Il 23 agosto 1927, in Massachussetts, gli emigrati italiani Nicola Sacco e Bartolomei Vanzetti vennero giustiziati sulla sedia elettrica dopo sette anni di prigionia, ed essere stati accusati di reati (rapina e omicidio) che non venne mai dimostrato avessero effettivamente commesso nell'aprile del 1920. Una condanna politica stabilita dalle istituzioni americane, che tentarono così di stroncare sul nascere la minaccia anarchica e l'avanzata del socialismo (e del comunismo) negli Stati Uniti colpendo due individui che, essendo ritenuti stranieri, trattati con disprezzo e non integrati nel tessuto sociale, non ebbero maniera di difendersi adeguatamente in fase processuale. Finché, nel 1977, il governatore dello Stato del Massachussets, Michael Dukakis, non riconobbe ufficialmente gli errori commessi nel processo e riabilitò completamente la memoria dei due italiani.
Prima di tale evento, era stato il grande schermo a rendere loro omaggio, con un film che ha fatto epoca: Sacco e Vanzetti. Diretto da Giuliano Montaldo, esso ricostruì minuziosamente i fatti attraverso una sceneggiatura di prim'ordine e una regia attenta e asciutta come nello stile dell'autore genovese. Arrivata nelle sale il 16 marzo 1971, a cinquant'anni dall'uscita la pellicola mantiene una grandissima forza narrativa e continua ad affermarsi come una pietra miliare del cinema d'impegno civile. Andiamo, dunque, a riscoprirla nel dettaglio.
Il caso "Sacco e Vanzetti"
Boston, 1920. Gli anarchici italiani Nicola Sacco (Riccardo Cucciolla) e Bartolomeo Vanzetti (Gian Maria Volonté) vengono arrestati e accusati di rapina a mano armata e per l'omicidio di un contabile e di una guardia del calzaturificio Slater and Morrill di South Braintree, nella contea di Norfolk. Per la pubblica accusa istruita da Frederick Katzmann (Cyril Cusack), questa è l'occasione irripetibile per sferzare un colpo contro le rivolte anarchiche e l'onda rossa tanto temuta dal governo degli Stati Uniti e dai singoli governatori. Così, nonostante la quasi totale assenza di prove a carico dei due immigrati (Sacco era un calzolaio, Vanzetti un pescivendolo), attraverso la corruzione di alcuni testimoni chiave e la censura continua operata dal giudice Webster Thayer (Geoffrey Keen) nei confronti della difesa guidata dall'avvocato Moore (Milo O'Shea), il verdetto di condanna è di fatto inevitabile. La decisione suscita clamore in America e, progressivamente, nel resto del mondo, poiché appare inaccettabile la natura politica del processo e la privazione dei diritti fondamentali ai danni di Sacco e Vanzetti solo perché anarchici, e quindi considerati nemici delle istituzioni.
Successivamente, saranno vani i tentativi di riapertura del processo e le nuove prove a difesa dei due condannati, la scoperta dei veri colpevoli dei fatti di South Braintree e la protesta dilagante negli Stati Uniti e in Europa per chiedere la grazia per "Nick & Bart". Sacco e Vanzetti verranno giustiziati, nonostante si fossero proclamati innocenti fino all'ultimo momento.
Il cinema d'impegno civile di Montaldo
Dopo lo straordinario Gott Mit Uns - Dio è con noi (1970), Giuliano Montaldo si dedicò ancora una volta al racconto di una storia di due uomini soli contro una realtà più forte di loro. Nell'opera precedente, Franco Nero e Larry Aubrey interpretavano due soldati tedeschi che cercavano di disertare per tornare a casa, mentre la guerra stava per finire. Ma, una volta catturati, un semplice desiderio di libertà veniva soffocato dai commilitoni - a loro volta prigionieri degli Alleati - ancora legati alla folle appartenenza nazista che non contemplava alcuna forma di umanità.
I Sacco e Vanzetti interpretati da Cucciolla e Volonté vennero arrestati e condannati, sebbene da innocenti, poiché vittime di un sistema che si sentiva attaccato da echi di libertà e di richiesta di uguaglianza tra individui: rivendicazioni necessarie in un Paese che divideva le persone per condizione sociale e per capacità economica, e le estrometteva dal tessuto sociale a causa della loro provenienza etnica e religiosa o appartenenza politica. Le promesse del "sogno americano" e di una "nuova vita" venivano stroncate da un'ottica capitalistica senza alcun limite; almeno fino all'arrivo della crisi del 1929, che segnerà la prima, inevitabile decadenza di un'epoca falsamente prosperosa. Pur in due periodi storici vicini ma ovviamente del tutto differenti, è il grido disperato dei protagonisti ad accomunare questi due film estremamente rilevanti nella carriera dell'autore genovese.
