Dopo il felice esordio con La mia vita da zucchina, lo svizzero Claude Barras sforna un'opera più delicata nei toni, ma più matura nelle tecniche di animazione. Savages è una fiaba per ragazzi, ma anche un pamphlet ambientalista adulto che punta il dito contro lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali. Ambientato nel Borneo, ai margini della foresta pluviale, il film racconta la presa di coscienza della piccola Keria, che salva un cucciolo di orango dalla violenza dei disboscatori che opera per conto del governo. L'occasione è ghiotta per conoscere a fondo la tribù dei Penan, a cui apparteneva la madre defunta di Keria, tribù nomade del Borneo con cui Claude Barras è entrato in contatto per realizzare Savages.
"Questo è un film intimo, che parla di una riflessione sulla modernità nel mio percorso" spiega il regista. "I miei genitori vivevano nelle montagne del Vallese in modo molto primitivo, come gli aborigeni della foresta. Sento molte affinità tra i miei antenati e quelli di Keria. Oggi siamo giunti a un punto in cui la società deve mettere in discussione i propri valori e rallentare per evitare di danneggiare la natura".
"Nella vita semplice dei indigeni ho ritrovato i miei nonni contadini"
Claude Barras non si è fatto troppi problemi. Per preparare la sua nuova fiaba in stop-motion ha fatto i bagagli e si è recato dall'altra parte del mondo per fare i sopralluoghi in Borneo e conoscere i nomadi Penan con l'aiuto di un'attivista svizzero che vive lì da anni e ha perfino una taglia sulla sua testa voluta dal governo malese. "Essendo di origine contadina, mi sento molto vicino ai miei personaggi. Ciò che consumiamo qui ha impatto sull'altro lato del mondo" dice Barras. "I miei film d'animazione sono radicati nella realtà. Penso ai miei figli e al futuro della Terra, perciò mi sono documentato con attenzione sull'industria alimentale e sulla popolazione Penan. Il viaggio nella foresta mi ha fatto sentire a casa, in questa vita semplice e tranquilla ho ritrovato i miei nonni".
I Penan hanno contribuito attivamente alla realizzazione di Savages, rendendo Claude Barras consapevole della loro cultura, aiutandolo a costruire oggetti e ambienti, condividendo i loro antichi canti, alcuni dei quali presenti nel film. Come spiega il regista: "Quando si spostano, lasciano dei segni sugli alberi o nell'ambiente, ma come si vede nel film oggi fanno uso anche della tecnologia. Se c'è la rete si telefonano o comunicato tramite walkie talkie. Adesso usano anche dei droni per sorvegliare il territorio. Oggi più che mai dobbiamo prestare attenzione a questi popoli che vivono in modo naturale".
Film per bambini o per adulti?
La storia di Savages non "risparmia" temi come il sacrificio, i problemi familiari e la morte. Al riguardo Claude Barras specifica di non porsi il problema se i suoi film siano per adulti o bambini. "Il mio film non dà delle risposte, ma pone quesiti che trovo importante affrontare" chiarisce. "Può essere fruibile a vari livelli. Ognuno troverà qualcosa di diverso a cui appassionarsi. Tutte le fiabe hanno un lato oscuro, toccano temi come la la sofferenza e la morte. Sappiamo che i bambini fanno delle domande a cui non abbiamo voglia di rispondere, ma dobbiamo trovare delle risposte. Educare significa essere chiari e semplici, senza scioccare. Evitare il problema non serve".
La mia vita da zucchina, Claude Barras: "Il mio film deve molto a Tim Burton e Ken Loach"
L'ultimo ricordo del regista è per i Penan che hanno visto Savages. Una delegazione indigena si è perfino recata a Cannes per accompagnare il film che li ha lasciati "molto commossi. In Europa ci sono dei Penan. Ho avuto la fortuna di lavorare con una ragazza indigena che mi ha dato una mano. Per loro era importante fare un film con uno svizzero, sperano che lo vedano in molti".