È un film bizzarro e strampalato quello con cui Aldo Baglio torna al cinema per la prima volta in solitaria, con le spalle scoperte, senza Giovanni né Giacomo. Scappo a casa è il film del cambiamento, quello che ha investito il trio in questo anno sabbatico, una pausa di riflessione necessaria prima di ripartire insieme a cominciare dalla prossima estate, quando Aldo, Giovanni e Giacomo, che hanno smentito lo scioglimento, si ritroveranno sul set di una nuova commedia diretti dal loro storico collaboratore Massimo Venier.
Come vi racconteremo in questa recensione di Scappo a casa, i toni di questo film sono quelli del demenziale e del grottesco, in una storia divisa tra road movie e western, dove Baglio si confronta anche con la sceneggiatura.
A dirigere è Enrico Lando, specializzato nel portare sul grande schermo alcuni talenti comici formatisi altrove come fu per Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio con I soliti idioti, o per Herbert Ballerina con Quel bravo ragazzo. L'operazione riesce a metà trascinandosi dietro una scrittura debole e poco originale, ricalcata su cliché narrativi e personaggi appena abbozzati, ma il sovversivo talento comico del vecchio Al riesce a volte a salvare la situazione.
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Una trama da road movie a tinte western
Al centro della trama di Scappo a casa le scombinate avventure di Michele (Aldo Baglio), italianissimo maschio alfa, un concentrato di donne, motori, muscoli e selfie. Impegnato a rendersi la vita "spensierata a profusione", frequentare chat di incontri e guidare macchine di lusso (quelle della concessionaria in cui lavora), la sua filosofia è: "Se qualcosa si mette di trasverso io me ne fotto". Odia l'uomo comune che "si pone dei limiti e fa il pieno di frustrazioni", è un fermo sostenitore della "diseguaglianza ingiustificabile", ha non pochi problemi ad accettare il diverso, in particolare quello che lui definisce "negritudine". Il suo punto debole? I capelli che non ha, mancanza a cui supplisce con una parrucca, "un surrogato di virilità" che gli permette di sfoggiare il suo charme da seduttore incallito. Intollerante, ignorante e razzista, schiavo degli status symbol, dovrà però fare i conti con un destino beffardo. A Budapest per lavoro alla guida dell'inseparabile bolide, Michele verrà derubato di documenti, smartphone e auto.
Scambiato per clandestino finirà in un centro di accoglienza al confine tra Ungheria e Croazia; una serie di tragicomiche avventure, una fuga rocambolesca verso l'Italia e l'amicizia inaspettata con Mugambi (Jacky Ido) e Babelle (Fatou N'Diaye) gli stravolgeranno la vita per sempre, perché "solo gli imbecilli non cambiano mai idea".
La prima parte del film stenta a decollare indugiando forse troppo nel ritratto superficiale del protagonista, prigioniero di una pioggia di gag e battute spesso scontate, banali e prive di verve comica. Risate a denti stretti dunque, almeno fino a quando non prenderà piede il road movie a tinte western e la trama sul dramma dell'immigrazione: la narrazione e il ritmo cominciano a incalzare e il one man show di Aldo può finalmente girare per il verso giusto.
Aldo Baglio e Jacky Ido: una buffa coppia di personaggi
Tra respingimenti alla frontiera, colpi di fucile, erbe miracolose e poliziotti corrotti, la comicità surreale e nonsense di Aldo Baglio ha la possibilità finalmente di esprimersi e trovare una propria ricollocazione in un habitat nuovo. Sono i momenti in cui il comico può attingere a piene mani dal suo repertorio abituale, e sono anche quelli in cui il film sfodera una serie di citazioni, alcune molto evidenti come i riferimenti a Tre uomini e una gamba: dall'urlata "Ridi pagliaccio" a bordo di una macchina in fuga tra le montagne ungheresi, alla protesi di uno dei migranti con cui Michele cercherà di raggiungere il confine italiano.
Pur ingranando, la commedia rimane però vittima di un'ingenuità di fondo e di un approccio semplicistico, che trova respiro solo in qualche siparietto comico.
I migliori sono i duetti tra Michele e Mugambi, coppia di personaggi fondata sul cortocircuito della diversità culturale, capace di scardinare luoghi comuni e mettere alla berlina razzismo e pregiudizi.
Conclusioni
Cosa rimane alla fine di questa recensione di Scappo a casa? Sicuramente la comicità sovversiva di Aldo Baglio, che trova il modo di esprimersi pienamente solo nella seconda parte del film: è qui che dopo lo smarrimento iniziale, il comico ritrova una propria identità. Ma restano anche i temi trattati, dal razzismo alla denuncia di certe politiche sull’emigrazione, o le citazioni da Tre uomini e una gamba, omaggio al passato condiviso con Giovanni e Giacomo, le storiche spalle con le quali Aldo è pronto a condividere il set del prossimo film, che riunirà il trio sotto la regia di Massimo Venier.
Perché ci piace
- l tono del road movie condito da ritmi western favorisce momenti di comicità surreale, quella in cui Aldo Baglio, orfano di Giovanni e Giacomo, riesce a ritrovare una propria dimensione e identità.
- I personaggi comprimari funzionano da ottima spalla. I siparietti tra Aldo e Jacky Ido sono tra i migliori del film.
Cosa non va
- Il film rimane prigioniero di un approccio semplicistico e di una grammatica convenzionale.
- Una scrittura debole, ricalcata su cliché narrativi e personaggi appena abbozzati.
Movieplayer.it
2.5/5