L'eccesso è un amico fidato per ottenere dissenso, risata, riflessione e sofferenza. Creare la polemica è lo scopo di qualsiasi contenuto satirico, compreso il film Barbie.
Qualcuno tra gli spettatori non ha amato il film perché ha riscontrato una forma di critica eccessiva nei confronti di un atteggiamento preciso o perché si è sentito all'interno di una delle categorie criticate nel film. "Criticate" con ironia e con forza d'impatto, come solo la satira sa fare.
Il film è eccessivo, in tutto; soprattutto il linguaggio è stato molto contestato, incline alle didascalie e agli stereotipi. E all'utilizzo di etichette, tante etichette.
Tutto serve a creare rumore per farsi ascoltare a tutti i costi.
Persino la canzone di Ken, Push, diventa oggetto di polemiche. Una delle strofe, con toni romantici, afferma, letteralmente: " voglio maltrattarti e lo farò, lo farò, voglio buttarti giù e lo farò, voglio darti per scontata e lo farò".
E il pubblico si indigna e via con le proteste!
Eppure è tutto necessario per determinare il giusto contrasto. Il motivo per cui viene utilizzato l'eccesso per combattere l'eccesso è semplice: creare la tipica polemica che reagisce a un qualcosa di eclatante. È un film studiato dunque per essere popolare appositamente, per arrivare a tutti e creare il disagio in tutti. Nessuno escluso. Approvare tutti i messaggi legati al concetto di supremazia femminile è impossibile: è appositamente tutto esagerato e sproporzionato per creare contrasto con il patriarcato, ironizzato anch'esso. Tutto deve essere sbagliato, non solo quello che già riconosciamo eccessivo al mondo di oggi. Catcalling, molestie, maschilismo, sessismo elargito senza troppe remore, c'è di tutto in un film arricchito dal marciume di un mondo che conosciamo bene ma che non siamo abituati a vedere sul grande schermo, in un film ironico (e popolare, perdipiù!). Abbandonare il modo militante del cinema impegnato per messaggi simili è un modo per arrivare a tutti e non solo a chi è predisposto a voler ascoltare (perché quel target sta già cercando di cambiare il mondo a suo modo). Questo film invece vuole raccontare qualcosa che è alla portata di tutti perché è sotto gli occhi di tutti e sta al singolo individuo cogliere e accogliere i messaggi del film, dai più chiari ai più nascosti.
Ci sono briciole di orrore e disappunto disperse qua e là. Se le cogli, sei già dentro il tumultuoso sconvolgimento che Barbie crea proprio perché film popolare e diretto a tutti.
Don't look up e Barbie: lo stesso intento e la stessa amara risata
Che cos'è la satira? Un apostrofo rosa tra le parole "fa ridere" e "sono inorridito". E mai come stavolta l'apostrofo deve essere proprio di questo colore.
Barbie inorridisce e fa parlare di sé, ma è assolutamente normale: è satira. La satira lo ha sempre fatto. Basti pensare al controverso e chiacchierato film Don't look up, che ha scandalizzato tutti quelli che non lo avevano capito quando è stato valorizzato dalla critica e candidato a molti importanti premi. Tanti non sapevano se ridere o preoccuparsi davanti ad una fine del mondo annunciata ma mai trattata col giusto rispetto. Come reagire? Semplice: come si reagisce alla satira. Ridendo e riflettendo, senza farsi troppe domande su quale sia il genere del film ma, più che altro, su quale sia l'intento effettivo di ogni battuta.
Don't Look Up utilizza un linguaggio forte e deciso: i personaggi non sono idealizzati, provano a fingere e recitare all'interno di un contesto meta-spettacolare, in cui la TV e la comunicazione di massa diventano le vere nemiche di un dramma che avanza e che vuole essere nascosto: la voglia di splendere e sorridere sempre diventa un elemento di tossicità. L'apparenza da salvaguardare a tutti i costi diventa un prezzo enorme da pagare per l'intera umanità e porta anche i nostri personaggi, la dottoranda in astronomia Kate (Jennifer Lawrence) e il Dr Randall Mindy (Leonardo DiCaprio), a mettere in dubbio se stessi in modo diverso e a negare la loro stessa scoperta. Persino due menti scientifiche hanno dei dubbi sui loro desideri e sulle scelte da prendere. L'esasperazione porta all'assurdo, l' assurdo sostiene la critica, la critica si riferisce alla libertà di pensiero, alla lotta anche se tacita e sofferta, all'affermare le proprie idee e la propria identità, all'importanza della sostanza che abbiamo perso per dare più valore all'apparenza... insomma, non vi sembrano gli stessi valori del film Barbie?
