Il festival di San Remo ha portato fortuna, almeno a Belen Rodriguez. Così l'argentina più contesa della televisione italiana, cavalcando ulteriormente la visibilità dell'Ariston, fa il suo ritorno sul grande schermo con Se sei così, ti dico si, distribuito da Medusa dal 15 aprile in 350 copie. A credere in lei tanto da sdoganarla dal cinepanettone è il regista Eugenio Cappuccio (Volevo solo dormirle addosso, Uno su due) che, pur non possedendo alcun apparecchio televisivo ed avendo perso interesse nei confronti dei prodotti da piccolo schermo ormai da un decennio, ha visto nella show girl la perfetta ambasciatrice di una sorta di caos gossip-mediatico in cui è immerso anche il personaggio della modella Talita Cortès, regina della cronaca rosa e perfetto alter ego cinematografico della Rodriguez. Nata da un soggetto di Antonio Avati e prodotta insieme al fratello Pupi dalla DUeA Film, la pellicola si appoggia però in gran parte sulla versatilità di un attore d'esperienza come Emilio Solfrizzi, cui è affidato il compito di tratteggiare il profilo dolce-amaro della meteora Piero Cicala, ex cantante pugliese anni ottanta diventato famoso con il brano Io, te e il mare e velocemente accantonato dal sopraggiungere delle nuove mode. A dare corpo alle poche luci e la molte ombre della caduta e della rinascita di questa nuova maschera italiana a metà strada tra il melodramma della vita quotidiana e la leggera inconsistenza dello show business, si aggiungono anche dei caratteristi d'eccezione come Iaia Forte, Fabrizio Buonpastore e Totò Onnis.
Signor Avati, dopo molti anni in cui la DUEA ha prodotto esclusivamente i film di suo fratello Pupi ha puntato tutto su un regista che, se non esordiente, rappresenta il nuovo panorama cinematografico. Ci racconta lo sviluppo di questo progetto?Antonio Avati: E' vero, per un lungo periodo ci siamo concentrati sull'attività di Pupi, non potendo fare altro visto anche la sua nomina come Presidente di Cinecittà Holding. A questo punto, però, sentivamo forte la necessità di produrre una storia al di fuori della sua regia. L'idea è stata mia e mio fratello l'ha immediatamente sposata, affidando il compito di scrittura a Claudio Piersanti. Terminata la sceneggiatura, ci serviva un regista adatto, vicino alle corde emotive della narrazione e che offrisse anche un punto di vista giovane e attuale. Gianni Antonangeli ci ha segnalato Eugenio Cappuccio e, dopo aver visto il suo film Uno su due con Fabio Volo, abbiamo capito di aver trovato l'autore adatto.
Il film sarà nelle sale questo week end con una uscita molto forte e dovrà fronteggiare il tanto atteso Habemus Papam. Non teme il confronto con il ritorno di Nanni Moretti alla regia?
Antonio Avati: Da questo punto di vista siamo assolutamente tranquilli, anche se coscienti dell'attesa creatasi intorno al film di Moretti. E poi noi habemus Belen.
Signor Cappuccio come è stato lavorare all'interno di un ingranaggio produttivo così importante come quello della famiglia Avati?
Eugenio Cappuccio: Nella tradizione del nostro cinema è normale che un regista trovi un soggetto esterno che lo faccia innamorare, così com'è successo con questa sceneggiatura. Appena letto il copione l'ho sentito subito mio, accettando tutta una serie di sfide. La più grande è stata proprio entrare in relazione con un gruppo produttivo così strutturato. All'inizio ho pensato che il mio spazio di manovra avrebbe avuto dei limiti, ma tra di noi si è instaurato immediatamente un grande rapporto di collaborazione che ha fatto solo del bene alla storia. Con gli Avati abbiamo costruito una dimensione di lavoro curiosa. Mi sono trovato a lavorare alla scrivania di Pupi all'interno del loro ufficio in cui respiri la storia del cinema. D'altronde Pupi è un regista che ho sempre amato, così come il suo sguardo sul'uomo messo sul banco di prova della vita.
