Run, recensione: brividi paralizzati in famiglia

La recensione di Run, thriller a base di intrighi e paralisi, con protagonista Sarah Paulson affiancata dalla giovane Kiera Allen.

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Run: Sarah Paulson e Kiera Allen in una scena del film

Scrivere la recensione di Run significa ritrovare l'esperienza della sala con un film che in patria è andato direttamente in streaming (per l'esattezza su Hulu, di cui è diventato il lungometraggio "originale" di maggior successo al momento del lancio) a causa dell'emergenza sanitaria, mettendo in evidenza la versatilità delle strategie di distribuzione da un anno a questa parte. Strategia che in questo caso ha vantaggi da entrambi i lati della barricata: il fatto che sia un film quasi interamente girato in interni, nella casa delle protagoniste e alcuni altri edifici significativi, rende allettante la visione domestica perché accentua l'identificazione con i problemi della giovane Chloe Sherman; ma è altrettanto vero come la qualità claustrofobica del progetto renda irresistibile la tentazione di vivere emozioni forti nel buio della sala cinematografica, al cospetto di un solido esercizio di stile che dimostra il potenziale di progetti mainstream più piccoli dei soliti blockbuster, attualmente ancora in una situazione di stasi per quanto riguarda l'uscita tradizionale su larga scala.

Madre e figlia

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Run: Sarah Paulson, Kiera Allen in un'immagine

Run è la storia di Diana Sherman (Sarah Paulson) e della figlia Chloe (Kiera Allen), costretta su una sedia a rotelle a causa di diverse patologie: la sequenza iniziale mostra la nascita, prematura, della bambina, accompagnata da didascalie con le definizioni di aritmia, emocromatosi, asma, diabete e paralisi. Chloe sogna di andare all'università, ma Diana, che l'ha educata entro le mura domestiche, occulta le lettere di ammissione, temendo che la giovane non sia pronta per il mondo esterno. La ragazza comincia a sospettare che qualcosa non quadri del tutto con la versione dei fatti proposta dalla genitrice, e presto si ritrova a temere per la propria incolumità nel luogo dove in teoria dovrebbe essere assolutamente al sicuro. Esistono limiti oltre i quali la premura materna non dovrebbe spingersi? Un interrogativo a cui Diana e Chloe darebbero risposte diverse, soprattutto quando la situazione comincia ad assumere toni alla Misery non deve morire (film citato esplicitamente in almeno un'occasione, dato che un personaggio secondario si chiama Kathy Bates, come l'attrice che ha vinto l'Oscar per il ruolo di Annie Wilkes tre decenni fa).

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Performance paradossalmente movimentata

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Run: Kiera Allein in una sequenza

Il film è l'opera seconda del regista Aneesh Chaganty, che nel 2018 si è fatto notare con l'esordio nel lungometraggio che era Searching, thriller facente parte di un progetto più ampio a base di film di genere realizzati interamente con schermate di social e tecnologie da videochiamata (un'idea che col senno di poi ha anticipato uno dei modi per adattarsi alle restrizioni sanitarie attualmente in vigore). Qui manca quel senso di creativa ambizione estetica, avendo il regista a che fare con un canovaccio molto più classico, al punto che, come sottolineato qualche riga fa, i rimandi a Stephen King non sono particolarmente sottili. Anche in questa sede, però, si fa interessante la questione teorica, legata nello specifico alla giovane esordiente Kiera Allen: lei si serve di una sedia a rotelle nella vita, ed è stata scelta per la parte di Chloe perché, su insistenza del regista, era giusto che si desse quel ruolo a un'attrice intimamente a conoscenza della disabilità della protagonista. Ma l'interpretazione non sa mai di artificio pubblicitario in nome di una presunta correttezza a livello rappresentativo, perché l'attrice va oltre il puro fattore fisico e si cala nella parte con grande realismo psicologico, adattandosi alle esigenze della sceneggiatura in modo agevole.

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E c'è, nell'altro angolo di quello che è effettivamente un metaforico incontro di pugilato tra grandi professioniste, un'ottima Sarah Paulson, da sempre avvezza a esplorare i lati più oscuri e torbidi dell'animo umano (basti pensare al fortunato sodalizio con Ryan Murphy che dura ormai da una decina d'anni) e qui nella rara posizione, per lo meno sul grande schermo, di avere diritto al ruolo principale anziché far parte di un gruppo o essere relegata a pochi minuti di presenza scenica. Ed è un ruolo piacevolmente inquietante, al centro di un film che fa del semplice fattore umano il suo maggiore punto di forza, compensando alcune ovvietà di scrittura che rasentano l'incongruenza con due splendide performance che, in un'epoca di intrattenimento di massa dominato dagli effetti speciali, sono lo strumento giusto per ricordarci che esistono altre forme di divertimento mainstream, altrettanto valide, da gustare al buio, circondati da altri spettatori.

Conclusioni

Chiudiamo la recensione di Run, thriller elementare ma efficace che esplora il rapporto tra una madre e sua figlia in modo inquietante sottolineando ancora una volta l'importanza nel film di una strepitosa Sarah Paulson, ma anche dell'esordiente Kiera Allen, una delle migliori scoperte degli ultimi mesi.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.0/5

Perché ci piace

  • La premessa, per quanto non originale, è intrigante.
  • Sarah Paulson è perfettamente inquietante.
  • Kiera Allen esordisce sullo schermo con abbondanti dosi di talento.

Cosa non va

  • Alcuni passaggi rasentano l'incongruenza a livello di credibilità dell'intreccio.