Nella satira è infatti importante far ridere ma anche far riflettere, essere leggeri nell'utilizzare paragoni e linguaggi forti e, soprattutto, è fondamentale servirsi del sarcasmo, mettendo in risalto le caratteristiche di ogni situazione eccedendo, appunto. L'intento critico prevale sul probabile atteggiamento moralistico di chi ascolterà le varie analisi. Solo caricando personaggi e vicende di eccesso si può descrivere una situazione criticandola in maniera velata e mordace; allo stesso modo, solo con l'utilizzo di ulteriori definizioni ed etichette si può descrivere una opposizione necessaria a cogliere l'amara verità, ponendo un'alternativa violenta quanto la situazione iniziale, affermando quindi un contrasto altrettanto criticabile e ridicolo, in modo tale da rendere tutto equilibrato e caricaturale, escludendo la possibilità di offrire una reale "soluzione" al problema descritto. L'obiettivo è la riflessione e la risata, amara e a volte dolorosa. Un obiettivo che non si ottiene col solo utilizzo di ironia (e quindi col gioco della risata data dal contrasto), ma con un'analisi precisa e sentita. Sta al nostro sentire, poi, riuscire a dare una svolta alla propria vita e al proprio modo di pensare dopo la visione.
La satira in Barbie: non c'è giusto o sbagliato, solo critica
L'eccesso sa arrivare come un pugno bello assestato nello stomaco di tutti noi, di qualsiasi sesso o genere siamo. Il concetto di supremazia femminile diventa appositamente eccessivo per creare contrasto con il patriarcato: è l'eccesso che combatte l'eccesso. Persino il gioco sul diritto di voto degli uomini diventa un frustrante, ironico e satirico modo di ridere e riflettere perché in contrasto con le lotte femministe adoperate per il suffragio femminile nel mondo reale. Accenni storici, oltre agli stereotipi, da abbattere, dunque. Stereotipi che vengono abbattuti anche solo con qualche battuta inaspettata. Persino Ken prende in giro le convenzioni sugli uomini: "i mini frigo sono così piccoli!" e "quando ho scoperto che il patriarcato non riguardava i cavalli avevo già perso interesse!"
Will Ferrel e la Mattel sono il goffo esempio di mascolinità radicata con convinzioni tossiche riguardo la figura femminile e, sì, anche le figure maschili senza potere. Quando Barbie si accorge dell'assenza di donne all'interno dell'amministrazione, Aaron candidamente si esprime con la consapevolezza di essere inferiore, senza alcuna remora a riguardo, ricordandoci un Ken che ha paura a rendersi conto di avere un valore, abituato a non valere nulla. Ma quello che dice è orrendo e geniale allo stesso tempo. Cercando di "portare acqua al mulino della Mattel", Aaron, segretario bistrattato e schiavizzato, pronuncia una frase guardando tutti dal basso, dato che gli altri "uomini di potere" non lo hanno nemmeno fatto alzare: "Io sono un uomo senza potere, questo fa di me una donna?" frase approfondita nella visione degli uomini che il film Barbie ha.
Quanto fa male questa satira.
Come la Warner Bros assicura in uno dei trailer del film: se si odia Barbie, questo è il film perfetto da vedere. Se si ama Barbie, questo è il film perfetto da vedere? Quali sono quindi le intenzioni di chi lavora ad un film come Barbie? Smuovere gli animi. Lavorare su quelle che sono le probabili e potenziali reazioni del pubblico davanti allo schermo. Giocare proprio con lo scetticismo, lo stupore, il disappunto, il sostegno, e il dolore di chi è in sala; non si spera soltanto nella risata o nella approvazione, ma anche nella voglia di rivoluzionare il film con gli occhi di chi non sopporta quello che vede. Dopo essersi alzati dalle comode sedie della sala, è impossibile non esprimersi sul film in questione: non si può restare indifferenti. Lo si può odiare, lo si può amare, lo si può trovare troppo superficiale o troppo intenso, si può fare riferimento agli stereotipi o alle critiche, ma di certo non si può fare spallucce una volta usciti dal cinema. Chi ha amato il film ne parlerà, chi non l'ha gradito ne parlerà (e a quel punto il potere del dissenso farà il resto, che sia dovuto alle critiche colte o alla superficialità riscontrata).
Barbie, le opinioni della redazione
L'equilibrio tra maschi e femmine: e tutti gli altri?
Già solo il fatto che ci si debba riconoscere forzatamente soltanto in uno dei due generi è segno di limite, che deve creare giustamente dissenso: fluidità e identità nella massima forma di espressione personale sono i valori alla base della crescita sociale e culturale che facciamo quotidianamente. Non notate quindi quanto ci sia già satira ed ironia in questo?
