Era una delle categorie con minor suspense di questa 68° edizione degli Emmy; una di quelle sfide in cui tutti, ma proprio tutti i pronostici indicavano un unico esito possibile. Ciò nonostante, la vittoria di Sarah Paulson come miglior attrice protagonista di film o miniserie è stata comunque uno dei momenti clou della cerimonia di domenica notte, con un'autentica ovazione da parte del pubblico in sala.
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La Paulson, arrivata a un totale di sei candidature, ha finalmente conquistato un meritatissimo Emmy Award grazie al suo ritratto di Marcia Clark, il pubblico ministero impegnato nel processo contro O.J. Simpson, nella prima stagione di American Crime Story, che si è aggiudicata un totale di nove statuette, inclusa quella come miglior miniserie. Ma prima di spiegare perché il trofeo a Sarah Paulson era assolutamente obbligato, facciamo qualche passo indietro e raccontiamo chi è questa affascinante quarantunenne diventata, nell'arco di qualche anno, la miglior attrice della TV americana.
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Dall'horror ad Aaron Sorkin: primi passi fra cinema e TV
Nata in Florida ma cresciuta a New York in seguito al divorzio dei genitori, Sarah Paulson inizia a muovere i primi passi nel mondo della recitazione professionale oltre vent'anni fa: il suo primo credit, datato 1994, è come guest star in un episodio di Law & Order - I due volti della giustizia, ma solo un anno dopo arriva un ingaggio più 'sostanzioso' nella serie TV American Gothic. Le atmosfere horror, evidentemente, si addicono alla Paulson, che in American Gothic interpreta lo spettro di una ragazza assassinata; la serie tuttavia è un flop e viene chiusa dopo solo una stagione. Maggior fortuna (ovvero due anni di programmazione) toccherà fra il 1999 e il 2001 al dramedy Jack & Jill, di cui è comprimaria, mentre la sit-com di cui è protagonista nel 2002 sulla NBC, Leap of Faith, arriva ad appena sei episodi (nonostante una media di sedici milioni di spettatori). Per il resto, nel suo curriculum figurano apparizioni da guest star in serie come I Soprano e Nip/Tuck, un recurring role nella seconda stagione di Deadwood, nel 2005, e qualche parte secondaria in film quali Un amore speciale con Diane Keaton (1999), What Women Want con Mel Gibson (2000) e Abbasso l'amore con Renée Zellweger (2003).
La vera svolta avviene nel 2006, grazie a quel genio della drammaturgia di nome Aaron Sorkin, già creatore per la TV del blasonatissimo The West Wing: Sarah Paulson viene scelta infatti nel cast della nuova serie firmata da Sorkin, Studio 60 on the Sunset Strip, ironica messa in scena del dietro le quinte di un varietà televisivo. A dispetto delle recensioni positive, gli ascolti calano rapidamente (dai tredici milioni del pilota ai quattro milioni del season finale) e la NBC non rinnova la serie di Sorkin; in compenso, la Paulson cattura l'attenzione per la parte di Harriet Hayes, star del fittizio show Studio 60, guadagnandosi la sua prima nomination al Golden Globe. Se Sorkin offre all'attrice un ottimo trampolino di lancio, nel 2009 la nuova serie di cui è protagonista, Cupid, nei panni della psichiatra Claire McCrae accanto al moderno Cupido interpretato da Bobby Cannavale, è un sonoro fiasco e viene troncata dalla ABC dopo sette puntate. Non va meglio in campo cinematografico, dove nel 2008 l'attrice partecipa a The Spirit di Frank Miller, ovvero uno dei più disastrosi cinecomic del decennio.
