Da quando Randy Meeks si è messo a spiegare le regole dell'horror, nell'ormai lontano inverno del 1996, il franchise di Scream si è fatto notare per la sua componente autoreferenziale e satirica: una lettera d'amore al genere che allo stesso tempo prendeva in giro la propria appartenenza al genere stesso, dalle convenzioni più ovvie ("Mai dire che tornerai subito") a dettagli sempre più specifici come quelli legati a sequel e remake. Anche il quinto film uscito nel 2022, attualmente nelle sale, mantiene viva la tradizione autoriflessiva della saga, ma a questo giro si percepisce che manca un po' il mordente dei capitoli precedenti, e non solo per l'assenza di Wes Craven, a cui il nuovo lungometraggio è dedicato. Qui proviamo a spiegare perché, secondo noi, il significato satirico del quinto episodio è al contempo azzeccatissimo e un po' fuori luogo. N.B. L'articolo contiene spoiler!
Le piaghe del fandom
Se all'inizio sembra che Scream voglia prendere di mira il trend del requel/legacyquel, al quale sono associati film come Halloween e Candyman (e, prossimamente, Texas Chainsaw Massacre), ossia sequel che però optano per la stessa titolazione dell'originale, come se fosse un nuovo inizio, ben presto salta fuori che così non è. Ciò che interessa agli autori è la questione dei fan tossici, quelli che invadono i social e i forum per espellere bile su qualunque film, serie TV o videogioco quando non corrisponde esattamente alle loro aspettative. Una questione incarnata in questo film dai due assassini, Amber e Richie, talmente delusi da Stab 8 (l'ottavo capitolo della saga cinematografica che nell'universo fittizio adatta le storie legate a Woodsboro e Sidney Prescott) che hanno deciso di dare vita a una nuova serie di omicidi solo per dare a Hollywood materiale all'altezza dell'originale. E in caso non fosse sufficientemente chiaro che individui simili provengono direttamente dagli angoli più bui di Reddit e Twitter (Richie si giustifica con quello che è un vero e proprio slogan di queste persone, "Come può essere tossico amare qualcosa?"), il film dice chiaramente che l'oggetto della loro ira aveva in cabina di regia un certo Rian Johnson.
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Sì, quel Rian Johnson, che dopo l'ennesimo insulto personale rivolto a lui e/o agli attori di Star Wars: Gli ultimi Jedi, dovette scrivere "Siete liberi di criticare il mio film, ma fatelo in modo rispettoso". Richiesta che ovviamente fu respinta dai diretti interessati, convinti di avere il diritto di aggredire verbalmente chiunque non la pensi come loro, protetti dall'anonimato generale che certi social possono fornire. Una convinzione che porta ad azioni come la campagna di odio nei confronti di James Gunn, da quasi quattro anni accusato di pedofilia da una minoranza rumorosa del fandom dei film della DC Comics; o gli insulti sessisti rivolti a Kathleen Kennedy, accusata dai detrattori di essere arrivata al vertice di Lucasfilm senza alcun merito professionale; e così via. Atti di odio e bullismo spacciati per amore nei confronti di questo o quel franchise, di cui il fan crede di essere il legittimo proprietario. Una mentalità a cui Stephen King ha dato forma nella persona di Annie Wilkes, terrificante icona letteraria e cinematografica (Misery non deve morire), e antesignana di chi oggi si sente in diritto di sostituire la volontà dell'autore con la propria. Un atteggiamento che il co-sceneggiatore James Vanderbilt probabilmente ha vissuto sulla propria pelle, avendo partecipato alla scrittura di The Amazing Spider-Man e del suo sequel e quindi scatenato la collera di uno dei fandom più vasti e a tratti insopportabili che esistano, quello dei film di supereroi.
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Comportamenti da paura, ma non troppo
È giusto che si affronti quell'argomento, per capire fino a che punto i sedicenti appassionati possano spingersi oltre in nome di qualcosa che venerano, spesso in modo sproporzionato (viene in mente la recensione di Ghostbusters: Legacy sul Guardian, dove si parla di operazioni costruite a tavolino per coloro che "venerano tutto e non rispettano nulla"), e anche come si possa reagire in modo adeguato, invitando a un dialogo più pacifico (cosa che è diventata oggetto di conversazione anche in Italia, con Fabio D'Innocenzo che ha recentemente risposto in modo eccessivo a dei commenti negativi ma non particolarmente pesanti, prima di eliminare il suo profilo Instagram). E da un certo punto di vista è anche logico che se ne parli in un film come questo, che sin dalle origini ha avuto un'impostazione metacinematografica e non ha esitato a esplorare gli angoli più bui della sfera hollywoodiana: basti pensare a Scream 3, che alla luce delle vicende giudiziarie di Harvey Weinstein (produttore esecutivo dei primi quattro capitoli della saga) ha un che di profetico nella sua esplorazione degli abusi subiti dalle donne sui set.
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Eppure, in questo caso specifico, rimane la sensazione che manchi un po' il mordente che caratterizzava i film precedenti, e non perché c'è stato un passaggio di consegne dietro le quinte (anche se i due nuovi registi Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett non hanno la ferocia satirica di Wes Craven). È perché la questione del fandom tossico, complessivamente, è estranea alla comunità horror, dove eventuali annunci potenzialmente controversi sono accolti con scetticismo ma non vera e propria ostilità (e quando i commenti si fanno più negativi, come gli attacchi misogini nei confronti del Black Christmas del 2019, tendenzialmente provengono da microcosmi che non hanno a che fare con il fandom specifico, ma si divertono ad attaccare qualunque film che secondo loro è soggetto alle imposizioni del politicamente corretto). Ne è un esempio lampante anche questo lungometraggio, che non ha avuto a che fare con campagne d'odio legate al nuovo cast o all'assenza di Craven. Laddove i film precedenti riflettevano nello specifico sull'horror, tra sequel, trilogie, remake e chi più ne ha più ne metta, il quinto episodio scava in zone legate all'entertainment in generale. E di conseguenza, anche se il meccanismo rimane efficace, è un po' come se non fosse interamente calibrato secondo le specifiche del franchise.