Torniamo alla forte scena in cui Barbie prova a conoscere meglio l'amministrazione della Mattel e, basita, esclama: "Non c'è nessuna donna al comando?" Il CEO della Mattel balbetta cercando tra i ricordi qualche figura femminile tra le autorità avute in precedenza, per poi iniziare uno sconclusionato elenco di legami fintamente solidi con le donne, che parte dal "ognuno di questi uomini ama le donne" (risulto troppo cattiva se lo vedo come un'ulteriore forma di discriminazione visto la battuta razziale a fine monologo?) fino ad appropriarsi di frasi appartenenti storicamente alle scene epiche nei film, a cui sono relegate le donne di potere, sempre fiere di essere anche madri, figlie obbedienti o eroine in gonnella. Esplode in un ilare "Sono il figlio di una madre, sono la madre di un figlio... beh, il nipote di una zia donna!". Niente di più geniale per descrivere al meglio la falsità e l'imbarazzo di chi risponde in maniera saccente alle osservazioni riguardanti la disparità tra i sessi in ambito lavorativo: utilizzare frasi preimpostate spesso distribuite senza una piena coscienza del loro significato. Per rafforzare il poco valore delle parole vuote appena pronunciate, il CEO della Mattel "e la sua banda" dimostrano poco dopo di essere dotati di ben poca intelligenza, complicando un inseguimento (anche piuttosto facile) all'interno della loro stessa azienda. Ironici loro, ironico l'inseguimento e ancora più ironico il fallimento di esso.
Anche il modo in cui Barbie scappa è iconico: non può dichiarare le sue vere intenzioni, ha le "mani legate" in tutti i sensi e la stanno mettendo in una scatola dove rimanere eternamente in una condizione di sorriso finto perenne. Sorride e con una scusa si dilegua: non può dire la verità, non può lottare da sola contro la maggioranza, in quel momento fatta da uomini misogini che vogliono spegnere la sua voce. Ogni scena racchiude quindi più di un significato unico.
Ognuno è una vittima ma... il rosa libera tutti!
"Ken non ha mai destato preoccupazioni. Mai" Queste le parole di Will Ferrel che interpreta il CEO della Mattel e non ha dubbi a riguardo: Ken è per lui un personaggio secondario, in tutti i sensi. Sono tante le volte in cui Ken somiglia a Bridget Jones, alla donna sedotta e abbandonata, alla figura femminile che si strugge in maniera patetica, alla principessa Disney che si esprime con il canto e piange di nascosto. Ma sono anche tante le volte in cui si ironizza sul fatto che Ken pensi che basti essere un uomo per essere qualcuno. Indossa una pelliccia per tutto il film dopo averla vista addosso ad un uomo di potere all'uscita di una banca, identifica l'essere uomo con i cavalli e i mini frigo e si convince che basti essere un uomo per essere qualcuno o ricoprire qualche ruolo di valore... insomma, è una narrazione molto ironica del cercare se stessi senza strumenti, non trovate? È indicativo di ciò la conversazione che ha con un dirigente d'azienda, a cui Ken chiede un lavoro di alto livello ben pagato ed influente, certo che basti essere uomo; davanti al diniego dell'uomo d'affari, si lamenta perché pensa che sia l'esempio che il patriarcato non viene più applicato bene. La risposta è disarmante: "no, lo applichiamo bene solo che lo nascondiamo meglio."
L'eccesso serve anche a raccontare quanto sia sbagliato applicare qualcosa che non si conosce, come il patriarcato nel caso di Ken, e ad evidenziare quanto sia sbagliato strumentalizzare determinate parole e determinate idee per fare qualcosa che, senza basi e senza conoscenze, diventa pericoloso, come quello che Ken fa nel film portando il patriarcato in Barbieland con pochi strumenti e senza coscienza. Padronanza, conoscenza e consapevolezza servono a riconoscersi in qualsiasi ruolo all'interno del film, proprio come nella vita. Quando Sasha chiede quale sia il finale di Barbie, il Ceo della Mattel risponde in maniera stereotipata che la sua sorte è quella di stare con Ken perché ne è innamorata. Niente di più classico. D'altronde, generalmente, come altro finiscono i film al femminile con protagoniste ragazze che amano e vogliono solo essere amate, se non con un lieto fine in cui le donne riversano tutte le loro attenzioni su un uomo che dichiara il suo amore e che odora di relazione appagante soltanto perché ha avuto il coraggio di esprimete la propria sensibilità (tabu talmente enorme nel mondo maschile che diventa un pregio poter essere umani)?
Donne, uomini, chiunque si riveda in altri generi, bambini, adulti, professionisti e studenti, tutti sono messi sotto torchio in questo film, che non salva nessuno dei personaggi per poter salvare tutti gli spettatori. Con una critica che diventa un insegnamento, senza morale aggiunta. Non c'è un genere sessuale sotto la magistrale coltre della satira, c'è solo un colore che libera tutti dal peso delle etichette e delle sovrastrutture (che, sì, attribuiamo anche ai colori, come se fossero indicativi di intenzioni precise e modalità di espressione, quando risultano piacevoli forme di abbellimento soggettivo). Niente di personale, soltanto generalizzazione che possa servire alla riflessione individuale. Risulta necessario rivedere il film e guardarlo con nuovi occhi, quelli che hanno già letto questo articolo e sono pronti alla satira del film, che si basa su un concetto fondamentale: nessun cattivo, tutti vittime. Quindi, cosa aspetti? Riguarda il film, parlane con noi di Movieplayer e... Passa al lato rosa!