Non smette di osare, Marco Bellocchio, e questa è una cosa che non possiamo non apprezzare anche per il candore con cui ammette di non avere la minima intenzione di seguire le "regole". Sangue del mio sangue non sarà una delle opere migliori del nostro, ma è un film vitalissimo e ipnotico con sequenze splendide e almeno un paio di dialoghi memorabili.
Tra i protagonisti del film c'è Pier Giorgio Bellocchio, l'altra figlia del regista, Elena, ha un ruolo piccolo ma cruciale, e gli attori sono quasi tutti, in primis il grande Roberto Herlitzka, collaboratori "seriali" del cineasta di Bobbio; e qui al Lido non può che esserci un'atmosfera familiare anche in sala conferenze. Il risultato è una lunga e interessante conversazione su un film che, in fondo, è piaciuto anche a chi dà l'idea di non essere del tutto convinto da questa storia sospesa tra due epoche.
Ritorno a Bobbio
L'idea di fare Sangue del mio sangue è derivata da una scoperta particolare, vero?
Marco Bellocchio: Sì. Come saprete, ogni anno sono a Bobbio per realizzare un cortometraggio - anche se negli ultimi anni sono stato sostituito in questo compi da illustri colleghi, quest'anno ad esempio c'è stato Daniele Ciprì. Siccome sono opere praticamente senza budget, siamo sempre alla ricerca di nuovi ambienti per queste storie. Sei anni fa mi è stato suggerito questo posto, le prigioni abbandonate del convento di San Colombano per ambientare questa storia ispirata alla Monaca di Monza manzoniana.
La Monaca di Monza fu condannata a una sentenza simile a quella di Benedetta nel fim, che viene murata viva e, dopo molti anni, questo vecchio cardinale ritiene che sia pentita e la fa liberare. Questa è stata l'dea alla base del film ed è anche la conclusione.
Anni dopo mi è venuto in mente di raccontare come fosse finita a quel punto, e poi questa idea di raccontare anche una storia ambientata nel presente ma legata a quelle stesse prigioni: quella dell'ultimo vampiro, che poi è il conte interpretato da Roberto Herlitzka. Un'allusione a un vampirismo ambientale, paesano che in qualche modo è un apologo dell'Italia di oggi.
Vampiri come noi
Nel film c'è una scena capolavoro, il duetto tra Herlitzka e Toni Bertorelli. Cosa vi ha ispirato in quella scena? Come è stata realizzata?
Roberto Herlitzka: Credo di poter parlare anche per Bertorelli se dico che noi, come attori, abbiamo fatto solo una cosa, abbiamo cercato di dare il meglio che potevano nell'interpretare il copione. Quando la scrittura è buona all'attore spetta solo il compito di dare a propria interpretazione, non serve altro.
Marco Bellocchio: La scena era un po' più lunga, abbiamo tagliato quache battuta in fase di montaggio. Era più forte l'enfasi contro la comunicazione delle generazioni più giovani. Ora, io non ci vado nemmeno su Facebook... ma il fatto di parlarsi attraverso questi apparecchi... "La sincerità, l'onestà... cazzate". Come se la totale sincerità fosse una cosa positiva.
Herlitzka si è ispirato a qualche illustre predecessore per questo ruolo?
Roberto Herlitzka: No, non mi sono ispirato a Vincent Price e compagnia, ma solamente alla sceneggiatura, che mi ha incantato dal primo momento. Tutti noi, in fondo, abbiamo un "vampiro interiore", e io non ho fatto altro che andare in cerca del mio, che alla fine è anche abbastanza innocuo. Credo che muoia per riscattare la bellezza... ed è un'interpretazione mia, non suggerita da Bellocchio!
Marco Bellocchio in quali riflessioni si ritrova di più, quelle del conte o quelle del dentista?
