Romulus è il nostro Game Of Thrones? La domanda, una volta viste le prime puntate della serie creata da Matteo Rovere in onda su Sky e NOW TV ogni venerdì dal 6 novembre, è venuta in mente a molti. La risposta potrebbe essere "sì", anche se Romulus è comunque molto altro. La nuova serie Sky Original, che prende spunto dal mondo de Il primo re, il film di Rovere dedicato alla leggenda di Romolo e Remo, è infatti un prodotto unico. È una serie storica, ma che viaggia talmente indietro nella Storia, verso un periodo non documentato, leggendario e quindi immaginario. La leggenda in qualche modo è fiaba e la fiaba in qualche modo è fantasy. Ma le basi storiche di Romulus sono nello studio accurato di quell'epoca di cui, se non abbiamo fonti scritte, e certezze, riguardo ai fatti storici, ne abbiamo per quel che riguarda le fonti plastiche, gli oggetti, le abitazioni, la struttura della città. L'idea che ci siamo fatti è quella di un Game Of Thrones, ma più vero, un fantasy ancorato al reale. Un ossimoro: ma con Matteo Rovere è possibile. Se avete visto l'episodio 5 e l'episodio 6 capirete di quello che stiamo parlando. I protagonisti Yemos (Andrea Arcangeli) e Wiros (Francesco Di Napoli) entrano in contatto con i seguaci della dea Rumia, e si addentrano in un mondo nascosto, in antri bui, dove dominano il fuoco e i lupi. È un mondo dall'impatto visivo potentissimo, evocativo, suggestivo. Ne abbiamo parlato con Matteo Rovere, regista, sceneggiatore e showrunner, con i registi Michele Alhaique ed Enrico Maria Artale, e con gli sceneggiatori, Filippo Gravino e Guido Iuculano.
Matteo Rovere: è un mondo sconosciuto, che confina con il magico
La prima cosa che ci è venuta in mente di chiedere a Matteo Rovere, nell'incontro di lancio della serie, è questa. Nel momento in cui Rovere e il team creativo sono andati a presentare questo prodotto, a fare i "pitch" con i produttori, come è stato spiegato questo Romulus? In pratica, in una linea da zero a dieci in cui da un lato c'è un prodotto come Apocalypto, che è realistico, filologico, e dall'altro un prodotto fantasy come Il trono di spade, con certe dinamiche, l'emotività del racconto, i colpi di scena, a che punto può stare una serie come Romulus? "Esiste un mondo vicino a noi, dal quale noi in qualche modo proveniamo, sia antropologicamente che culturalmente, sia a livello storico che di costume, e che ha avuto un significato forte e specifico che riflette sulla cultura contemporanea" ci ha risposto Matteo Rovere. "È un mondo che è precedente alla storia scritta, dove realtà e leggenda si mescolano. E cosa c'è di più fertile di un mondo così per attivare il racconto, il gioco che facciamo con gli sceneggiatori?" "Abbiamo immaginato che esista un mondo dove la percezione del reale è anche fantasy per i nostri protagonisti, ma noi riceviamo un registro naturalistico" ci spiega Rovere. "È ovvio che i nostri personaggi, nei quali man mano ci identifichiamo, vedono nelle forze che scaturiscono da questo mondo tanti elementi che non sanno spiegarsi bene: il divino, la divinazione, il vaticinio, il sogno, gli spiriti del bosco. Ci sono tanti elementi che nella percezione dei protagonisti diventano qualcosa di sconosciuto, che confina con il magico. Abbiamo raccontato tutti questi elementi ai nostri produttori e abbiamo ricevuto grande ascolto". Ed è proprio questo rapporto con lo sconosciuto, con l'inspiegabile uno dei riflessi di Romulus sul mondo contemporaneo. "Mai come ora abbiamo la sensazione che tutto quello che ci circonda non è tanto comprensibile, non è tanto contenibile" riflette Rovere. "Continuiamo ad ascrivere tutta una serie di elementi al discorso scientifico, al cercare di controllare il creato in tutti i modi, ma una visione più agnostica e meno deterministica ci solletica l'idea che gli esseri umani del passato, come quelli del presente, vivano in un mondo di cui non comprendono tutto".