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La nuova American Horror Star
Se c'è una persona che, molto più di Aaron Sorkin, ha contribuito a far spiccare il volo alla carriera di Sarah Paulson, questi è uno dei Re Mida della TV USA, Ryan Murphy, l'uomo al quale non a caso la Paulson ha dedicato la propria vittoria domenica notte, con parole piene di gratitudine. Molti anni dopo la sua comparsata in una delle serie realizzate da Murphy, Nip/Tuck, nel 2011 la Paulson viene scritturata infatti in una nuova serie antologica creata da Murphy e trasmessa dalla FX, dal titolo emblematico American Horror Story. L'attrice recita soltanto in tre episodi nei panni di Billie Dean Howard, una medium convocata per comunicare con gli spettri nella casa infestata degli Harmon: un ruolo limitato a pochissime scene, ma quanto basta a convincere Murphy delle potenzialità ancora inespresse di Sarah Paulson. E così un anno più tardi, per la seconda stagione di American Horror Story, la Paulson viene promossa nel main cast e Ryan Murphy scrive per lei un personaggio memorabile: Lana Winters, coraggiosa giornalista alle prese con i misteri del manicomio di Briarcliff.
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In Asylum, angoscioso capolavoro e vertice mai più eguagliato nella storia della serie, l'attrice si cimenta faccia a faccia con la spietata suor Jude Martin di una formidabile Jessica Lange e con l'ambiguo dottor Oliver Thredson di Zachary Quinto. Sarah Paulson esprime con intensità sorprendente la determinazione, le paure e l'ambizione di Lana, che non arretra di fronte ad alcun ostacolo pur di scoprire la verità sul serial killer Bloody Face e, nell'America bigotta degli anni Sessanta, deve nascondere la propria omosessualità (la Paulson, al contrario, è apertamente bisessuale e da un anno fa coppia con la collega Holland Taylor). Grazie a una performance da antologia, nel 2013 la Paulson si aggiudica il Critics' Choice Award e riceve la nomination all'Emmy come miglior attrice supporter per Asylum; un anno prima era già stata candidata all'Emmy nella stessa categoria per la parte di Nicolle Wallace, responsabile della comunicazione per la candidata repubblicana alla Vice-Presidenza Sarah Palin (una mimetica Julianne Moore) nell'apprezzato TV movie della HBO Game Change.
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Il cinema: una comprimaria da Oscar
Contemporaneamente alla consacrazione con American Horror Story, Sarah Paulson rilancia anche la propria carriera cinematografica, con più fortuna rispetto al decennio precedente: una maggior cura nelle selezione dei progetti le permette così di recitare in pellicole indipendenti lodatissime dalla critica (e accolte da un buon responso di pubblico) come La fuga di Martha (2011), inquietante paranoia movie di Sean Durkin, Mud di Jeff Nichols (2012) ma soprattutto 12 anni schiavo di Steve McQueen (2013), accolto con gigantesco entusiasmo e ricompensato con l'Oscar come miglior film. In 12 anni schiavo, cronaca del reale calvario di Solomon Northup nella Louisiana di metà Ottocento, la Paulson presta il volto a Mary Epps, moglie del sadico latifondista Edwin Epps (Michael Fassbender), senza restare confinata nei contorni di una semplice villainess: pur avendo a disposizione solo poche sequenze, la Paulson riesce a suggerire il groviglio di sentimenti - la gelosia, il risentimento rovesciato in rabbia - di questa moglie tradita e intimorita all'idea di perdere le attenzioni del marito.
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E a conferma che non esistono 'piccoli' ruoli per i grandi attori, a Sarah Paulson bastano una manciata di minuti e di battute, nello splendido melodramma Carol di Todd Haynes (2015), per definire un personaggio come Abby Gerhard, ex amante e fedele amica della Carol Aird di Cate Blanchett. Tra un mese l'attrice sarà protagonista della commedia romantica Blue Jay, al fianco di Mark Duplass, mentre l'anno prossimo interpreterà l'agente letteraria Dorothy Olding in Rebel in the Rye, film biografico sullo scrittore de Il giovane Holden J.D. Salinger (Nicholas Hoult); e benché manchi una conferma ufficiale, quasi certamente la vedremo pure in Ocean's Eight di Gary Ross, remake al femminile di Ocean's Eleven, in una squadra che già comprende Cate Blanchett, Sandra Bullock, Helena Bonham Carter e Anne Hathaway.
