Scrivimi una sceneggiatura
Quando un film rivela in maniera troppo esplicita i modelli di riferimento cui attinge non è mai un buon segno. Il rischio è facile con la commedia, un genere per sua natura tradizionalista e tendente alla ricorrenza di personaggi e situazioni canonizzate. Ma Che fine hanno fatto i Morgan? esagera, e arriva addirittura a svelare la stessa ossatura su cui si regge l'ormai collaudato schema della commedia americana. Alla base del film di Marc Lawrence c'è difatti un intero filone, quello della cosiddetta "commedia del rimatrimonio", come lo ha sapientemente definito il filosofo Stanley Cavell nel suo straordinario saggio Alla ricerca della felicità. Un sottogenere nato nella Hollywood degli anni Trenta e Quaranta (con capostipiti quali Accadde una notte, Scandalo a Filadelfia o Susanna, solo per citare alcuni capisaldi) incentrato sulla riunione di un uomo e di una donna dopo una separazione, solitamente al termine di un percorso di maturazione dopo il quale la coppia riuscirà a rifondare la propria relazione.
Uno degli intrecci archetipo della comedy of remarriage vede i due protagonisti - di solito una coppia matura il cui rapporto si è ormai deteriorato - riuniti per uno scherzo del destino e catapultati in un'ambientazione bucolica e naif in cui, a seguito di un superamento di prove, saranno in grado di rivivificare il loro amore. Ed è davvero tutto racchiuso qui il film del veterano della commedia Marc Lawrence, quasi che il regista e sceneggiatore avesse studiato diligentemente il manuale di Cavell e deciso di seguirlo alla lettera. Che fine hanno fatto i Morgan? è dunque una sorta di elenco antologico di situazioni ricorrenti della commedia a stelle e strisce, una specie di Bignami della screwball comedy. Unisce insieme tutti i temi cardine di un repertorio ormai consolidatosi nel corso di oltre cinquant'anni: il rimatrimonio, la fuga dalla città (che qui è la metropoli per eccellenza New York), la riscoperta del selvaggio West, territorio ancora incontaminato che racchiude in sé lo spirito originario dell'America. Situazioni canoniche che vengono rispolverate attingendo a un altro meccanismo, anch'esso ormai piuttosto rodato, come la contaminazione di generi: non soltanto il western di cui si accennava prima, ma anche le atmosfere del thriller. Paul (Hugh Grant) e Meryl (Sarah Jessica Parker) Morgan sono un avvocato e un'arredatrice di successo nella Grande Mela, nel pieno di una crisi coniugale dopo il tradimento di lui. Durante una cena in cui Paul tenta invano una riconciliazione, i coniugi Morgan assistono entrambi a un omicidio e diventano testimoni chiave sotto copertura dell'Fbi. Loro malgrado, sono costretti a entrare in un programma di protezione speciale e vengono spediti, con delle nuove identità, in un minuscolo e isolato paese del Wyoming. A prendersi cura di loro sono lo sceriffo Clay (Sam Elliott) e la moglie Emma (Mary Steenburgen), che rispondono in pieno a ogni cliché dell'immaginario redneck: lui taciturno cowboy vecchio stampo, lei energica amazzone patita delle armi da fuoco. Dopo aver superato un iniziale disadattamento dovuto al repentino cambio d'abitudini (con annesse buffe sequenze con animali ereditate da Scappo dalla città - la vita, l'amore e le vacche), Paul e Meryl si immergono pian piano nell'atmosfera agreste che li circonda e riscoprono il senso del loro matrimonio, fino al punto di scambiarsi nuovamente la promessa nuziale sotto un romantico cielo stellato. L'intreccio scorre come da prammatica sui binari prestabiliti, senza deviare nemmeno per un momento dagli schemi consueti (con tanto di consacrazione dei valori tradizionali del matrimonio e della famiglia), fino all'immancabile lieto fine. Di fronte a una simile decalcomania di moduli narrativi classici, ci si chiede allora quale possa essere il senso di un'operazione del genere. Il punto è proprio questo: mentre Marc Lawrence era riuscito con il precedente Scrivimi una canzone a rinfrescare piacevolmente alcuni meccanismi della commedia romantica, qui non sembra essere in grado di fare altrettanto. In un'epoca in cui il concetto stesso di matrimonio è sempre più messo in discussione, le tematiche affrontate da Che fine hanno fatto i Morgan? appaiono ormai come dei meri orpelli svuotati di significato. Nemmeno gli attori protagonisti sono in grado di svincolarsi dagli stereotipi che gli sono stati cuciti addosso: Hugh Grant (attore feticcio di Lawrence) ricicla eternamente se stesso (campionario di tic e vezzi incluso); mentre Sarah Jessica Parker è incapace ormai di fuoriuscire dai panni della nevrotica e sofisticata Carrie di Sex and the City. Paradossalmente, un barlume di vivacità emerge dai comprimari: la coppia più attempata composta da Sam Elliott e Mary Steenburgen, e quella più inesperta formata da Elisabeth Moss e Jesse Liebman, quest'ultima purtroppo poco valorizzata nell'economia dell'intreccio. Ma si tratta di guizzi momentanei e isolati: alla fine, non rimane sconsolati che chiedersi: "Che fine ha fatto la commedia americana"?