Con Sacco e Vanzetti, Montaldo compì un passo avanti ancora più coraggioso e ambizioso. Scritto dal regista insieme a Fabrizio Onofri e Mino Roli, il film unisce il cinema politico e di impegno civile al cinema giudiziario, con riferimenti indubbi ad altri autori di primo piano a inizio anni '70 quali Costa-Gavras, Elio Petri e Francesco Rosi. Lo stile essenziale e diretto di Montaldo, ed il montaggio serrato (qui firmato da Nino Baragli), regalano all'opera un'intensità drammatica elevatissima e scandiscono la sofferenza di Nick & Bart (così vennero ribattezzati dall'opinione pubblica statunitense schierata a loro favore), accompagnandone i vari momenti della prigionia, alternati tra l'illusione di un'agognata libertà e la disperazione per un'esecuzione capitale che sentivano comunque inevitabile. Senza risultare didascalica, la regia di Montaldo non tralascia alcun aspetto, e sintetizza ogni elemento narrativo nello sguardo di Sacco e Vanzetti, già dalla prima e fino all'ultima, tragica sequenza.
Nonostante un'iniziale diffidenza generale, le azioni legali che seguirono la condanna suscitarono indignazione e rabbia sia nella parte politica democratica che nella popolazione, adirata per l'ennesima sopraffazione del potere ai danni di due lavoratori. Sacco e Vanzetti erano certamente anarchici, ma questo non era e non poteva essere un reato. Essi, piuttosto, rappresentavano l'idea - inaccettabile per i detentori del potere costituito - di un mondo più giusto, ancora lontano ma possibile, nel quale il lavoro significasse l'opportunità di ottenere un'esistenza migliore, scevra dal dominio degli uomini su altri uomini. Intellettuali, altri governi, istituzioni si mobilitarono in difesa dei due italiani, ma non riuscirono a salvarli.
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Due protagonisti d'eccezione
Inizialmente, nelle intenzioni dei produttori Giorgio Papi e Arrigo Colombo, il ruolo di Sacco sarebbe dovuto andare a Gian Maria Volonté, quello di Vanzetti all'italo-francese Yves Montand. Ma Montaldo non ne era convinto, e Volonté lo appoggiò completamente: l'idea era infatti quella di scritturare Riccardo Cucciolla, più conosciuto dal pubblico come doppiatore e direttore del doppiaggio che come interprete, nonostante diversi lavori televisivi e cinematografici all'attivo. Peraltro, Volonté aveva già raccontato la storia di Sacco e Vanzetti nell'omonimo dramma teatrale del 1960, nel quale egli aveva la parte di Nicola e Cucciolla quella di Celestino Medeiros (il detenuto che scagionò i due italiani dai reati contestati). La decisione di Montaldo venne così assecondata, ma a Cucciolla venne affidato il personaggio di Sacco, mentre quello di Vanzetti fu preso di buon grado dall'attore di Uomini contro.
E fu proprio questo l'aspetto particolare, che denotava la grande generosità di Volonté. Egli, attore di ormai riconosciuta fama, protagonista dei migliori western italiani diretti da Sergio Leone, Damiano Damiani e Sergio Sollima, del cinema politico dei già citati Rosi e soprattutto Petri (aveva infatti già preso parte a due opere come A ciascuno il suo e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, e di lì a poco anche La classe operaia va in paradiso) e di tante altre pellicole di rilievo, scelse di ritagliarsi uno spazio leggermente minore con il ruolo di Vanzetti per concedere la scena alla prova straordinaria di Cucciolla. Il suo Bart appare sempre un passo indietro a Nick. Di Vanzetti si ricorda il monologo finale in tribunale prima dell'esecuzione, interpretato magistralmente da Volontè. Ma è soprattutto il volto scavato e sofferente di Sacco, reso perfettamente da Cucciolla, a raccontare la drammaticità della vicenda nella quale vennero ingiustamente coinvolti. Durante le riprese, i due attori si sostenevano a vicenda e, curiosamente, Volonté sembrò avere nei confronti del collega lo stesso atteggiamento protettivo che Vanzetti ebbe verso Sacco negli anni della prigionia.
