, perché mi servivano per raccontare tutta la parte di Washington. Per le scene con i Navy SEAL abbiamo chiesto a veri nevi Navy SEAL. Gli attori hanno fatto un camp militare dei Marines. Tutto quello che vedete è assolutamente accurato. In un momento di crisi di un paese in cui il popolo è diviso è utile creare un nemico esterno che aiuta a ricompattare il tessuto sociale. Questo in parte c'era già nel libro di Clancy, ma con Taylor Sheridan l'abbiamo ampliato.
Senza rimorso e una protagonista femminile che anticipa il futuro
Tra il protagonista e il personaggio interpretato da Jodie Turner-Smith c'è un rapporto interessante, basato totalmente sulla fiducia. Come l'avete costruito?
Mentre cercavamo di modernizzare il romanzo di Tom Clancy, che è stato scritto nel 1993 ed è ambientato negli anni '70, abbiamo pensato come fare. Il personaggio di Greer in originale è un uomo e noi abbiamo inserito Karen Greer, la nipote. È l'unica forzatura rispetto alla realtà. Al momento non esiste nessun capo operativo dei SEAL, in altri reparti sì, ma non tra quelli operativi, donna. Ci siamo portati avanti rispetto a quello che sarà sicuramente fra un po'. Mi sembrava una scelta rispettosa del mondo come è oggi, in cui la presenza femminile nell'esercito è sempre più numerosa, e quindi mi sembrava corretto. In più era interessante perché porta a un rapporto tra due commilitoni che fosse un po' diverso da quelli che abbiamo visto normalmente. Pur avendo un personaggio femminile l'abbiamo "degenderizzata", come abbiamo degenderizzato Michael. Volevamo due soldati, un uomo e una donna, che avessero tra loro un rapporto esclusivamente basato sulla lealtà e sul proprio lavoro. È stato un lavoro interessante da fare proprio sul set: Michael è un bel ragazzo, Jodie è un'ex modella, abbiamo remato contro lo stereotipo per cui i due avrebbero dovuto avere a un certo punto una liaison. Li abbiamo trattati come due soldati. Mi sembrava un elemento moderno da inserire nella narrazione.
Senza rimorso e la presa di coscienza
Nel film il protagonista dice che non vuole più fare promesse che non può mantenere. Questa presa di coscienza, grazie a cui il personaggio capisce chi è e, nel bene o nel male, si assume la responsabilità delle proprie azioni, mi sembra una costante nei tuoi film. Perché è importate per te?
Mi piacciono i personaggi complessi. Il problema in un film, indipendentemente dall'avventura, è rendere il personaggio il più tridimensionale possibile. Più vicino all'essere umano. E l'essere umano normalmente è molto più complesso di come viene raffigurato, soprattutto al cinema, che per me è un po' il regno della banalizzazione, anche quando pensa di essere sofisticato e profondo. La cosa bella di un personaggio è abbia un'evoluzione in cui si pone un sacco di domande e soprattutto mostrare dei lati di sé completamente diversi, anche forse in contraddizione. Nessun personaggio è totalmente portatore di positività. È buono e cattivo allo stesso tempo. Penso che questa sia l'unica cosa che si trova in tutto ciò che faccio. I miei personaggi sono tutti completamente diversi, però mi piace che si pongano delle domande, che mettano in discussione tutto quello che hai visto e creduto fino a quel momento. In questo modo mostrano la loro complessità in quanto esseri umani.
Stefano Sollima: western e videogiochi
Il tuo prossimo film, Colt, è un omaggio ai film western anni '70 e al cinema di tuo padre?
Non so quanto di quello che faccio derivi dai western anni '70. Oggi rifacendo un western non mi ispirerei a quel modello. Colt non è pensato per essere un omaggio al cinema western. È un film moderno con ambientazione d'epoca. Abbiamo la sceneggiatura che ha scritto Dennis Lehane e stiamo facendo dei sopralluoghi. Da un punto di vista produttivo lo stiamo costruendo. È abbastanza complesso. Ci siamo lavorando: sono tornato dai sopralluoghi la settimana scorsa. Vedremo: questo è un momento abbastanza bizzarro: è difficile prevedere il futuro, anche fra sei mesi. È una macchina complessa, quindi dobbiamo essere certi di tutto prima di muoverci.
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Visto la sua abilità nel girare le scene d'azione, Stefano Sollima farebbe un videogioco?
Non vorrei fare un videogioco e ti spiego perché: sono sempre figli dell'analogico, quindi utilizzano un tipo di narrazione lineare che magari puoi cambiare, determinare il tuo destino ma nemmeno così tanto. Ha una struttura che è esattamente come quella del racconto classico, dalla tragedia greca ai film. Mi piacerebbe vedere i figli del digitale, i nostri figli, che sono cresciuti completamente con il digitale, con pochissimi collegamenti con l'analogico, fare un videogioco. Io riporterei le stesse cose dei videogiochi che forse oggi mi piacciono di meno. Li devono fare i giovani.