Marco Bellocchio: Per età, direi un po' tutte e due. Il punto della storia del conte è la realizzazione della fine del "dominio vampiresco" sul paese, ma anche della sua mortalità: "Non siamo eterni", dice. In maniera tragica, il colpo finale glielo dà l'incontro con Elena, mia figlia, che gli fa capire che la sua vicenda è giunta a conclusione. Ora io un po' me ne discosto, perché intendo continuare a vivere ancora per un po', e penso che Roberto Herlitzka abbia gli stessi sentimenti!
Nel finale la morte del conte ricorda un po' quella di Aldo Moro in Buongiorno, notte.
Ecco, io non ci avevo neppure pensato. A volte i critici sono utili anche perché hanno intuizioni che arricchiscono l'esperienza del film che hai fatto. Io in questo caso non volevo cercare una perfetta architettura drammaturgica, l'imprecisione, la libertà sono un po' lo spirito di questo film. La connessione tra le due epoche, per me, è data da fatto che al dominio della Chiesa Cattolica nel diciassettesimo secolo corriponde secoli dopo il dominio locale della Democrazia Cristiana, che per molti versi porta sicurezza, benessere, ma succhia il sangue a ogni possibilità di cambiamento. Ma sta a voi fare queste connessioni...
Il personaggio di Benedetta è vittima dei suoi aguzzini ma quando viene liberata ne sono tutti sbaragliati. Per lei questo significa che ad avere davvero la forza è chi è inerme?
Certamente è una donna che ha una straordinaria forza e libertà interiore. Il fatto che emerga ancora più bella e intatta dopo tanti anni di supplizio è un'immagine metaforica della libertà, una bella libertà.
La parola agli interpreti
Pier Giorgio Bellocchio, come si è avvicinato a questo doppio ruolo e così tormentato, e in particolare al rapporto con le due sorelle Perletti?
Pier Giorgio Bellocchio: In realtà i ruoli sono tre, anche se si tratta sempre d Federico Mai, e come dici tu sono personaggi irrequieti, che non trovano il loro posto nel mondo e nella società ma anche in un senso più intimo. Il Federico del Seicento ha in comune con gli altri il fatto di dimostrare chi è più con i fatti che con le parole, e così succede con le due sorelle interpretate da Alba Rohrwacher e Federica Fracassi; quelle scene sono state anche piuttosto difficifsenzoli da girare, silenziose, intime e nella stanza buia. Con Benedetta non sa decidersi, non vuole fuggire con lei ma non vuole che muoia, alla fine trova un compromesso che gli permette di lasciarla in vita e alleggerirsi la coscienza ma la cosa alla fine gli si ritorce contro. In un certo senso questa cartterizzazione si trasfonde anche nel Federico del presente, anche lui alle prese con il suo senso di inadeguatezza, e anche lui incapace di combinare alcunché, alla fine si prende questo contentino ma non ha affatto trovato la sua strada.
Alba Rohrwacher e Lidiya Liberman, cosa volete dirci dei vostri ruoli?
Alba Rohrwacher: Ho trovato interessante il fatto che Maria Perletti viva in funzione di Marta Perletti ed è stato molto bello costruire questo rapporto con Francesca Fracassi. Nel rapporto con Federico si trovano alle prese con una passione inaspettata che non sanno gestire se non insieme, è stato molto interessante interpretate questo personaggio a "due teste" ma con un unico cuore che batte all'unisono. Tornare a lavorare con Marco Bellocchio è stato una gioia come sempre.
Lidiya Liberman: Sei anni fa avevamo girato questo cortometraggio, in cui interpretavo la Monaca di Monza. Anni dopo ho scoperto che non era la Monaca di Monza ma un'altra storia, e un persoanggio con questa incredibile libertà interiore che miracolosamente si sonserva a sé stessa e lotta per il diritto di essere libera, come in fondo dobbiamo fare tutte noi. Come Alba mi sento molto fortunata ad essere tornata a lavorare, per la terza volta, con Marco Bellocchio.