Sempre preziose le uscite della collana Midnight Factory di Koch Media, per scoprire thriller-horror a volte nascosti o poco noti. Stavolta è il caso, come vedremo nella recensione di Sea Fever - Contagio in alto mare, del monster movie diretto dalla regista irlandese Neasa Hardiman presentato al TIFF e al Fantastic Fest, che ricorda nelle atmosfere claustrofobiche classici come La cosa e Alien, ma inevitabilmente, in tempi di covid, ci fa ripensare a quanto possano essere pericolosi piccoli nemici quasi invisibili, anche se in realtà il film è datato 2019, prima che la storia del coronavirus iniziasse.
Superstizione, imprudenza e una misteriosa sostanza letale
In Sea Fever - Contagio in alto mare le profezie funeste iniziano da alcune tipiche superstizioni marinare: quando lo sgangherato peschereccio che sarà la location del film ospita una studentessa di biologia marina con i capelli rossi (Siobhán, interpretata da una convincente Hermione Corfield) che deve svolgere una ricerca sul comportamento della fauna marina, tutti pensano al peggio. In realtà a commettere l'errore fatale che trascinerà tutti in un incubo, è l'imprudenza e l'arroganza del primo ufficiale interpretato da Dougray Scott (nei panni della moglie c'è Connie Nielsen) , che porta l'imbarcazione in una zona proibita e interdetta, pur di inseguire un ricco pescato e rimediare a una situazione finanziaria decisamente preoccupante.
Ma la barca viene improvvisamente bloccata e a scoprirne il motivo tuffandosi sarà proprio Siobhán: a tenere fermo il peschereccio sono gli enormi tentacoli luminescenti di una misteriosa creatura che assomiglia a un enorme calamaro. In realtà, il vero pericolo è la sostanza oleosa e verdastra che la creatura secerne, piena di microscopici, brulicanti e letali parassiti che invadono lo scafo e iniziano a contagiare l'equipaggio.
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La Cosa e Alien restano lontani, ma il coinvolgimento c'è
Ambienti angusti, una minaccia sconosciuta, l'isolamento, il terrore: inevitabile, come già sottolineato, pensare a grandi classici del genere come La Cosa e Alien, ma è ovvio che se prendiamo quei riferimenti come parametro, il paragone con Sea Fever - Contagio in alto mare suona impietoso per vari motivi. Se però ci accontentiamo a un buon prodotto di genere e di intrattenimento, va riconosciuto che il film di Neasa Hardiman assolve discretamente il suo compito. C'è scarsa originalità, poco coraggio in alcuni passaggi e la sceneggiatura non sempre fila a dovere, però va detto che le interpretazioni sono buone, il ritmo serrato e il coinvolgimento resta più che sufficiente.
Quell'ansia da contagio che ormai conosciamo bene
Di certo funziona la tensione di dover convivere in spazi stretti con una minaccia sconosciuta e minuscola, e con un'ansia da contagio che ormai conosciamo tutti molto bene. L'impianto riesce in qualche modo a restare credibile e a non abbandonare del tutto l'ancora del realismo. Come perfettamente umana e attuale è la battaglia tra chi si preoccupa di non estendere il virus sulla terraferma e chi invece pensa solamente alla propria sopravvivenza.
Positiva anche la scelta di non esagerare nella parte horror, che comunque c'è anche se si limita a poche sequenze (quando gli organismi invadono gli occhi le atmosfere sono davvero inquietanti). Una parte che insomma non viene risparmiata ma centellinata, visto che si predilige accentuare lo stato di costante tensione ai fiumi di sangue.
Hermione, da timida e introversa a coraggiosa eroina
Se il film, almeno in parte, funziona è anche grazie a Hermione Corfield nel ruolo della studentessa laureanda in biologia comportamentale. Il suo è un percorso interessante: inizia come una ragazza timida, scontrosa, introversa, poco avvezza alle amicizie e alle compagnie, probabilmente proprio a causa dei suoi studi.
E il fatto che sul peschereccio venga accolta in modo freddo a causa della citata superstizione sui capelli rossi, accentua questa sua tendenza all'isolamento. Ma poi con lo svilupparsi degli eventi emerge una ragazza coraggiosa, pragmatica, che non perde mai la testa di fronte all'emergenza, anzi pronta a cercare soluzioni. Per finire poi addirittura come una vera eroina.
Peccato per il poco coraggio e la scarsa originalità
A frenare un po' il film è casomai la mancanza di coraggio in alcuni frangenti, gli snodi poco convincenti di certi passaggi cruciali che denotano una sceneggiatura non proprio cristallina. Sembra un po' artificiale e forzato anche a un certo punto il tirare in ballo la cosiddetta febbre del mare, una sorta di pazzia da isolamento che porta al suicidio.
Ma ripetiamo, solo se si guarda a capolavori del genere, alle loro connotazioni sociali e ai terrori ancestrali che suscitano, si finisce per rimanere un po' delusi dopo la visione. Mentre Sea Fever in fondo merita una visione, che risulterà gradevole a chi predilige le atmosfere cupe e claustrofobiche con spargimenti di sangue presenti ma non esagerati.
Conclusioni
Pur rimanendo molto distante dai classici del genere, come abbiamo visto nella recensione di Sea Fever - Contagio in alto mare, il film di Neasa Hardiman è un discreto prodotto che fra tensione e un pizzico di horror riesce a tenere desta l’attenzione dello spettatore. Senso di claustrofobia e smarrimento di fronte a una minaccia sconosciuta non mancano, piuttosto serviva ancora un po’ di coraggio in più in alcune sequenze e maggior coerenza narrativa in alcuni passaggi.
Perché ci piace
- Il senso di minaccia incombente e di claustrofobia è sempre presente.
- La bravura di Hermione Corfield e le buone interpretazioni di tutto il cast.
- La scelta di centellinare le scene gore e privilegiare la tensione.
Cosa non va
- La resa visiva della creatura e degli organismi non è impeccabile.
- La scarsa originalità e una certa mancanza di coraggio.