E del suo primo incontro con Belen cosa ricorda?
Eugenio Cappuccio: Io non la conoscevo molto bene, Antonio mi ha proposto d'incontrarla ed ho accettato. All'inizio l'ho solo guardata poi abbiamo iniziato a parlare ed ho scoperto una persona particolarmente duttile e ben disposta a mettersi in gioco. Le ho spiegato la mia tecnica di lavoro sul set e come amo mettere un po' sotto pressione gli attori per portarli verso nuove sfumature drammaturgiche. Devo ammettere che in lei e in Emilio Solfrizzi ho trovato due grandi complici.
Belen, com'è stato passare dagli impegni televisivi ad una esperienza cinematografica indubbiamente diversa dal cinepanettone?
Il personaggio di Talita è una star internazionale viziata e incredibilmente in ascesa che sconvolge la vita di Piero Cicala. Si è riconosciuta, almeno in parte, nella frenetica quotidianità di un personaggio così ricercato?
Belen Rodriguez: Le dive di una volta non esistono più e ormai nessuno vive un'esistenza da star. Per quanto mi riguarda, poi, lontano dalle telecamere conduco una quotidianità assolutamente normale. Potete chiedere alla gente che mi circonda, non succede veramente nulla d'incredibile. Talita si considera un'azienda, ma io non mi vedo in questo modo. Tutto ciò che voglio è una carriera seria e per ottenerla ce la sto mettendo tutta, non sono pigra e lavoro sodo.
Dopo questa esperienza pensa di continuare con il cinema?
Belen Rodriguez: La televisione è un mestiere, mentre recitare è anche un modo di vivere. Prima d'ora non avevo mai provato una sensazione del genere e devo dire che è stato incredibilmente terapeutico. Sì, mi piacerebbe continuare però quando mi chiamano attrice mi viene da ridere e mi vergogno un po'.
Solfrizzi , lei è reduce dal grande successo televisivo di Tutti pazzi per amore e da quello cinematografico di Maschi contro femmine, ma com'è entrato a far parte di questo team e come ha interpretato il personaggio di Piero, ex cantante fallito con ancora una canzone nel cassetto?
Nel film si fanno dei riferimenti piuttosto chiari a programmi di grande popolarità dal gusto retrò come I migliori anni. Per dare forma al personaggio di Cicala si è ispirato ad alcune delle vecchie glorie ospitate da Carlo Conti?
Emilio Solfrizzi: No, non ne avevo bisogno. Per molti anni ho lavorato in Puglia vivendo le piazze, i teatri e i bar e di Piero ne ho incontrati molti, con la stessa ricchezza umana e con delle cicatrici non sempre guarite. Noi viviamo in un mondo affascinato da vincitori come dai vinti, d'altronde sono le due facce di una stessa medaglia.
Il personaggio di Cicala fa delle considerazioni particolarmente importanti come " non ti perdonano i successi, figuriamoci gli insuccessi". Qual è il suo punto di vista sulla questione?
Emilio Solfrizzi: Quando hai successo è normale scatenare l'invidia di chi non può permettersi altro, però è meno interessante indagare su questo. Più stimolante è osservare l'insuccesso e il rancore esterno che ne consegue. Bisogna riflettere sul fatto che nella caduta non si è mai da soli, ma vengono trascinati anche tutti coloro che hanno investito su di noi dal punto di vista emotivo. Cicala sembra essersi rassegnato alla sconfitta, ma le persone che lo circondano gli reclamano ancora qualche cosa. In quella sua resa c'è quella degli altri, l'incapacità di valutare le proprie debolezze e di fare pace con se stessi. Il problema e che nella vita bisognerebbe essere misurati nel successo come nell'insuccesso.
E per quanto riguarda la regia? Pensa un giorno di passare dall'altra parte della macchina da presa?