Tre film sono bastati a farlo diventare uno dei registi più cool della scena italiana. Poi un lungo silenzio, un'assenza dal cinema durata quasi dieci anni. Dov'era finito Alex Infascelli? Era passato alla TV e intanto studiava la vita e l'arte di Stanley Kubrick, come molti sanno. E quando ebbe la fortuna di parlare con la vedova del grande regista, lei gli raccontò di un italiano che aveva lavorato per Stanley per trent'anni. Emilio D'Alessandro, così si chiama, non è stato solo l'autista personale di Kubrick, ma il suo tuttofare, il suo aiuto simbiotico, indispensabile, sempre pronto. Alex Infascelli lo ha cercato, contattato, intervistato.
Ne è nato S Is for Stanley, il documentario vincitore del David di Donatello come Miglior Documentario 2016. Presentato anche alla Festa del Cinema di Roma, questo insolito biopic apre una finestra sulla vita di Kubrick attraverso un'altra vita, quella di Emilio, dedicata con abnegazione al suo datore di lavoro. Dopo tre lunghi anni di lavorazione, finalmente il film esce nelle sale, come evento speciale, e poi distribuito in home video da Feltrinelli Real Cinema. Abbiamo incontrato Alex Infascelli: cresciuto, diverso, ma con uno sguardo che sembrava quello di un esordiente il cui primo film trova distribuzione, con la luce dell'emozione negli occhi...
Che effetto ti fa vedere finalmente il tuo documentario in sala?
Alex Infascelli: L'effetto è quello di vedere un documentario che ho impiegato tre anni a preparare e che ora è pronto: è come vincere una scommessa. Uscire in sala, per me poi che manco dalle sale ormai da tanti anni, era davvero impensabile. È una grande emozione, soprattutto per la natura della storia. È il racconto di una collaborazione lavorativa e di un'amicizia, lontana da tutte le cose che ho realizzato finora. Però non è lontana da me, è un attestato di esistenza perché Emilio vede concretizzare nel racconto la sua esistenza. Ciò che ha vissuto con Stanley Kubrick, finalmente è depositato per i posteri.
Un rapporto molto speciale
Emilio D'Alessandro fu assunto come autista personale di Kubrick, ma poi, sin da subito, le sue mansioni furono tra le più disparate...
In trent'anni Emilio è partito come autista, ma poi è stato messo a fare cose che non gli competevano assolutamente. Questo perché Kubrick vide in lui il perfetto esecutore non pensante. E "non pensante" è inteso nella migliore delle accezioni possibili, ovvero un esecutore che non mette mai in discussione gli ordini, ma anzi li esalta, li esegue alla perfezione e quindi, in qualche modo, rende omaggio al genio maniacale che era Stanley. Dopodiché, in questo periodo, nasce tra loro un'amicizia profondissima, che è quasi una storia d'amore. Un amore tra uomini in senso classico, fatto di rapporti lavorativi, di fiducia, di temi del quotidiano che per la maggior parte delle persone sono cose assolutamente non importanti e che invece per loro assumono una dimensione epica.
C'è stato qualcosa che non sapevi di Kubrick che hai scoperto grazie ad Emilio e che ti ha colpito?
Questa è una domanda retroattivamente a trabocchetto: di Kubrick non si conosce nulla, quindi tutto ciò che mi ha detto Emilio mi ha colpito poiché è assolutamente inedito. Per chi, come me, era andato a scavare un po' di più nella vita di Kubrick, c'è anche qualcosa di nuovo. Sono stato sorpreso di un lato così umano, di un amore, una delicatezza, nei rapporti, con le persone, con gli animali. E al contempo di una spietatezza, perché Kubrick era solito troncare i rapporti una volta che finivano le relazioni professionali. Durante il periodo in cui le collaborazioni erano in atto, lui si prendeva cura delle persone che lo circondavano in un modo esagerato, con una delicatezza e una profondità che non ho mai visto nella storia del cinema, in persone che erano così prolifiche.
Dici che non si sa quasi nulla di Kubrick, ma di certo si conosceva già la sua maniacalità, che esce fuori potente nel tuo documentario.
Stanley fondamentalmente era convinto che la vita dovesse essere un'opera d'arte. Lui non ha fatto molti film, alla fine, ma tra uno e l'altro, in mezzo, c'era quest'altra grande opera d'arte da dirigere che era la sua vita. Il traguardo da raggiungere nel fare una cosa non era importante quanto l'atto stesso di farla. Anche cose che apparentemente erano piccole, lui pensava che ci fosse una soddisfazione intrinseca nel farle proprio nel modo migliore.