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Crisi, incertezza, paura: allora come oggi
Ma l'attualità di Romulus e dei suoi personaggi non si ferma solo a questo aspetto. Filippo Gravino, sceneggiatore della serie insieme a Guido Iuculano e allo stesso Rovere, alla Festa del Cinema di Roma ci aveva spiegato come questa fosse la storia di un gruppo di ragazzi a cui un mondo anteriore arcaico e reazionario ha imposto le proprie scelte, come i giovani di oggi che sentono di vivere in un mondo che non hanno scelto loro, e che vogliono cambiare. Ma, ci ha spiegato in questo incontro, l'attualità e l'universalità di Romulus vanno ancora oltre. "Quello che ci siamo detti è che questo racconto avrebbe parlato di potere, di due tipologie di potere" ci ha svelato. "Uno è politica. La domanda che ci siamo fatti è: che cos'è un leader? E così il racconto è la mappatura di forme di potere archetipico, è definibile come l'adolescenza di un leader. Ma il potere è anche nelle relazioni sentimentali: quello che abbiamo provato a fare è anche una cosmogonia delle forme di potere in ambito relazionale. Cos'è la sopraffazione? Cos'è l'affrancamento da un amore oppressivo? Tutto questo secondo me rende questo racconto universale, attuale contemporaneo, ma anche appetibile per un pubblico sia maschile che femminile. Il racconto del potere delle relazioni sentimentali è evidentemente un tema attuale e contemporaneo anche per il femminile, soprattutto per il femminile. In questo trovo una grande adesione al presente del nostro racconto".
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L'attualità di un racconto non è qualcosa che si studia a tavolino, ma arriva partendo da certe riflessioni. "È chiaro che quando si scrive qualcosa si cerca di parlare del mondo così come è" aggiunge Guido Iuculano. "Avrebbe un senso, ma solo accademico, parlare del mondo dell'ottavo secolo a.C. e basta. L'aggancio, all'inizio, è stata l'idea di crisi, di instabilità, di incertezza. Anche il racconto della leggenda inizia con una crisi dinastica. La crisi delle gerarchie, del potere politico l'abbiamo vissuta, la stiamo vivendo, non c'era ancora il grande contagio ma un'incertezza di fondo era nell'aria. Questa incertezza travolge i destini delle persone. E abbiamo parlato di tre persone che sono giovani e vengono travolte dalla crisi, nel caos e devono, senza sapere quello che stano facendo, ricostruire un ordine". "È un'idea che non nasce con questa chiarezza" continua. "Ma parlavamo di crisi, incertezza, paura. Tutto questo è legato al momento di oggi, ma è anche un discorso filosofico su ciò che genera l'ordine politico. Che è una risposta all'incertezza. In questo la serie si ispira a Hobbes. C'è questa idea dei rapporti umani tesi, violenti, pericolosi: se non si trova il modo di raccontarsi lo stare insieme non si riesce a sopravvivere ai pericoli della vita e della natura. Nell'ottavo secolo avanti Cristo era più evidente, ma, adesso lo vediamo, nonostante il processo scientifico, l'incertezza è un tratto dominante della nostra vita".
Matteo Rovere: cerchiamo i segni che portano alla leggenda
Man mano che il racconto si dipana si viene sempre più avvinti nel mondo ancestrale e magico dell'ottavo secolo avanti Cristo. Detto della magnifica potenza suggestiva ed evocativa di certe situazioni e delle scene di massa, comincia ad essere più chiaro il lavoro molto particolare che è stato fatto nel costruire Romulus. Nell'episodio 5 e nell'episodio 6 si cominciano a cogliere quelle suggestioni che troveremo nella leggenda di Romolo e Remo: i lupi, forse anche la famosa "lupa", il riferimento a una città promessa che dovrà sorgere. E si capisce che Romulus non è un prequel né tantomeno uno spin-off de Il primo re. "Il rapporto con Il primo re è abbastanza curioso" ci spiega Matteo Rovere. "Realizzando Il primo re andavamo a esplorare la leggenda della fondazione di Roma come se fosse reale. Romulus fa un percorso completamente diverso. Non parlerei né di spin-off né di stesso universo narrativo: ci spostiamo in un mondo più realistico, andiamo nell'ottavo secolo avanti Cristo, cercando di farlo effettivamente, cercando di trasportare lo spettatore in questa grande arena, e proviamo a immaginare cosa potesse essere successo davvero che poi ha generato la leggenda. La leggenda che ovviamente è una storia raccontata diversi secoli dopo, che i romani si sono dati per raccontare un'origine semi divina del loro impero. Facciamo un percorso opposto: creiamo un universo reale e vediamo quali sono quei segni che, sedimentandosi, portano alla fondazione e alla sua leggenda".
