Sei piccole spie
The Message, della coppia di registi Gao Qunshu (che si è concentrato sulla messa in scena vera e propria) e Chen Kuo-Fu (che ha lavorato invece a sceneggiatura e postproduzione), è un film esemplare per testimoniare il radicale cambiamento che ha rivoluzionato l'industria cinematografica cinese negli ultimi anni. Un cinema che è sempre più market oriented e che, quando continua a riproporre contenuti a carattere ideologico, storico o patriottico, li veicola ormai pienamente attraverso lo stile e le convenzioni di un cinema di genere "all'americana".
The Message è il perfetto emblema di questo nuovo orientamento produttivo. È un film storico, ambientato durante il conflitto sino-giapponese all'epoca della Seconda guerra mondiale, che non perde come al solito l'occasione sia per condannare aspramente la barbarie degli invasori nipponici, sia per esaltare l'eroica resistenza dei ribelli (comunisti) cinesi. Ma, in realtà, è soprattutto una ben congegnata spy story e un serrato giallo che si svolge in unità di tempo e di luogo, memore della lezione imperitura di Dieci piccoli indiani. In un arroccato maniero vengono convocate sei persone che lavorano nell'ufficio di controspionaggio del governo fantoccio collaborazionista. Una di loro deve per forza essere una talpa, il cui nome in codice è Phantom, responsabile di una serie di attentati contro alti funzionari filo-nipponici. Il colonnello giapponese Takeda cercherà di servirsi dei più subdoli e diabolici espedienti, incluse delle sadiche sessioni di tortura, per riuscire a individuare la fonte dei messaggi cifrati. Rinchiuso in questa impenetrabile fortezza è uno svariato campionario umano: il misterioso capitano Wu, reduce di guerra, il titubante consigliere Jin, l'enigmatica Li, il femmineo Bai e l'agguerrita Gu. I più deboli inizieranno a capitolare subito, innescando un gioco al massacro in cui ci si avvicina sempre di più verso le tracce di Phantom...
I registi Gao Qunshu e Chen Kuo-Fu guardano alla tradizione del genere, al noir a tinte gotiche e al giallo spionistico, dosando nelle giuste proporzioni i colpi di scena e i momenti di suspense secondo la ricetta hitchcockiana. Ma al tempo stesso il loro stile visivo è modellato sui magniloquenti blockbuster hollywoodiani contemporanei, e la confezione risulta barocca, voluttuosa e patinata come gran parte del cinema commerciale cinese. Il risultato è però un proficuo contrasto tra la teatralità dell'impostazione narrativa (con rimandi diretti addirittura all'opera classica), che valorizza le grandi doti degli interpreti, e il dinamismo della messa in scena, che impiega artifici come il montaggio accelerato e lo split screen.
Il miglior pregio della regia è senza dubbio quello di non distanziarsi mai dalla componente umana, conferendo una piena centralità ai volti e ai corpi degli attori, in particolare le straordinarie Zhou Xun e Li Bingbing, quest'ultima meritatamente premiata agli scorsi Golden Horse Film Awards di Taiwan.