Il cielo e l'immondizia, a metà tra il centro e l'altrove. Terra di confine, ultima frontiera. Più su, seguendo il volteggiare dei gabbiani, quando prima di sera il cielo si fa arancione, illuminando di santità il granitico marmo di un rifugio senza regole. È lì, nel cuore di Roma, che svetta la Stazione Termini, nel quale i registi (una troupe ridotta all'osso, quasi giornalistica), Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes, si sono immersi per due anni, realizzando, un po' per caso e un po' per destino, lo splendido San Damiano. Film, documentario, opera ibrida. Narrativa reale, senza dubbio, ma anche prospetto empatico, quasi magico nel suo tono mai pietistico ma anzi pulsante.
Un film, appunto, "nato da un incontro fortuito", come sottolinea l'intro. Un incontro che, a guardar bene, è stato la scintilla per generare un racconto istintivo capace di cogliere l'attimo, e per questo si rivela reale e spietato. L'osservazione di un mondo capovolto che, come cantava Lucio Dalla, "avrebbe bisogno di carezze", diventa cinema umano, sociale, politico. Un'opera che sfrutta letteralmente il caso, rivelandosi mezzo in grado di dare volto ed identità a quell'umanità incastrata ai margini, ignorata e schifata, eppure così autentica e così vivida (ma anche necessariamente respingente, storta, incattivita).
San Damiano, i poveri diavoli della stazione Termini
Un'ora e mezza in cui Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes, macchina a mano e, all'occorrenza, ausilio dello smartphone, seguono un polacco di trentacinque anni, Damian, arrivato a Roma con il sogno impossibile di fare il cantante. Damian lo dice subito: lui non è un barbone, mica vive per strada. Sì è rifugiato in alto, in uno dei bastioni delle Mura Aureliane, quel lungo serpente che divide San Lorenzo da Termini. Una casa millenaria, dice, la fortificazione di una difesa che resiste al tempo.
Sotto, l'andirivieni dei pendolari, il nervosismo di una stazione che sembra il cosmo perfetto, nel quale santi e peccatori, come possono, tentano di sopravvivere, di andare avanti. Una stazione simbolo di una società spaccata: l'omologazione dei grandi marchi, il capitalismo, le multinazionali; fuori un far west disperato, crogiolo di vita e di morte. Damian è il centro del film, ma attorno a lui ci sono altri personaggi in grado di dare maggior colore e maggior movimento: c'è Sofia, c'è Alessio, e poi c'è Costantino, Christopher, Dorota, Vincent, Felice. Razze, etnie, storie diverse che si incontrano, per un attimo, prima di sparire.
Un documentario crudo, e bellissimo
Dall'uso della musica (firmata da Damiano Colosimo, ma riempita anche di brani non originali particolarmente efficaci, da Nek a Coez fino a Edoardo Bennato) ai colori (curata dallo stesso Sassoli), dal tono ai flussi, crudi ed estremi, San Damiano non sbaglia un colpo, e anzi diventa quasi una preziosa testimonianza. Un'opera sul tempo, retaggio di una società fintamente civilizzata, e un'opera sulla consapevolezza, che ci porta accanto a ciò che non vorremmo vedere. Sentiamo l'odore avvinazzato di un Tavernello scolato alla goccia, sentiamo l'odore di urina, che macchia i marciapiedi della città eterna. Sentiamo i brividi di Damian, la sua irrefrenabile e a volte pericolante (e pericolosa) adrenalina, ben poco adatta alla strada, nonostante la strada sia il suo unico riparo da un passato terrificante.
Terrificante, come il percorso scelto dai registi, che non si tirano indietro, proseguendo dritti verso un compimento, nel quale - inaspettatamente - finiamo per legare con quei poveri diavoli, accorgendoci finalmente di cosa voglia dire, davvero, essere disperati. Tuttavia, la disperazione non cede mai al vittimismo, tanto è forte la loro dignità. Per questo, San Damiano, nell'anno del Giubileo 2025, ha tutt'altro sapore, graffiando quanto basta, scoperchiando le ipocrisie di una società e di una religione votate alla banalità e al conformismo: un Giubileo per i ricchi e non per i poveri. Quei poveri che diventano ancora più poveri, più ghettizzati, sviliti, emarginati. Quei poveri che fanno paura, che hanno scelto l'inferno per non morire. Capaci però di ridere, di piangere, di sognare, di innamorarsi. San Damiano, il fischio di un treno, un piccione per amico. Anche all'inferno può esserci il paradiso.
Conclusioni
San Damiano, l'altro lato di Roma. Oltre la Stazione Termini, ai confini di un mondo sporco, e poco incline alla bellezza. Un gruppo di uomini e donne, e un documentario che segue il flusso libero verso uno schema narrativo istintivo ed esplosivo. Grande cinema, grande messa in scena, e rilevanza sociale nell'anno del Giubileo. Un Giubileo per i ricchi, e non per i poveri.
Perché ci piace
- Le scelte compiute dai registi.
- L'utilizzo della musica.
- L'intento.
- Il paesaggio che diventa personaggio.
Cosa non va
- Non un documentario per tutti. Ma non è un lato negativo.