Il pubblico lo ha sempre conosciuto in compagnia degli altri due soci Giovanni Storti e Giacomo Poretti, i volti di un trio che ha accompagnato un'intera generazione a colpi di nonsense e comicità surreale. In questa intervista a Aldo Baglio parliamo del ritorno al cinema dell'attore, ma per la prima volta senza le sue storiche spalle, con il film Scappo a casa di Enrico Lando - ne abbiamo parlato anche nella nostra recensione di Scappo a casa - dove interpreta un italiano razzista e ignorante che il destino metterà a dura prova quando verrà scambiato per un clandestino.
Una corsa in solitaria, un film per il quale è stato detto che Aldo Giovanni e Giacomo si sono separati ma in realtà per Baglio rappresenta un'occasione di arricchimento in attesa di ritrovare i suoi compagni di viaggio già dalla prossima estate sul set del nuovo film diretto da Massimo Venier.
Scappo a casa è un film sullo scambio e sulla possibilità di mettersi al posto dell'altro?
Sicuramente il sunto di questa storia è cercare di cambiare idea e punto di vista, perché solo gli imbecilli non la cambiano.
Affronti anche il tema caldo dei migranti.
Sono la persona meno appropriata per discuterne perché è un argomento vasto e delicato, volevo parlare invece di cambiamento attraverso il protagonista Michele, che da intollerante e egoista che odia i diversi finisce per ritrovarsi per uno scherzo del destino dalla parte opposta, costretto dai fatti a cambiare idea.
Torni al cinema dopo anni e lo fai per la prima volta da solo.
Dopo tanto tempo ho avvertito l'esigenza di parlare di me e toccare qualcosa che non conoscevo, per me e gli altri due soci è stata l'occasione per fare esperienze diverse e arricchirci: Giacomo ha fatto uno spettacolo teatrale e Giovanni ha scritto un libro. Nel prossimo film insieme ognuno di noi potrà portare qualcosa in più, pur senza tradire la natura di Aldo, Giovanni e Giacomo.
Un Aldo più maturo?
Ho intrapreso una strada difficile, forse sofferta perché nessuno è pronto a certe prove, ma era un'esigenza. Mi sono detto: "Ho sessant'anni, non so se mi si ripresenterà un'altra occasione". Era arrivato il momento di prenderci un anno sabbatico.
Il momento più difficile di questa fuga in solitaria?
Una volta partiti è tutto difficile, ma più le cose sono complicate più diventa giusto superarle. La sfida più grande era mettermi in primo piano e cercare di avere tutti dalla mia parte, ma è stato facile nel momento in cui ho dato la mia totale disponibilità.
Michele è un concentrato di tipi umani: a chi hai guardato e cosa ti sei portato dietro del tuo repertorio?
Scappo a casa è un film sul cambiamento, ma non ho inventato niente perché in fondo lo sono tutti i film. È come mi sentivo in quel momento: dopo venticinque anni passati a fare determinate cose, avevo il bisogno di capire chi ero. Entriamo tutti in crisi dopo i sessanta anni e ci sono momenti che ti cambiano più di altri, in cui metti in discussione tutto.
Quando hanno pesato le scelte dei tuoi soci in questo cambiamento? È partito da te o da loro?
Avevamo appena fatto un progetto insieme e abbiamo capito che era arrivato il momento di prendersi una pausa, forse ho forzato di più io la mano. Credo ne avessimo bisogno tutti e tre.
Il film ha una struttura da road movie. È un caso o voleva essere un chiaro riferimento ai tuoi film precedenti?
Ci sono diverse citazioni anche a Sergio Leone, mi piace definire Scappo a casa uno "spaghetti eastern"; lo abbiamo battezzato così perché l'idea sin dall'inizio era quella. Quando ho deciso di realizzare un film sul cambiamento, ho subito pensato a un uomo in crisi che si mette lo zaino in spalla per girare il mondo e questo girovagare lo cambia. Poi il film è andato in un'altra direzione, ma il road movie era già nella prima parola "cambiamento".
La prima parte sembra una parodia dell'italiano medio, un po' cafone. Gli italiani non ne escono benissimo.
È la popolazione mondiale a non uscirne benissimo. L'uomo medio italiano è ignorante, si sente in pericolo ed è un personaggio con cui abbiamo a che fare quotidianamente. Mi piace fare quasi degli studi antropologici e così a volte ascolto il programma radio La Zanzara: mi rendo conto che ci sono dei personaggi da mettersi le mani nei capelli. E fanno paura al contrario di Michele, un uomo che in un mondo condizionato dai social ha semplicemente deciso di vivere la vita di qualcun altro. Questo viaggio lo porterà a capire chi è e a ridimensionarsi: all'inizio ha una coscienza piccola, piccola, che poi si espande e prende il sopravvento.
E la scelta di usare il dialetto siciliano?
È la mia sicurezza, la mia comfort zone. Spero di mantenerlo sempre nei miei film, anzi è un aspetto che vorrei approfondire.
Senza Giovanni e Giacomo ti sei dovuto affidare a delle nuove spalle. Come ti sei trovato?
John Jack Ido è il sarcofago di Aldo, Giovanni e Giacomo. Lo abbiamo voluto fortemente, mi ha rasserenato molto; ho avuto la fortuna di trovare in una persona sola il mio Giovanni e Giacomo.