Samad, la recensione: L'inferno carcerario e le seconde generazioni

La recensione di Samad, l'opera prima con cui Marco Santarelli racconta il microcosmo delle seconde generazioni nel nostro paese tra carcere e voglia di riscatto.

Samad, la recensione: L'inferno carcerario e le seconde generazioni

La radicalizzazione in carcere, il cortocircuito delle seconde generazioni di immigrati del nostro paese, un conflitto dal sapore quasi shakespeariano che al suo esordio al lungometraggio di finzione Marco Santarelli decide di raccontare attraverso il filtro del dramma carcerario. Samad, in sala dal 13 maggio, ripercorre, offrendone una sintesi, le esperienze passate del regista e i temi che attraversano i suoi lavori precedenti, tutti documentari come Milleunanotte, Dustur (Costituzione), I Nostri, Scuola media, che esplorano microcosmi e temi diversi: quello della scuola nella periferia industriale di Taranto, la tossicodipendenza, le condizioni di vita dei detenuti stranieri nelle carceri italiane o il variegato mondo delle comunità religiose italiane. I suoi sono sempre stati viaggi d'osservazione e anche in Samad non viene meno a questo principio: indagare il reale per comprenderne meglio le sfumature e andare oltre la superficie di quello che nella maggior parte dei casi l'immaginario collettivo tende a stigmatizzare.

La storia: un dramma carcerario

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Una scena del film Samad

La storia si concentra su Samad, il nome del protagonista che dà il titolo al film. Samad è un ragazzo marocchino di seconda generazione, sua madre era cristiana ed è morta mentre lui era in carcere, il padre era musulmano; il suo conto con la giustizia lo ha già pagato, ora è tornato libero, ha un lavoro come giardiniere, ha cominciato a leggere la Bibbia e vive insieme a sua sorella Fatima, una giovane donna musulmana, madre di una bambina. Per Samad è l'inizio di una nuova vita, resa possibile grazie a Padre Agostino, amico e mentore, che si occupa dei detenuti musulmani in carcere. Gli errori e gli inciampi del passato sembrano ormai lontani, almeno fino a quando Padre Agostino non lo invita in carcere perché possa raccontare la nuova vita da uomo libero ed essere un esempio per i suoi compagni.

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Il cast in una scena del film

Ma è la giornata sbagliata: una rissa fa esplodere la rabbia e il risentimento dei detenuti, che decidono di barricarsi nella biblioteca del carcere. Samad si troverà nel bel mezzo di una rivolta e a dover scegliere da che parte stare: musulmano o cristiano, complice oppure ostaggio?

Seconde generazioni, tra senso di colpa e un destino già segnato

Il film offre uno spaccato interessante sulle seconde generazioni arabe nel nostro paese, ne racconta la difficile ricerca di un'identità in territori spesso ostili; un viaggio che porterà lo spettatore dietro le sbarre nella variegata galassia dei detenuti stranieri. Il libero arbitrio, l'apostasia, la religione, la radicalizzazione in carcere: dentro c'è tutto questo ma anche il tormento di un protagonista pieno di strappi, non ultimo quello che lo mette nella condizione di dover scegliere tra il tradimento dei suoi ex compagni e la sua personalissima ricerca della libertà. Come spiega lo stessa regista, Samad nasce durante le riprese di Dustur (Costituzione) e l'idea è arrivata "filmando ore e ore d'incontri tra un volontario di fede cattolica e un gruppo di detenuti musulmani, su temi legati ai principi della Costituzione italiana e delle Costituzioni arabe".

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Mehdi Meskar in una scena di Samad

Buona l'idea di un cast formato per la maggior parte da attori non professionisti, ragazzi che Santarelli ha conosciuto nei suoi precedenti lavori girati in carcere e giovani artisti marocchini del collettivo bolognese Cantieri Meticci; uno dei pochi attori professionisti è il protagonista del film, Mehdi Meskar. Un'opera prima densa di spunti di riflessioni, ma che paga spesso lo scotto di una mancanza di credibilità nei dialoghi tra gli attori e nelle interazioni tra i personaggi. Piccole forzature, che non minano il valore di un cinema di impegno civile.

Conclusioni

Nonostante qualche forzatura di troppo e l'ingombro di dialoghi e dinamiche tra personaggi non sempre credibili, Samad ha il grande merito di portare avanti l'idea di un cinema di impegno civile. Alla sua opera prima Marco Santarelli decide di raccontare attraverso il filtro del dramma carcerario il cortocircuito delle seconde generazioni di immigrati del nostro paese, un conflitto dal sapore quasi shakespeariano che merita una possibilità.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
2.0/5

Perché ci piace

  • La scelta del dramma carcerario per raccontare la galassia variegata delle seconde generazioni arabe nel nostro paese.
  • La scelta di attori non protagonisti.

Cosa non va

  • I dialoghi e le interazioni tra i personaggi risultano poco credibili.
  • Le dinamiche cedono spesso a un'eccessiva artificiosità, senza l'approfondimento che meriterebbero.