Recensione Biancaneve (2012)

Lo script gioca spesso con lo smontaggio e il rovesciamento autoironico degli archetipi della fiaba originale, mentre Tarsem reinterpreta la storia alla luce della sua concezione di cinema postmoderna e contaminata.

Schermo, schermo delle mie brame

La più celebre delle invocazioni/richieste fiabesche, emblema di vanità e invidia, tramandata da secoli nelle tante versioni di una storia senza tempo, diventa ora addirittura un titolo. Mirror Mirror, recita infatti il titolo originale di questo film di Tarsem Singh, che rilegge per l'ennesima volta una delle fiabe più celebri dei fratelli Grimm; una storia la cui origine è tuttavia, probabilmente, molto più antica, persa nei secoli come quella di qualsiasi fiaba, frutto del folclore e della trasmissione orale, e come tale passabile di aggiornamenti, riletture, rimodellamenti. Basterebbe questa considerazione, la presa d'atto del carattere molle, duttile e mai fissato una volta per tutte di una forma narrativa come la fiaba, a spazzare via ogni dubbio sull'interrogativo se abbia senso, nel 2012, una nuova versione cinematografica di Biancaneve: e questo vale a prescindere dal fatto che, nel corso di quest'anno, siano ben due le versioni della fiaba dei Grimm destinate ad arrivare sul grande schermo (la seconda, Biancaneve e il cacciatore, diretta da Rupert Sanders e interpretata da Kristen Stewart, è attesa per luglio). C'era del vero nelle parole del sociologo Marshall McLuhan, che descriveva il carattere partecipativo, frutto di collaborazione e di continue ri-negoziazioni, delle forme di comunicazione orale, in seguito ucciso dalla fissità della stampa e poi "resuscitato" dai media elettrici novecenteschi. Il cinema (e la televisione) hanno non solo resuscitato, ma rinarrato e reinterpretato più e più volte questa storia (così come tante altre): in versioni classiche, filologiche, contemporanee, horror, pornografiche, e chi più ne ha più ne metta. L'immortalità di una narrazione archetipica è garantita dalla sua continua rimodellabilità, grazie ai canali attraverso il quale viene raccontata.


E bisogna dire che quello di Tarsem è canale post-moderno per eccellenza, cinema per sua natura spurio, contaminato. Il regista ha dichiarato di voler ricreare, per questo film, una resa scenografica che fosse figlia delle pellicole della Warner degli anni '30 e '40, dal taglio classico e artigianale; e di essersi ispirato anche a una singola sequenza, ambientata in un bosco di betulle, del film L'infanzia di Ivan di Andrei Tarkovsky. Ma è chiaro che un'estetica puramente classica, quella del cinema del secolo scorso, non potrebbe mai bastare alla fantasia visionaria del regista di origini indiane; e, anzi, lo stesso accostamento, in un unico film, di due modelli così diversi tra loro, dà la misura del gusto per la contaminazione e la fusione di linguaggi che troviamo all'opera nel suo cinema. Così, questo suo nuovo film inizia mostrandoci lo specchio, corrispondente filmico dello schermo cinematografico, all'interno del quale si svolge un prologo animato, un prologo tutto digitale in cui vediamo svolgersi le prime battute della storia; ma la novità è che a narrarcela è l'antagonista, la regina strega interpretata da una sorprendente (e autoironica) Julia Roberts. La voce narrante diventa così quella del personaggio negativo, anche se poi, di fatto, il film non si spinge fino ad adottare la sua ottica: sarebbe stato forse troppo per una pellicola che, a una reinterpretazione estetica della storia originale vuole anche far corrispondere una sostanziale fedeltà "etica". Lo spunto della voce narrante offre comunque alla sceneggiatura la possibilità di approfondire il personaggio della Roberts, specie in quello sdoppiamento (la versione nello specchio come alter ego/proiezione irraggiungibile della sovrana, fredda e razionale) che ne mette in evidenza contraddizioni e inquietudini.

Più in generale, lo script gioca spesso con lo smontaggio e il rovesciamento autoironico degli archetipi originali, a partire dal personaggio del Principe (un gradevole Armie Hammer) protagonista di varie sequenze improntate a una sfrontata comicità; in particolare, sua è la scena in cui uno dei momenti chiave della fiaba viene completamente ribaltato, senza che tuttavia ciò, dati i toni assunti dal racconto fino a quel momento, appaia fuori luogo o forzato. Nelle stesse figure dei nani, rinominati per l'occasione e resi più complessi e realistici, viene abbozzata una riflessione sul tema della diversità che appare integrata tutto sommato bene nel tessuto narrativo della storia.
Aiutata da sontuose scenografie, in cui la mescolanza di influenze diverse (e, come si diceva, di digitale e artigianalità dal taglio classico) è la norma, la regia di Tarsem può sprigionare come di consueto tutta la sua visionarietà, specie nel montaggio, serrato e ricco di piani ravvicinati, dalla leggibilità resa volutamente complessa, di ottime sequenze d'azione. E' da segnalare in particolare una sequenza che vede protagoniste delle marionette, dall'impronta quasi horror, che nella semplicità della sua concezione risulta assolutamente efficace. E caricata di una sottile inquietudine è anche una delle ultime sequenze, in cui la Biancaneve di Lily Collins mostra sul suo volto, nell'ultimo confronto con la sua nemica, una luce perturbante: quella di chi forse, per un'ora e mezza, è stata la vera fautrice di un incantesimo che ha avuto per vittime gli spettatori. Lo specchio/cinema è comunque andato in frantumi: frantumazione momentanea, tuttavia, con il mezzo pronto a ricomporsi, in forme diverse, non appena questa storia (e accadrà molto presto) sarà destinata ad essere narrata di nuovo.

Movieplayer.it

3.0/5