Romania, sedici anni dopo
L'opera prima di Corneliu Porumboiu, trentunenne cineasta rumeno premiato allo scorso Festival di Cannes con la Camera d'Or (prestigioso riconoscimento al miglior film di un esordiente), stupisce per la sua maturità e per quell'equilibrio perfetto che riesce a creare tra umorismo e riflessione storica, secondo una brillante combinazione già sperimentata nel tedesco Good bye Lenin!. Come il film di Wolfgang Becker, anche Ad est di Bucarest racconta con grande ironia e mirabile intelligenza del crollo di un regime, quello comunista di Nicolae Ceausescu, nel 1989, ma la cornice scelta è quella di un programma televisivo in cui un conduttore e i suoi due bizzarri ospiti ricordano, sedici anni dopo, i minuti prima della fuga in elicottero del dittatore rumeno e quella rivoluzione che, forse, non c'è mai stata. Un com'eravamo e cosa siamo diventati raccontato con tenero umorismo, ma con quel retrogusto amaro che fa di A est di Bucarest un lucido ritratto, semplice eppure ricco di sfumature, della Romania di oggi.
Porumboiu divide in due parti il suo film. Nella prima presenta singolarmente i tre strampalati protagonisti, un conduttore-proprietario televisivo che tradisce la moglie con una sua dipendente, un vecchio pensionato che vive in solitudine e un professore di storia con il vizio dell'alcool, e li fa muovere tra le strade di Vaslui, sua città natale ad est di Bucarest, mostrando tutta la miseria dei classici palazzoni cadenti dell'epoca Ceausescu, la tristezza degli alberi spogli (abeti compresi) nel periodo natalizio, e i fragili rapporti tra gli abitanti, caratterizzati dalla mancanza di fiducia e dal continuo pretendere l'uno nei confronti dell'altro. Per rendere l'immobilismo dei rapporti umani, in un paese che sembra essere rimasto terribilmente indietro, Porumboiu incornicia lunghi piani sequenza in inquadrature fisse che esprimono la freddezza degli interni e la deriva affettiva di famiglie spezzate, ma i toni sono però quelli della commedia più fine e i dialoghi taglienti da opera teatrale.
La seconda parte, invece, è tutta giocata in uno studio televisivo, girata nei tempi classici e con le tecniche di un programma d'informazione del tempo che fu, con inquadratura mezzobusto e rapide zoomate sul volto dei protagonisti seduti allo stesso tavolo. Fondamentali in questa parte del film sono la mimica facciale e la gestualità dei tre, che strappano risate anche quando non si presta attenzione a ciò che viene detto. L'argomento di cui si discute è quello della presunta rivoluzione degli abitanti di Vaslui, a pochi minuti dalla fuga in elicottero da Bucarest di Ceausescu, che avrebbe visto tra i suoi protagonisti il professore di storia. Ma tutte le testimonianze telefoniche convengono nel considerare il presunto eroe in realtà un ubriacone bugiardo a cui non è possibile dar credito. Segue l'imbarazzo del conduttore e la presa di coscienza che forse quella rivoluzione non è mai avvenuta. E ancora una volta sorriso e riflessioni più importanti tornano a mescolarsi con grande abilità. Forte di un bel finale, imbevuto di innevata malinconia, A est di Bucarest si propone come una delle commedie più originali ed intelligenti viste negli ultimi anni e ci ricorda che certe volte la verità non è che una questione di punti di vista.