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Dalla leggenda quindi si è lavorato per trovare una storia credibile e avvincente. "Rispetto alla leggenda abbiamo individuato dei nuclei tematici essenziali: la presenza di due fratelli, la partenza da un luogo che si chiama Albalonga, la discendenza da due Re" ci ha spiegato Filippo Gravino. "Partendo da queste piccole millimetrature abbiamo costruito un mondo nel vero senso della parola. Rispetto a operazioni simili alla nostra, anche molto famose, noi siamo partiti da nulla: non avevamo documenti storici dell'epoca, non avevamo testimoniante scritte. Quello che abbiamo fatto è inventarci da zero un mondo di relazioni possibili, oltre ai personaggi di una serie. è stato un lavoro tostissimo, durissimo, meraviglioso". "Abbiamo lavorato quattro anni su questa storia, siamo partiti da nulla" aggiunge Guido Iuculano. "In realtà ci siamo fatti aiutare da degli storici. Alcuni elementi li abbiamo recuperati non nel mito, ma negli studi che sono stati fatti su quel periodo. All'inizio c'è un rituale, che chiamiamo il Lupercalia; quello storico è diverso da quello che vediamo, ma ci siamo rifatti a un rituale di iniziazione presente in molte società primitive. I ragazzi mandati via dalle città, nel bosco dove devono affrontare lo stato di natura per diventare uomini. Gli storici dicono che molte città sono state fondate da ragazzi espulsi dalle loro città. Abbiamo studiato tantissimo e abbiamo usato tutti questi materiali per costruire una storia che rispecchiasse il senso della fondazione di un ordine nuovo. Siamo partiti da un tempo di crisi, ci siamo rifatti a tanta mitografia. La siccità, come l'alluvione e il contagio sono simboli universali della crisi. Abbiamo iniziato a parlare di una crisi utilizzando i materiali che ci dava la leggenda, l'antropologia, l'archeologia e la storia, per capire come dalla crisi può nascere un nuovo ordine".
Ci siamo letteralmente immersi nel fango
Usiamo spesso l'appellativo di creatori di mondi per pochi, grandi autori internazionali di cinema. Ma Matteo Rovere e il suo team possono fregiarsene a buon diritto. Romulus, dal punto di vista archeologico e storiografico, può giovarsi del lavoro fatto per Il primo re. Lo scenografo, Tonino Zera, è lo stesso: le capanne, la strutturazione della città arrivano da quel grande lavoro. "Per me e Michele la sfida era più al dettaglio" racconta Enrico Maria Artale, uno dei registi. "Noi che non siamo abituati a vedere racconti ambientati nell'età del ferro, era una domanda continua su come mettere in scena anche cose che fanno parte della quotidianità: come due personaggi si salutano, si scambiano un cenno di intesa, come esprimono il dolore e la paura. È plausibile che le espressioni non siano le stesse, non solo di oggi, ma neanche della romanità classica, arrivata otto secoli dopo. Il contatto fisico amoroso, il sesso, il bacio, l'amore, l'amicizia sono sentimenti che si esprimono in movimenti del corpo: immaginare questi comportamenti con gli attori è stata una grandissima sfida. Così come tutto ciò che appartiene al rito: erano importanti scene di carattere rituale. Prenderle e trasformarle in dei riti che fossero credibili e capaci di creare una soggezione negli stessi partecipanti era immaginare la collettività e i modi in cui si doveva riunire attraverso una interrogazione divina". "In qualche modo catapultarci nell'ottavo secolo a.C. ci ha dato una grande libertà creativa" aggiunge Michele Alhaique. "Ci siamo chiesti come parlavano, come emettevano questa voce. Questa libertà è stata molto molto stimolante. Per una volta abbiamo messo da parte quello che siamo soliti raccontare, il racconto del reale, delle metropoli, l'asfalto. Ci siamo letteralmente immersi nel fango, il che vuol dire essere continuamente stimolati dalle scene e dalle dinamiche più banali. Come si inginocchiano? Come muovono le mani?"