Al Festival di Cannes 1971, Riccardo Cucciolla venne premiato per la miglior interpretazione, in un'edizione nella quale, oltre a Sacco e Vanzetti, erano in concorso altri tre film italiani: Per grazia ricevuta di Nino Manfredi (premiato come miglior opera prima), Morte a Venezia di Luchino Visconti (insignito con il premio del 25° anniversario della rassegna) e La califfa di Alberto Bevilacqua. Cucciola vinse anche il Nastro d'argento nel 1972, insieme a Rosanna Fratello, cantante che fece il suo esordio al cinema nel ruolo della moglie di Sacco, Rosa.
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L'indimenticabile colonna sonora di Sacco e Vanzetti
Un ulteriore elemento che rende straordinariamente prezioso Sacco e Vanzetti è la sua colonna sonora, composta da Ennio Morricone nella parte orchestrale e con le canzoni scritte e interpretate della stella del folk statunitense Joan Baez, ovviamente sempre musicate dal maestro romano.
Morricone, recentemente scomparso, è stato senza dubbio il più importante musicista della storia del cinema italiano. Le opere che ha lasciato al pubblico sono di inestimabile valore e vanno riscoperte nella loro totalità. Sacco e Vanzetti si inseriva al termine del primo decennio di carriera di compositore (avviata con Il federale nel 1961), ma la maturità artistica di Ennio era già al culmine. Qui alla quarta collaborazione con Montaldo (dopo Ad ogni costo, Gli intoccabili e Gott mit uns), Morricone ha composto temi di grande efficacia nel rendere appieno il tono drammatico del film: su tutti, il brano che apre l'album della soundtrack (pubblicata in diverse edizioni nell'arco degli anni), ovvero Speranze di libertà, ripreso successivamente con la traccia Libertà nella speranza. Un gioco di parole che rappresenta l'auspicio di salvezza per i due detenuti italiani.
È indubbio, però, che i brani più conosciuti siano quattro in particolare: La ballata di Sacco e Vanzetti, divisa in tre parti distinte, e la magnifica Here's to you, inserita nei titoli di coda del film. Sulle note di Morricone e attraverso i testi della Baez, La ballata racconta la storia di Nick & Bart. La prima parte descrive la condizione di perseguitati dei due italiani e racconta del sogno spezzato di una vita migliore oltreoceano, dopo aver lasciato la propria terra, la propria famiglia e gli amici. La seconda parte è ispirata dalle lettere che Bartolomeo Vanzetti inviava al padre durante gli anni in carcere, e in essa la Baez canta versi estremamente significativi:
Father, yes, I am a prisoner. Fear not to relay my crime. The crime is loving the forsaken, Only silence is shame
(Padre, sì, sono un carcerato. Non temere di tramandare il mio crimine. Il crimine di amare i dimenticati. Soltanto il silenzio è vergogna).
E ancora:
My father dear, I am a prisoner. Don't be ashamed to tell my crime. The crime of love and brotherhood, And only silence is shame
(Mio caro padre, sono un carcerato. Non ti vergognare di raccontare il mio crimine, il crimine dell'amore e della fratellanza. E solo il silenzio è vergogna).
La terza parte della ballata è invece tratta dalle lettere di Nicola Sacco al figlio, nelle quali egli invocava al piccolo di non piangere per il crimine ingiusto che lo portava via da lui e da sua madre, e dedicava pensieri ai più deboli e ai perseguitati, ma senza mancare di ricordargli che anche in questa vita si può amare ed essere amati, nonostante tutto.
Here's to you è infine l'omaggio alla memoria di Sacco e Vanzetti, con alcune semplici e importanti parole, che sono divenute un inno di libertà:
Here's to you, Nicola and Bart, Rest forever here in our hearts. The last and final moment is yours, That agony is your triumph.
(Questo è per voi, Nicola e Bart. Riposate per sempre nei nostri cuori. L'ultimo e definitivo istante è il vostro, quel martirio è il vostro trionfo).
Here's to you è stata più volte utilizzata da altri artisti in diverse opere sin dalla sua pubblicazione, ed ha avuto anche una versione in italiano, Ho visto un film, scritta nel 1972 da Franco Migliacci e Ruggero Miti e cantata da Gianni Morandi.
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