Per citare un altro film cult, potremmo dire: Ghostface si è smarrito a New York. Perché, scriviamolo chiaro, l'idea di uno Scream ambientato a Manhattan poteva inzialmente sembrare stridente, in quanto il leggendario killer slasher di Wes Craven e Kevin Williamson ha sempre fatto della provincia americana il suo palcoscenico, il suo rifugio, la sua idea sanguinolenta e truculenta. Un personaggio di rottura, in bilico tra il serio e il faceto, capace di distruggere generazioni di inconcludenti e accaldati teen-ager, segnando la storia nella storia: quella di Woodsboro, e quella filmica. Ma la saga, in fondo, è sempre stata meta-cinematografica, giocando con il concetto stesso di paura e di horror. Dunque, rintracciando i dubbi, possiamo smentire le nostre rimostranze: Scream VI, o se volete Scream 6, pur introducendo una marcata novità, resta saldamente fedele al franchise, enfatizzando - anche scherzosamente - il concetto di sequel più vicino al requel. Anzi, potremmo dire che la soundtrack di New York City - i clacson, il traffico, il vociare, la folla - offre ulteriori spunti narrativi, nonché stilistici, cavalcati dai registi Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, che tornano dopo il successo di Scream 5.
In qualche modo era necessaria una svolta, e l'unica possibile riguardava la location. Una cornice che sarebbe dovuta essere tridimensionale e diametralmente opposta alla riservatezza bigotta di Woodsboro, spingendo sul concetto labirintico tipico degli intricati plot twist che caratterizzano lo show. Certo, bisogna farci l'abitudine: i "personaggi storici" vengono trapiantanti nella Grande Mela, tramite un'espediente, e con loro l'intera costruzione del personaggio di Ghostface, inquadrato e immortalato con la necessaria reverenza. Un po' come accaduto con Mike Myers nei sequel di Halloween, il mutevole serial killer di Scream, film dopo film, è diventato sempre più grosso ed imponente, e lo splendido egocentrismo di New York sembra far al caso giusto. Un messaggio chiaro: la maschera bianca, che ricorda L'urlo di Munch, è destinata a restare, tramandandosi come una specie di malvagio virus. Ovunque. Nonostante questo, la peculiarità resta il movente: la lama del coltello buck 120 sferra i sincopati e forsennati colpi seguendo comunque una motivazione personale, pur allungando la macchia di sangue che si lascia alle spalle, dall'Upper West Side fino alla Downtown.
"Qual è il tuo film horror preferito?"
Come ogni Scream che si rispetti, anche il sesto capitolo si apre con un telefono che squilla e con l'emblematica quote: "Qual è il tuo film horror preferito?". Non siamo però in una villetta isolata, bensì in un locale di lusso sulla Hudson Street, nel cuore cool di New York: Tribeca e il Greenwich Village. Campiamo subito che l'umore è cambiato, e che lo script di James Vanderbilt e Guy Busick deve in qualche modo alzare il livello, senza fermare mai il motore dell'intrattenimento. In questo caso, le musiche di Brian Tyler diventano essenziali, legandosi all'ottimo sound design: le pugnalate sferzate da Ghostface sono dei proiettili, ricalcando lo schema studiato. Prima la clavicola, poi le braccia, solo all'ultimo le budella.
Se lo stile furioso e coreografico di Ghostface resta preponderante, la trama su cui ruota Scream VI ha a che fare con l'eredità e con il retaggio omicida che volteggia sulla famiglia Loomis alias Carpenter. Le sorelle Sam (Melissa Barrera) e Tara (Jenna Ortega), sopravvissute insieme a Chad (Mason Gooding) e Mindy Meeks (Jasmin Savoy Brown), provano a rifarsi una vita trasferendosi a New York. Sam tenta di superare il trauma rivolgendosi ad uno psicologo, tenendo a bada un certo impulso violento, mentre Tara si getta a capofitto nella vita universitaria. Ciononostante, il passato torna e, ancora una volta, indossa la maschera di Ghostface.