E questo fu proiettato su Emilio totalizzando la sua vita: veniva chiamato di continuo, non esisteva riposo.
Questa esigenza simbiotica, un po' maniacale e ossessiva nei confronti di Emilio, non era solo nei suoi confronti. Lui è solo quello che è rimasto più a lungo al fianco di Stanley, e che subiva più di altri questa influenza, ma anche gli altri avevano lo stesso tipo di controllo. Stanley non dormiva: per lui non c'erano né il riposo settimanale, né quello quotidiano. Per lui la giornata durava davvero 24 ore e durante queste 24 ore bisognava cercare di essere il più produttivi possibile. Aveva bisogno continuo dei suoi collaboratori. E questi dovevano essere disponibili come utensili in un cassetto: ho bisogno di un martello, apro il cassetto e lo prendo.
Nella versione italiana il film è in doppia lingua: tu parli per lo più in italiano, lui per lo più in inglese. Come mai la scelta di non far esprimere Emilio in italiano?
La scelta è una presa di coscienza da parte mia, non appena ho cominciato a girare e a intervistarlo per il documentario. Mi sono accorto subito che Emilio, parlando in italiano, si staccava dalla vicenda di Stanley, in quanto nella sua esperienza kubrickiana lui aveva parlato in inglese. L'inglese, anzi, lo ha imparato proprio accanto a Stanley. La lingua era come una chiave d'accesso. Quando cominciava a parlare in inglese, sbloccava un mondo di ricordi. Quindi ho deciso di fare così, anche perché sarebbe stato più facile poi mantenere una veridicità per la storia raccontata al resto del mondo. Nella versione internazionale parlo in inglese anche io.
Come nasce un doppio racconto di vita
Quante volte sei andato a casa di Emilio?
Il tempo di realizzazione del documentario è stato abbastanza organico. In questo ho seguito le orme di Stanley. Ci ho messo tre anni a sistemarlo perché anche io volevo che fosse perfetto, e in questo tempo mi sono goduto l'atto del farlo. Non mi interessava solo arrivare al traguardo. Poi certo, oggi vedo il manifesto, so che uscirà in sala, rilascio interviste, sono contento che finalmente sia nato. Ma sarei potuto andare avanti per altri tre anni, a un certo punto me lo hanno tolto dalle mani. Volevo essere proprio sicuro di raccontare bene questa storia. La lavorazione ha comportato proprio a un certo punto una serie di stazioni. Le mie visite ad Emilio a Cassino non sono state tantissime: non volevo abituarmi né ad Emilio né ai suoi racconti, volevo che restasse tutto sempre abbastanza sorprendente. Ci sono stato quattro volte, ma molto corpose, quattro giorni interi in cui ho vissuto la vita di Emilio e ho capito anche l'uomo.
Ed Emilio è l'unico testimone, a parte sua moglie in piccole scene.
Ho lavorato con materiali morti, se così si può dire. Mi sono chiuso con quelle scatole di ricordi, piene di fotografie, lettere, annotazioni, bigliettini scritti da Stanley. L'unica cosa viva che avevo nel documentario, erano la sua voce e il suo volto. Successivamente ho avuto l'idea di far parlare anche Stanley, perché ho pensato che dovesse esserci anche lui.
Alex: l'artista dietro la macchina da presa
In passato ho incontrato altri assistenti personali, di Freddie Mercury e di Andy Warhol, ed erano anche loro presenze simbiotiche. Da artista, pensi che ci sia bisogno di un Emilio per lavorare meglio?
Una canzone di Neil Young si chiama "A Man Needs a Maid". È una provocazione: un uomo ha bisogno di una badante. Una persona che si prenda cura di lui. L'artista secondo me ha bisogno di un Emilio, che sta da qualche parte. Le persone che hanno avuto la fortuna di trovarlo, hanno fatto grandi cose. Non è detto che nella vita si trovi un'anima gemella, e allo stesso modo non è detto che si riesca a trovare un personaggio simbiotico come Emilio. Ci vuole molta fortuna e, successivamente, ci vuole la grandezza, da parte di entrambi, di saper tirar fuori da se stessi e dall'altro il meglio. Quando succede, accadono miracoli.
Come tu stessi hai detto, manchi dalle sale già da un po'. Tornerai alla regia a breve termine?
Sto per girare un film che vedrà le luci della sala, ancora non so quando e non voglio dire di più. Però dopo questa esperienza totalizzante, sto tornando dietro la macchina da presa.