Mentre risponde alle domande, Sebastian Stan, si avvicina all'obbiettivo della webcam del computer da cui è connesso. Come se stesse in un certo senso azzerando le distanze. Collegato da un hotel di Londra per la nostra intervista esclusiva, è nel bel mezzo della campagna promozionale di The Apprentice di Ali Abbasi, in cui interpreta nientemeno che Donald Trump. Un ruolo, come si dice, che vale una carriera. Prova eccelsa, da parte di quello che potremmo considerare come uno dei più grandi attori contemporanei.
Il set, tra l'altro, lo divide con altri due fuoriclasse: Jeremy Strong nel ruolo del fixer Roy Cohn, e Maria Bakalova che interpreta invece Ivana Trump. Sebastian Stan, per tutti i ventiquattro minuti di intervista (è stato molto generoso, e non è affatto una cosa comune), ragiona sulle risposte, prende fiato, pondera la voce. Come quando riflette su quale sia il killer instinct di un attore, visto che nel film, lo stesso personaggio di Trump, asserisce di aver un micidiale istinto "Per me è la verità, e di come rendi reale ciò che, invece, non lo è".
The Apprentice: intervista a Sebastian Stan
Sebastian, come è riuscito ad immergersi così tanto nel corpo di Trump?
Beh, credo che quando si interpretano persone vere, fortunatamente ci sono molte informazioni da cui attingere, e da cui ricercare lo spunto. Penso che diventi quasi un vero e proprio caso investigativo da risolvere. Si mettono insieme le cose e si cerca di capire cosa spinge una persona, da dove vengono queste decisioni. C'è un aspetto tecnico che va applicato con costanza nel tempo. Diventa davvero una seconda natura.
Ali Abbasi ha parlato separatamente sia con lei che con Jeremy Strong prima delle riprese. Cosa l'ha colpita di più dell'interpretazione arrivata dal suo collega di set?
L'imprevedibilità che sentivo di avere di fronte a ciò che Jeremy portava ogni giorno, e in ogni ripresa. Di conseguenza, mi sentivo sempre all'erta, mi sentivo molto vivo sul set. E credo di essermi sentito subito in soggezione. Per me è stato un grande parallelo rispetto alla relazione che stavamo esplorando, come se fossi davvero Donald in quel momento. Al lavoro è fondamentale restare sorpresi, è il massimo.
C'è un accesa discussione politica negli Stati Uniti attorno a The Apprentice. Secondo lei, questo giova o danneggia il vostro film?
Nel film stiamo parlando di un uomo che ha sempre creduto che la pubblicità negativa non esiste, e la sua partecipazione al dibattito non fa che confermarlo, ovviamente. Ma credo che l'obiettivo fosse quello di parlare del film. E dico: anche solo cercare di far nascere una conversazione in un ambiente così polarizzato sia una vittoria. Tutto ciò che riguarda questo film è stata una nostra vittoria, anche rispetto al fatto che gli è stato quasi vietato di uscire. Ora ne stiamo parlando e la gente può scegliere di andare a vederlo. È una vittoria, in un periodo molto spaventoso.
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Una sfida contro la censura
Avete ricevuto pressioni durante la lavorazione?
La mia esperienza finora è stata solo quella di ricevere complimenti per la bravura e il coraggio messi in campo. Le persone sentivano una certa curiosità verso ciò che questo film stava cercando di fare. Ma credo di aver fatto una scelta molto precisa una volta deciso che questo è ciò che avrei fatto, che non avrei permesso a nessuno o a qualcosa di spaventarmi o di censurarmi o di avere un impatto su come avrei affrontato il lavoro.
Quanto ha pesato il suo giudizio rispetto al personaggio? Ha abbracciato la realtà o si è rifugiato nella rappresentazione?
Penso ci fosse un certo grado di attualità da cui era necessario prendere le distanze, semplicemente per arrivare a un punto di vista oggettivo sul periodo e su ciò che stava accadendo a questi personaggi.
C'è una sequenza molto forte, in cui Trump violenta Ivana. Com'è stato girarla?
Avevamo un intimacy coordinator, e abbiamo seguito l'approccio più ovvio, che è quello dell'assicurarsi che fossimo tutti sulla stessa lunghezza d'onda, e di come avremmo girato la scena. Ovviamente, c'è una certa fiducia, che è importante tra gli attori. Abbiamo ritenuto che la scena, per quanto brutale, fosse comunque necessaria non solo per il personaggio di Trump, ma anche per quello che è successo nella testimonianza di Ivana sotto giuramento, in cui lei ne ha parlato.
Una domanda pratica: è pazzesco il sound design che cattura il caos di New York, nonostante sia stato girato a Toronto. È stato complicato girare in esterno?
Le location sono sempre importanti. Avevamo un team incredibile che si occupava del design della produzione e delle location. Con noi avevamo Kasper Tuxen, direttore della fotografia che ha girato Apocalypse Now. Ha visto il film due volte e ha detto che era il miglior film di New York che avesse mai incontrato!
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Trump ha scritto su Truth Social che il film è falso e privo di classe. Come ha reagito?
Purtroppo non è molto sorprendente, ma sono contento che abbia riconosciuto il film in qualche modo, penso che dimostri davvero che ci tiene. Se ci tiene, è un bene per noi. Sono felice che l'abbia fatto. Voglio anche ringraziarlo per aver pensato a me all'una di nottem quando potrebbe pensare ad altre cose più importanti.
Dopo The Apprentice cosa ha capito in più degli Stati Uniti?
Dobbiamo continuare a esplorare l'idea del sogno americano, che da un lato può essere così gratificante e dall'altro può essere assai costoso. Penso che si debba guardare al sistema in cui è nato quest'uomo, Trump. Bisogna anche guardare all'Europa come termine di paragone. Ma non è tutto bianco o nero. La verità è molto più grigia e dobbiamo analizzarla da tutti i punti di vista.
Non so se ha mai incontrato Trump, ma se dovesse accadere, cosa gli direbbe?
Cosa gli chiederei? Semplice: come fai a svegliarti e a guardarti allo specchio ogni giorno e a mentire a te stesso così tanto? Dimmelo perché sono davvero curioso. Provi qualcosa di diverso dall'odio che provi per te stesso?