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"Stand clear the closing door"
Lo spettro si aggira dunque per Time Square, e mai come questa volta la soluzione finale richiede un certo spunto inventivo e una notevole fantasia narrativa: non vi riveliamo nulla, ma va detto che Scream VI è probabilmente il capitolo più "estremo" ed esagerato dell'epopea. Dura due ore, piene e convulse, e c'è un notevole tasso spettacolare che sguazza tra le molteplici citazioni e i numerosi ammiccamenti ai dogmi delle saghe slasher. Una scatola cinese, un film nel film, la nera silhouette di uno dei personaggi cinematografici più influenti e rivoluzionari alle prese con i capricci e i lamenti di un gruppo di teen-ager ossessionati dalla cultura pop e dai film di paura. Di pari passo, scorre parallela l'inaspettata scenografia, affiancata alla perturbante e arrovellata sceneggiatura (fate attenzione ai dettagli!), mentre il nucleo dei vecchi protagonisti viene amalgamato con le varie new entry e con i grandi ritorni, come Hayden Panettiere e Courtney Cox.
Una sorta di eredità che passa di film in film, ponendo l'attenzione sugli istinti di Sam, forse non dissimili dall'eco lontano di papà Billy / Skeet Ulrich, che segnò il primo e memorabile capitolo datato 1996. Sotto la maschera di Ghostface, però, c'è pure altro: la costanza volutamente esagerata della storia cozza nei confronti di un maggior trasporto emozionale, sacrificando l'omogeneità del racconto in funzione del colpo di scena: un aspetto che scricchiola, sorretto per quanto possibile dall'iconicità del marchio e dalla fisicità sottolineata del killer. Ma se Scream IV è una degna linea continua all'interno dello spettacolo slasher coniato da Wes Craven, e lasciato a future generazioni (di spettatori, di personaggi), c'è una sequenza destinata ad entrare nella storia di Scream: scendiamo nel labirinto della metropolitana di New York, percorrendo il tragitto sulla linea rossa. La più lunga e la più caotica.
Il gruppo di sopravvissuti finirà per separarsi in due vagoni, stipati tra i telefoni che squillano e il rumore assordante delle rotaie che scintillano sull'acciaio consumato. Sei milioni di abitanti e un killer mascherato, inarrestabile e famelico. Ad ogni fermata la solita voce registrata ripete "stand clear the closing door" (un must per chi conosce New York), intanto che Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett innalzano la tensione, giocando con la luce ad intermittenza, con le ombre e con gli sguardi. Sam, Tara e gli altri sono braccati dal killer, e nemmeno la metropolitana pare essere un luogo sicuro: l'ansia cresce, il fiato si fa corto. È il periodo di Halloween e sono tutti mascherati. Da chi? Semplice, dall'epico assassino di Woodsboro. Decine di Ghostface salgo e scendono dalla chiassosa subway, in un cortocircuito ad alto voltaggio che confonderà i protagonisti, lasciandoci impietriti per schematicità e innovazione, considerando la lunga tradizione immutabile della saga. Insomma, una creazione scenica notevole e un eclatante game changer. Che, da solo, vale la visione di Scream 6.
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Conclusioni
Concludendo la recensione di Scream VI, rimarchiamo quanto Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett abbiano stravolto la cornice dando a Ghostface un tono più metropolitano. Siamo a New York, cornice elettrica ed elettrizzante, in cui la sceneggiatura trasporta toni ed emozioni non troppo dissimili dalle sfumature originali. Il plot twist incombe, intralciando però la strada alla fluidità narrativa. Tuttavia, la saga prosegue spedita e più vivida che mai. Da Woodsboro a New York: un viaggio di sola andata nel segno slasher di un personaggio leggendario.
Perché ci piace
- La location, Scream funziona anche a New York.
- La sequenza che anticipa il finale, ambientata in metropolitana.
- Jenna Ortega, che dimostra di non essere solo Mercoledì.
- Ghostface: egocentrico, leggendario, coreografico.
Cosa non va
- Lo spettacolo è maggiore, ma non tutto risulta fluido.
- La ricerca del plot twist è sincopata e meno ragionata.