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Altre "storie americane": streghe, donne a due teste e un magistrato da Emmy
Nel frattempo, sul piccolo schermo, Sarah Paulson ha continuato a stupirci con le sue interpretazioni in American Horror Story, sempre varie e intriganti. Nel 2013 ha vestito i panni di Cordelia Foxx, preside dell'accademia di streghe di New Orleans in Coven, sottoposta a un perenne confronto con la dispotica madre Fiona Goode (Jessica Lange): un ruolo che le è valso la nomination all'Emmy come miglior attrice (la statuetta è stata attribuita alla sua comprimaria Jessica Lange). Le due stagioni successive della serie, a dispetto di una qualità in calando, hanno trovato comunque nella Paulson una delle loro armi vincenti, tanto da valerle altre due candidature all'Emmy come miglior attrice supporter: in Freak Show si è cimentata in un difficile doppio ruolo, quello delle gemelle siamesi Bette e Dot Tattler, due teste - e due anime differenti - su un unico corpo, imprigionate in una convivenza quasi impossibile; e in Hotel ha dato mostra di un inedito lato vamp e sinistro nella parte di Sally McKenna, spettro tossicomane intrappolato nell'albergo del titolo.
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Subito dopo, a partire dal febbraio 2016, Sarah Paulson ci ha lasciato ammirati, invece, con il suo miglior ruolo dai tempi di Lana Winters: quello di Marcia Clark, il pubblico ministero che tra il 1994 e il 1995 guidò l'accusa contro O.J. Simpson in uno dei casi giudiziari più clamorosi e discussi degli ultimi trent'anni. Co-prodotto sempre da Ryan Murphy, The People v. O.J. Simpson, primo capitolo di American Crime Story, è stato il fenomeno televisivo di quest'anno; e in una prova carica di gravitas, la Paulson ha restituito sia la fermezza e la forza d'animo di Marcia Clark, sia le insicurezze e le fragilità di una donna costretta a sopportare una pressione mediatica non richiesta, subendo sulla propria pelle i "danni collaterali" del processo. E l'Emmy Award come miglior attrice (a cui speriamo seguiranno a breve altri trofei) è la certificazione di un talento cristallino, in grado, se messo al servizio di un buon copione, di strappare l'applauso: si veda, a titolo di esempio, la spettacolare performance della Paulson nell'episodio Marcia, Marcia, Marcia, quando la 'corazza' del magistrato si incrina in una struggente crisi personale.
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Un ritorno all'orrore, aspettando Feud
Mercoledì scorso, pochi giorni prima della vittoria agli Emmy, Sarah Paulson è tornata in prima linea in TV con la sesta stagione di American Horror Story, intitolata Roanoke: a giudicare dalla première, una rivisitazione del tema della "casa infestata", ispirata in parte alla leggenda dei coloni di Roanoke, nel North Carolina, ma costruita con la struttura di una sorta di docu-film, in cui delle finte interviste sono inframmezzate ad un reenactment di questa macabra vicenda, fra losche presenze soprannaturali e agghiaccianti segreti celati nelle tenebre del bosco. La Paulson interpreta Shelby Miller, moglie di Matt (Cuba Gooding Jr) e nuova proprietaria dell'antica dimora di campagna in cui si verificano spaventosi fenomeni: un ruolo di primissimo piano per una stagione che, ci si augura, possa porre rimedio ai passi falsi degli ultimi due anni.
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Ma per i prossimi mesi, prepariamoci a goderci la nostra attrice televisiva preferita anche in un altro progetto targato Ryan Murphy, e decisamente promettente: Feud, ennesima serie antologica della FX, la cui prima stagione sarà incentrata sulla storica rivalità fra due delle massime dive della Hollywood classica, Bette Davis e Joan Crawford. Jessica Lange e Susan Sarandon si caleranno rispettivamente nei ruoli della Crawford e della Davis sul set del cult del 1962 Che fine ha fatto Baby Jane?, che le vide per l'unica volta fare coppia in un film, mentre alla Paulson è affidata la parte di un'altra indimenticabile attrice dell'epoca, Geraldine Page. Insomma, una miniserie che, se tutto andrà come previsto, potrebbe davvero fare scintille (o quantomeno rivelarsi l'imperdibile guilty pleasure del 2017)... e magari, da qui a un anno, riportare la Paulson in lizza agli Emmy!