C'è qualcosa di disturbante nello scrivere la recensione di Run Hide Fight - Sotto assedio, presentato fuori concorso alla 77ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, principalmente perché il film di Kyle Rankin trasforma in entertainment quella che per molti americani è una triste realtà quotidiana: le sparatorie in ambito scolastico, fenomeno talmente diffuso che nel 2019 una di quelle stragi fu parzialmente coinvolta nella decisione di rinviare l'uscita di almeno un film dove le armi da fuoco hanno un ruolo importante. Un fenomeno che è anche al centro di accesi dibattiti politici, con il partito repubblicano che continua a opporsi a ogni forma di legislazione che limiti l'accesso alle armi per determinati individui (e qui viene spontaneo pensare a quando Homer Simpson ricevette il seguente responso dopo un controllo: "Considerato molto pericoloso, quindi il limite è tre pistole"). E non è un caso che, dopo alcuni passaggi festivalieri, il film abbia esordito negli Stati Uniti tramite il sito The Daily Wire, piattaforma gestita da note personalità conservatrici. Una mossa che fa sì che il lungometraggio allo stesso tempo raggiunga il suo target e resti per lo più invisibile.
Accadde al liceo
Run Hide Fight - Sotto assedio (il titolo inglese significa letteralmente "corri, nasconditi, combatti") è la storia di Zoe Hull (Isabel May), diciassettenne traumatizzata dalla morte della madre (Radha Mitchell) e reduce da anni di addestramento per sopravvivere in qualsiasi contesto grazie al padre (Thomas Jane), veterano delle forze armate. Un giorno, mentre lei cerca di affrontare l'ennesima giornata a scuola, alcuni studenti entrano con armi ed esplosivi e cominciano a uccidere alcune persone e prenderne in ostaggio altre, mostrando il tutto in diretta streaming. Le forze dell'ordine sono lontane, a causa di un diversivo che gli autori della strage hanno messo in atto prima di arrivare a scuola, e così toccherà a Zoe cercare di fermare i carnefici, servendosi delle tattiche paterne e trasformando alcune zone dell'edificio in vero e proprio campo di battaglia, con la speranza che la fama a cui puntano gli antagonisti non richieda troppe vittime in diretta sui social.
Tirare a destra
Inevitabilmente c'è chi difenderà il film in nome di una qualche opposizione al politicamente corretto, rivendicando la libertà di espressione. Principio sacrosanto, ma del tutto fuori luogo in questa sede, dato che nessuno vieta a chicchessia di affrontare un argomento delicato come le sparatorie scolastiche al cinema: Michael Moore deve una parte non indifferente della propria fama a Bowling a Columbine, analisi di una strage che ispirò anche Gus Van Sant per Elephant (e nel 2003, per il thriller La giuria, si scelse di sostituire l'industria del tabacco che è portata a processo nel romanzo con quella delle armi da fuoco, dato il peso mediatico del tema). E non è neanche illogico che qualcuno abbia deciso di applicare il filtro action, nella fattispecie la struttura di Trappola di cristallo, perché al netto della reputazione liberale di Hollywood quel genere è tendenzialmente più "di destra" a livello narrativo e tematico (e non è un caso che, al di fuori di sottogeneri come i film di supereroi, le grandi star in quell'ambito, come Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger, votino generalmente per i repubblicani).
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Il problema, in questa sede, non è tanto l'apologia del vigilantismo che è una costante di questo tipo di film, quanto l'abbinamento di un soggetto eticamente discutibile e di una forma che sfiora ripetutamente l'esecrabile: la sceneggiatura vacilla praticamente da subito, rasentando il ridicolo quando cerca di accrescere l'arco emotivo di Zoe, mentre regia e montaggio trasformano l'esercizio di stile in una collezione di tempi morti che sostituiscono la suspense con la mera provocazione politica, con la convinzione che la premessa umanamente delicata possa compensare l'assenza di una vera idea di cinema in grado di accompagnare quello che sulla carta è il sogno di ogni difensore del secondo emendamento della Costituzione americana (solo che in questo caso a reagire non sono gli insegnanti, poiché ad essere armata è una compagna di scuola degli aspiranti influencer). Ciò che rimane è però un prodotto esteticamente inqualificabile, e viene il sospetto che la selezione a Venezia fosse dovuta solo al desiderio di avere un minimo di titoli statunitensi in cartellone in un anno segnato dalla chiusura dei set.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Run Hide Fight - Sotto assedio, sottolineando ancora come si tratti di un action movie che vuole affrontare un argomento provocatorio ma crolla sotto il peso di una forma inconsistente che trasforma l'azione in una serie di lunghi tempi morti.
Perché ci piace
- Isabel May ha un certo carisma.
Cosa non va
- La scrittura è banale e inutilmente provocatoria.
- Le sequenze action sono girate e montate male.
- La partecipazione di Thomas Jane sfiora l'autoparodia.